Il mito di Cassandra è uno dei più conosciuti ed emblematici della mitologia greca. Personaggio misterioso e a tratti esoterico, anche l’etimologia del suo nome è «inspiegabile»: lo dice il linguista svedese Hjalmar Frisk, il quale ha avanzato diverse ipotesi per capire l’origine del nome che per lui potrebbe derivare dall’indoeuropeo «sollevare». Secondo l’Online Etymology Dictionary, «il secondo elemento sembra una forma femminile del greco andros, ovvero uomo»; per Watkins, deriverebbe da «brillare» o da «superare, eccellere». Cassandra è gemella di Eleno e figlia di Ecuba e di Priamo, re di Troia. Nel mito, Cassandra svolge un ruolo importante poiché è la sacerdotessa del tempio di Apollo, dal quale ha ricevuto in dono la capacità di prevedere il futuro: infatti, è proprio lei a profetizzare le sventure che hanno delineato la storia di Troia, senza però venire creduta dal resto del mondo. Fisicamente, Cassandra viene descritta dal cronista Malalas come «bassa, rotonda, bianca, di figura virile, pupille scure, bionda, riccia, calma, nobile, vergine». Lo storiografo romano Darete Frigio la illustra come «di statura moderata, dalla bocca rotonda e dai capelli color dell’aurora. I suoi occhi lampeggiavano».
Origine del mito di Cassandra: il dono di Apollo
Diverse versioni del mito descrivono l’origine del dono di Cassandra, la profezia: secondo una delle prime, al compleanno di suo padre Priamo venne celebrata una festa nel santuario di Apollo. I piccoli Cassandra ed Eleno, stanchi dopo aver giocato, s’addormentarono nel tempio e così, il mattino seguente, Ecuba trovò i figli stretti da sacri serpenti intenti a purificarli. All’arrivo della donna, i serpenti scapparono in un cespuglio d’alloro, e da qui Cassandra e il fratello iniziarono a praticare l’arte profetica.
In un’altra versione, quella più famosa, Apollo dona la capacità profetica a Cassandra per ricevere il suo amore in cambio. Ma lei, una volta ricevuta la dote, rifiutò di concedersi al dio: così, innervosito, Apollo le sputò sulle labbra condannandola ad essere una profetessa inascoltata e mai creduta. Ancora altre versioni del mito narrano invece di una Cassandra intenta a fuggire alle continue insistenze di Apollo, il quale alla fine decise di maledirla. Viene nominata nell’Iliade ma non viene mai fatto cenno alle sue qualità divinatorie. Invece, nell’Agamennone di Eschilo, Cassandra si lamenta della sua relazione con Apollo:
«Apollo, Apollo!
Dio di tutte le vie, ma solo della Morte per me,
Una volta e un’altra volta, o tu, che sei il Distruttore,
mi hai distrutto, tu, mio antico amore!
Ho acconsentito [al matrimonio] con Lisia [Apollo], ma non ho mantenuto la parola…
Da quella colpa non sono più riuscita a convincere nessuno di nulla».
La profezia della caduta di Troia (fonte: Wikipedia).
Nelle Fabulae, l’autore latino Igino parla della sacerdotessa: «si dice che Cassandra, figlia del re e della regina, nel tempio di Apollo, esausta per l’esercizio fisico, si sia addormentata; quando Apollo volle abbracciarla, non le diede la possibilità di usare il suo corpo. Per questo motivo, quando profetizzava cose vere, non veniva creduta». Secondo Louise Bogan, poetessa americana: «lei e suo fratello Eleno furono lasciati per una notte nel tempio di Apollo. Non è stata fornita alcuna ragione per questa notte nel tempio; forse si trattava di un rituale eseguito abitualmente da tutti. Quando i genitori li videro il mattino seguente, i bambini erano avvinghiati a dei serpenti, che agitavano le loro lingue nelle orecchie dei bambini. Questo permise a Cassandra ed Eleno di predire il futuro. Quando Cassandra cresce, Apollo appare nello stesso tempio e cerca di sedurla, e lei rifiutando le sue avances la maledice facendo sì che le sue profezie non vengano credute». Il dono maledetto fu per lei fonte di profondo dolore, d’una interminabile frustrazione e d’una forte impotenza: infatti, nel mito, Cassandra aveva oramai la reputazione di bugiarda e pazza, in primis in famiglia e poi tra il popolo troiano. Proprio a causa di ciò, il padre Priamo decise di rinchiuderla in una cella. L’unica eccezione, ovvero l’unica profezia a cui il mondo circostante credette fu la più famosa del mito, ovvero quella di Paride, il fratello abbandonato.
Le profezie inascoltate più conosciute
Quando Cassandra è ancora piccolina riesce a prevedere i danni che il fratello Paride avrebbe causato alla città natale. I genitori non le credono, ma le sue parole vengono confermate da Esaco, interprete di sogni, il quale consigliò ai sovrani di portare il bimbo sul monte Ida; ma Paride si salvò e al suo ritorno Cassandra lo riconobbe subito, chiedendo al padre e ai fratelli di ucciderlo. Non creduta, Paride non venne demonizzato anzi ritornò al suo rango originale di principe. La profetessa inascoltata predice il rapimento di Elena e così la successiva caduta di Troia; o ancora, rivela che il cavallo di Troia era in realtà una trappola degli achei, ma ancora non viene creduta. L’unico a protestare e ad unirsi a lei fu Laocoonte, ma venne punito dalla dea Atena – in altre versioni da Poseidone – poiché favorevole ai greci, facendolo uccidere da due serpenti marini.
