Il romanzo giapponese moderno: una panoramica

Il romanzo giapponese moderno

L’incontro con l’Occidente, avvenuto alla metà del XIX secolo, significò per il Giappone un ripensamento non solo delle proprie strutture politiche, economiche e sociali, ma anche dei propri modelli culturali. La scoperta dei classici del realismo europeo portò gli intellettuali dell’arcipelago ad elaborare una nuova concezione di letteratura, che rompeva totalmente con le forme letterarie di epoca Tokugawa. Quest’ultime, in particolare il gesaku, erano orientate verso una concezione moraleggiante della letteratura ed erano perlopiù costituite da parti dialogiche, mentre la nuova letteratura “moderna” aderiva ai canoni del romanzo realista ottocentesco.

Con “Shosetsu Shinzui” (“L’essenza del romanzo”) Tsubouchi Shoyo pone le basi teoriche per lo sviluppo del romanzo giapponese moderno, improntato sull’analisi dei sentimenti dei personaggi e fine a sé stesso, senza nessun intento didattico. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si svilupperanno varie correnti letterarie, come il romanticismo o il naturalismo, che cercheranno di concepire una propria estetica prendendo ad esempio gli autori occidentali, largamente tradotti nello stesso periodo.

Natsume Soseki, padre del romanzo giapponese moderno

Natsume Soseki è senza alcun dubbio il padre della letteratura giapponese moderna. Attivo dal 1905 al 1916 ( anno della morte) è stato lo scrittore più rappresentativo della fine dell’epoca Meiji (1868-1912), capace di rappresentare la crisi dell’uomo moderno come nessuno era mai riuscito a fare in Giappone. Amante della cultura cinese ma grande esperto di letteratura inglese, operò in un periodo nel quale il Giappone era in piena fase di modernizzazione, nel tentativo di mettersi al passo con i paesi occidentali, senza curarsi troppo di mantenere la propria identità.

Questo periodo di cambiamenti portò ad una vera e propria lacerazione nell’animo dei giapponesi, divisi tra l’appartenenza ad una cultura considerata unica e la modernizzazione sul modello occidentale. Molti dei protagonisti dei romanzi di Soseki, da Sanshiro al professore protagonista di “Kokoro” (“Il cuore delle cose”), vivono questa crisi individuale, dalla quale, per lo scrittore, l’unico modo di uscire è l’affermazione della propria individualità, come egli afferma nella sua celebre conferenza «Watakushi no kojinshugi» (“Il mio individualismo”). La cura nel tratteggiare la psicologia dei personaggi, la straordinaria capacità descrittiva e l’uso sicuro di vari stilemi letterari, dal flusso di coscienza di “Kofu” (“Il minatore”) alla satira di “Wagahai wa neko de aru” (“Io sono un gatto”), suo esordio letterario, fanno di Natsume Soseki l’autore per antonomasia del romanzo giapponese moderno.

Il romanzo giapponese moderno: i maggiori autori

Dalla fine dell’epoca Meiji al secondo dopoguerra, il Giappone vive una serie di sconvolgimenti al livello politico che culmineranno nella sconfitta patita nella Seconda Guerra Mondiale e la conseguente occupazione statunitense.

Il mondo letterario, che vivrà un periodo difficile durante l’era dei governi militari a causa della censura, non rimane estraneo agli innumerevoli avvenimenti del paese, e si sviluppano una serie di correnti letterarie come il modernismo, simboleggiato dallo Shinkankakuha (Scuola della nuova sensibilità). La letteratura proletaria e, come conseguenza dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, nasce una corrente definita “letteratura della bomba atomica”, rappresentata da autori come Ibuse Masuji, autore di “Kuroi ame” (“La pioggia nera”), il romanzo più celebre di questo movimento.

In questo lasso di tempo, gli autori più importanti corrispondono ai nomi di Tanizaki Jun’ichiro, Kawabata Yasunari, Dazai Osamu e Mishima Yukio. Tanizaki ha una lunga carriera che inizia alla fine dell’epoca Meiji e si conclude nel 1964, anno della sua morte nel quale venne anche candidato al premio Nobel per la letteratura. Autore di numerosi racconti e romanzi, tra cui “Sasame yuki” (“Neve sottile”), romanzo storico ambientato durante la guerra del Pacifico, Tanizaki è inizialmente ampiamente ispirato dalla letteratura occidentale, soggetto dei suoi primi lavori, ma dopo il Grande Terremoto del Kanto del 1923 l’autore svilupperà un forte interesse per la classicità giapponese (tradurrà anche in giapponese moderno il capolavoro della letteratura cortese “Genji monogatari”).

Kawabata, primo giapponese a vincere il Nobel per la letteratura (1968), inizia la sua carriera letteraria negli anni Venti con alcune opere, come “Asakusa kurenai dan” (“La banda di Asakusa”), ascrivibili alla corrente del modernismo, ma si farà successivamente portatore dei valori della tradizione giapponese, senza comunque eliminare totalmente le influenze degli esordi.

