L’espressione “teatro di Shakespeare” rimanda nell’immediato a qualcosa che tutti riconoscono come familiare, in vista del fatto che la notorietà raggiunta dalla sua prolifica produzione è confermata anche dai non appassionati del settore. Sarà capitato almeno una volta, nella vita di ciascuno, di citarlo o sentirlo nominare, indipendentemente dalla conoscenza specifica di una sua opera, complici le varie, e talvolta brillanti, riletture della cultura di massa. Ma a cosa attribuire un tale successo? E quali sono gli elementi, del suo teatro, che sono perdurati nel tempo?
Teatro di Shakespeare: cenni storici
Una premessa va fatta al tipo di teatro a cui William Shakespeare afferisce, conosciuto come elisabettiano e, in seguito, giacomiano. Con questo termine ci si riferisce a connotazioni peculiari assunte dallo stesso durante il regno della figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, Elisabetta I Tudor e il suo successore, Giacomo I, tra il 1558 e il 1625. Proprio in quegli anni, il drammaturgo inglese, metteva in scena i grandi capolavori a lui attribuiti. Si parla di un teatro completamente immerso nella realtà quotidiana, nel tessuto urbano, legato a quell’idea di polis, in tal caso londinese, in cui la riflessione politica va di pari passo con quella culturale.
I teatri, o edifici che assolvevano a tale funzione, erano tanti a Londra: The Globe, The Curtain, The Theatre e la lista potrebbe continuare. Già solo questo fattore potrebbe far intuire la popolarità di un fenomeno simile, lontano dalla concezione odierna di intrattenimento elitario. Destinato ad una varietà sociale molto ampia, il nobile e il popolano erano uguali davanti alla rappresentazione teatrale (con le dovute limitazioni). Tuttavia, il largo consenso delle opere shakespeariane, sin dai suoi contemporanei, non può attribuirsi soltanto alle condizioni materiali tipiche di questo teatro. Per quanto sia ormai noto che egli non abbia innovato di molto rispetto al contenuto (le storie erano riprese da novelle e racconti precedenti, è il caso de “Le Ecatommiti” di Cinzio Giraldi per “Othello” o “Gesta Danorum” di Saxo Grammaticus per “Hamlet”), la sua abilità è da ricercarsi negli artefici teatrali e linguistici, ampiamente ripresi nella cultura successiva, oppure nella modernità con cui alcuni temi, dalla rinnovata moralità, vengono messi in scena.
Peculiarità del suo teatro
La metateatralità è uno dei meccanismi più noti nel teatro contemporaneo, ma al tempo in cui scriveva Shakespeare, doveva essere piuttosto rivoluzionario. Egli è perfettamente consapevole di giocare sullo statuto di veridicità dell’arte teatrale stessa: quando il pubblico guarda una rappresentazione, crede a quel che avviene sulla scena, assimilandola come un’azione vera. In altre parole, più di ogni altra arte, esso produce finzionalità attraverso personaggi vivi, che si muovono (“attore” deriva da “actor”, colui che agisce), parlano, mostrano emozioni. La risposta emotiva del pubblico è immediata ed inevitabile, perché avviene davanti ai suoi occhi – motivo per cui una delle funzioni del metateatro è incrementare il coinvolgimento della platea, la quale diventa parte integrante dell’opera.
L’originalità di Shakespeare si realizza attraverso vari espedienti: il noto “Play Within The Play”, così rinomato dalla critica postuma, è uno di essi. Se il teatro è “mimesi dell’azione nel linguaggio”, il drammaturgo fa muovere i suoi personaggi in modo che loro stessi creino una finzione – una recita, uno spettacolo inscenato da commedianti chiamati in determinate occasioni – all’interno della stessa rappresentazione, come in un gioco di scatole cinesi. Hamlet, probabilmente la più famosa tra le sue tragedie, ne è l’esempio calzante. Nel caso specifico, sebbene la funzione catartica del teatro affondi le radici in tempi molto più antichi, è anche vero che nel rivivere l’azione, con lo scopo di far uscire allo scoperto il colpevole dell’assassinio del padre, Amleto ha l’obiettivo – consapevole o meno – di indurre in se stesso una reazione, un coinvolgimento emotivo che egli non sente.