Il momento più importante nel mito di Cassandra: la caduta di Troia
Come già detto, Cassandra previde la pazzia d’amore di Paride: all’arrivo in città di Elena infatti, una nervosa Cassandra le strappò furiosamente il velo d’oro, togliendole qualche ciocca di capelli. Cassandra riuscì a prevedere anche le morti di tanti personaggi del mito, come la propria e quella di Agamennone, o ancora il destino di sua madre, i dieci anni di peregrinazioni di Ulisse e così via. Ne «La caduta di Troia» di Quinto Smirne, quando Cassandra rivelò della presenza greca nel cavallo di legno, non solo fu inascoltata ma anche insultata. Così, per dimostrare che diceva il vero, prese un’ascia e una torcia accesa e corse verso il Cavallo intentata a distruggere lei stessa i Greci, ma i Troiani la fermarono. Infatti, furono solamente i Greci a sorprendersi delle qualità profetiche della donna.
Alla caduta di Troia, Cassandra cercò rifugio nel tempio di Atena, abbracciando la sua statua per ricevere protezione; però, venne rapita e brutalmente violentata da Aiace il Minore. L’azione di Aiace fu un sacrilegio poiché contaminò il tempio violentando la donna e perché empio e miscredente. A causa del suo comportamento furono puniti quasi tutti i principi greci: infatti, il sesto capitolo di Apollodoro descrive la terribile morte di Aiace: «Atena scagliò una folgore contro la nave di Aiace; e quando la nave andò in pezzi, egli si mise in salvo su uno scoglio e dichiarò di essersi salvato nonostante l’intenzione di Atena. Ma Poseidone colpì la roccia con il suo tridente e la spaccò, e Aiace cadde in mare e morì; e il suo corpo, trascinato a riva, fu sepolto da Teti a Micone». Distrutta Troia, Cassandra fu presa come pallake, ovvero come concubina e schiava dal re Agamennone di Micene, ma furono poi entrambi uccisi da Clitennestra e da Egisto. Secondo alcune fonti del mito, Cassandra ebbe due figli gemelli da Agamennone, Teledamo e Pelope, uccisi da Egisto.
Aiace rapisce Cassandra (Fonte: Wikipedia).
La morte di Cassandra
Nel poema «Alessandra», Cassandra si sposa con Agamennone aumentando l’odio e la gelosia della moglie di quest’ultimo, Clitennestra. Così, Cassandra profetizza la morte e la rovina di Agamennone, ma un’altra volta non viene creduta, cadendo così nella congiura organizzata contro il marito da Clitennestra e da Egisto.
«Ma perché abbaio
da tanto tempo ai sassi che non sentono,
facendo risuonare un vuoto strepito, infelice che sono, e all’onda muta,
alle valli selvose spaventevoli?
Il dio di Lepsia
escluso dal torvo desiderio del mio letto,
mi privò di credito
e infuse bugiardo suono alle parole mie
e alla preveggente veridica sapienza dei responsi.»
(Alessandra, traduzione di V. G. Lanzara)
Cos’è la sindrome di Cassandra?
È una patologia che prende il nome dal mito di Cassandra perché porta il paziente a fare costanti ipotesi o profezie pessimistiche su di sé e sul mondo circostante, con la convinzione di non poter fare nulla per evitarle. Questa sindrome denota una tendenza psicologica maniacale che porta alla depressione. Le affermazioni classiche di chi è colpito dal complesso di Cassandra sono «non ce la farò mai» e «andrà tutto male»: la figura della sacerdotessa viene usata quindi per descrivere colui che fa visioni catastrofiche e nefaste, diventando così vittima delle proprie aspettative negative. Le sue «profezie» non vengono mai credute, perciò il paziente si sente costantemente svalutato e inutile.
Bachelard definisce le caratteristiche principali di chi è affetto dalla sindrome di Cassandra: bassa autostima, paura e costante mettersi alla prova. Chi soffre di questo complesso, non venendo creduto, finisce quindi nel non credere in sé stesso e a non amarsi. Infatti, la costante bassa autostima e incapacità di agire alle situazioni porta ad una depressione reattiva e ad una profonda frustrazione. La causa è spesso una profonda carenza affettiva avvenuta durante l’infanzia: il paziente cercherà costantemente l’altrui approvazione facendosi carico di ogni responsabilità. Svalutandosi, chi soffre del complesso prova una forte sensazione di paura in ogni momento della vita, arrivando addirittura a sviluppare le cherofobia: il paziente ha paura che in un momento positivo possa accadere qualcosa di inevitabilmente negativo. Così, non trovando un modo per uscirne, il paziente si sente impotente e passivo.
Colui che soffre della sindrome di Cassandra cade spesso nella «profezia autoavverante» ossia: «una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa, senza che concretamente ci siano elementi che possano condurre a quella conseguenza». Questa è una sorta di mania di controllo: infatti, come detto poc’anzi, se il paziente si dà al piacere della felicità, sente che in poco tempo andrà incontro a qualcosa di brutto; così, non riesce a viversi i momenti appieno. Inconsciamente, quindi, la «cassandra» farà il possibile per prepararsi psicologicamente al peggio settando il proprio cervello in uno status negativo. In amore questa patologia è causa di rapporti tossici: il paziente, sentendosi non meritevole di stima e di affetto, soffre tanto la gelosia e instaura relazioni che vertono sulla distanza emotiva, come afferma la psicoanalista Laurie Layton Schapira.
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