Mishima Yukio, allievo di Kawabata e forse l’autore giapponese più conosciuto all’estero fino alla fine del XX secolo, è spesso associato alla figura del conservatore della tradizione giapponese ed è stato accusato di presentare al mondo un Giappone “esotico”, legato agli aspetti tradizionali e ai valori tipici dei samurai. La sua morte, avvenuta tramite seppuku (suicidio rituale) il 25 Novembre 1970, dopo un tentativo di colpo di stato per ripristinare l’esercito giapponese, lo ha reso, sia in patria che all’estero, una figura controversa e talvolta disprezzata, ma non bisogna dimenticare che è stata una delle voci più talentuose del panorama letterario del dopoguerra. Autore di capolavori come “Kinkakuji” (“Il padiglione d’oro”) o la tetralogia “Hojo no umi” (“Il mare della fertilità”).

Dazai, tra gli autori citati, è stato quello con la carriera più breve, conclusasi nel 1948 con il suicidio di coppia con Tomie Yamazaki, ma ha contribuito alla storia del romanzo giapponese moderno con due titoli come “Shayo” (“Il sole si spegne”) e “Ningen Shikkaku” (“Lo squalificato”); la grande sensibilità artistica di Dazai, capace di rappresentare minuziosamente il disagio di chi è “inadatto” alla società, lo rende uno scrittore molto amato anche dalle nuove generazioni, anche grazie a due adattamenti a fumetti ad opera di “Furuya Usamaru” e “Ito Junji“.

Da Oe a Murakami, due figure di intellettuali opposte

La generazione successiva a quella di Mishima vive appieno le contraddizioni del Giappone post occupazione, dalle proteste politiche ai movimenti studenteschi di fine anni Sessanta, al miracolo economico alla bolla speculativa di metà anni Ottanta.

Oe Kenzaburo, secondo giapponese a vincere il premio Nobel per la letteratura (1994), è stato forse l’intellettuale di più alto profilo del paese dai tempi di Natsume Soseki. Pacifista, antinuclearista, anticonformista e critico nei confronti del governo giapponese, e dell’istituzione imperiale, Oe rifiutava la visione idealizzata del Giappone, propria di autori come Kawabata, e riteneva fosse necessario che il paese si prendesse le proprie responsabilità per quello che aveva commesso durante gli anni della guerra del Pacifico, e che sviluppasse dei valori che fossero davvero democratici.

Nei suoi primi scritti (tra i quali si segnalano “Sebunteen” e “Seiji shonen shisu”, uno il seguito dell’altro) è l’interesse politico ad essere preponderante, ma dopo il 1963, anno di nascita del suo primogenito, nato con un grave handicap, Oe, anche a seguito di un viaggio a Hiroshima, dove avrà la possibilità di confrontarsi con i sopravvissuti al bombardamento atomico, inserirà sovente nelle proprie opere temi personali, come in “Kojintekina taiken” (“Un’esperienza personale”), nel quale il protagonista decide di prendersi le proprie responsabilità di marito e padre di un figlio disabile dopo un tormentato percorso di crescita. È però con “Man’en gan’nen no futtoboru” (“Il grido silenzioso”) che lo scrittore compie il proprio capolavoro, riuscendo a coniugare i temi più a lui più cari: la marginalità dello Shikoku, sua regione d’origine, la critica alle istituzioni sociopolitiche giapponesi e la propria esperienza familiare.

Grazie a questo romanzo vincerà l’ambito premio Tanizaki nel 1967, a cui faranno seguito i più importanti premi letterari del Giappone e non solo, rendendo Oe uno degli autori più importanti del XX secolo. Spesso criticato dallo stesso Oe per via della natura “commerciale” dei suoi romanzi, Murakami Haruki rappresenta da più di quarant’anni il panorama letterario giapponese. Il suo maggior punto di forza, oltre alla straordinaria immaginazione che caratterizza gran parte dei suoi romanzi, è proprio il suo incasellarsi perfettamente tra alto e basso, che gli permette di creare romanzi estremamente attraenti per il grande pubblico.

Murakami è però tutt’altro che un semplice autore di bestseller; le sue opere sono pervase da una malinconia di fondo e da un forte senso di solitudine che colpisce in pieno i protagonisti di romanzi come “Noruwei no mori” (“Norwegian Wood”), “Nejimaki-dori kuronikuru” (“L’uccello che girava le viti del mondo”) o “Kokkyo no minami, taiyo no nishi” (“A sud del confine, ad ovest del sole”). Forte è l’attenzione all’evoluzione in senso capitalistico della società giapponese, colpevole di aver fatto nascere nei propri individui un forte senso di alienazione, al quale, soprattutto nei romanzi degli anni Ottanta e Novanta, si reagisce con un recupero della memoria della propria giovinezza, associata a valori meno materialisti e più umani (senza però scadere in un passatismo retrogrado e reazionario).

Sperimentando disparati stili letterari e spaziando da romanzi fantastici ad opere più intime, Murakami ha dato un massiccio contributo al romanzo giapponese moderno, alimentando la fama della narrativa nipponica contemporanea in tutto il mondo. Oe e Murakami, pur rappresentando due tipi di intellettuali diversi tra loro, sono lo specchio di una classe intellettuale che ha profondamente ripensato gli eventi del proprio paese ed è riuscita a fare autocritica, ponendo forse le basi per una società nel complesso più consapevole della propria storia.

Immagine in evidenza: Pixabay

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