Esempi di play within the play si riscontrano in altri lavori come “As you like it” e “A Midsummer Night’s Dream”, per citarne qualcuno.
Una tradizione, questa, che non si ferma con il teatro di Shakespeare, ma che trova un notevole seguito nel Novecento. Nell’universo culturale italiano, Luigi Pirandello con “Sei personaggi in cerca d’autore” e “Stasera si recita a soggetto”, riformula la nozione di teatro nel teatro, facendone il fulcro di alcune tra le sue più amate rappresentazioni.
Una trattazione separata è quella concernente gli artifici retorici, condendo di elementi aggiuntivi il significato di “metaletterarietà”. Parliamo, infatti, di tutti quegli episodi in cui Shakespeare inserisce delle riflessioni sul teatro, pronunciate dai suoi personaggi: è il caso del famoso «tutto il mondo è un palcoscenico» di “As you like it”, che trova assonanza con una delle battute iniziali con cui Antonio introduce se stesso ne “The Merchant of Venice”: «Io considero il mondo per quel che è, Graziano: un palcoscenico dove ogni uomo deve recitare la sua parte, e la mia è una parte triste». Di nuovo, la frase di chiusura di “The Tempest” «così la vostra indulgenza metta me in libertà», quando Prospero chiede al pubblico di essere liberato, pare molto simile alla chiusura della commedia per il grande schermo di Totò in “Miseria e Nobilità” (1954) – rielaborazione del lavoro in atti di Eduardo Scarpetta (1888) – prima che si abbassi il sipario: «Torno nella miseria, però non mi lamento. Mi basta di sapere che il pubblico è contento.»
Altro grande merito del teatro di Shakespeare è la vivacità e produttività della sua lingua. Una lingua inglese che, sebbene al tempo non fosse ancora stata sistematizzata, non ha posto limiti alla sperimentazione che ne è derivata. Una caratteristica vena creativa rende i suoi lavori assimilabili su più livelli interpretativi. Metafore, allitterazioni, giochi di parole, neologismi, tutto è connesso al fine di plasmare un contenuto che vada di pari passo con una forma mai accidentata. Paradigmatiche sono le parole di un altro grande della letteratura inglese e mondiale, John Milton. Ci troviamo nel 1645, quando nel poemetto “L’Allegro”, scriverà: «sweetest Shakespeare, fancy’s child, warble his native wood-notes wild». Dunque, il merito di Shakespeare, uomo dalla grande fantasia, è di aver reso la lingua inglese, pregna di “suoni legnosi” (wood-notes), estremamente vivace, cioè wild.
Questa caratteristica non è ereditata solo dai suoi contemporanei. Ci tocca fare un bel passo in avanti con Samuel Beckett, con il suo teatro dell’assurdo, sì, ma anche della forza sperimentale della parola.
Ennesimo ingrediente di successo sono i temi universali da lui toccati. Amore, invidia, alienazione, il diverso, il potere, il tradimento, la crisi endemica del concetto della famiglia. Il teatro trovava largo consenso perché parlava al pubblico di sentimenti umani, perfettamente comprensibili. L’animo umano si dispiega attraverso personaggi psicologicamente sfaccettati, in cui ciascuno trova una propria identità e caratterizzazione; tutti contribuiscono a tessere una trama che si infittisce fino allo scioglimento finale.
Conflitti psicologici e lotte di potere sono i temi prediletti dal drammaturgo, registra, sceneggiatore inglese Harold Pinter, che inequivocabilmente accoglie gli spunti del teatro elisabettiano.
Il teatro di Shakespeare ha segnato una profonda linea di demarcazione nella storia letteraria inglese e mondiale. L’umile tentativo di ricercare rimandi e corrispondenze, nel passato e nel presente, non fa che rendere chiaro che ci sono delle personalità con cui ci si deve necessariamente interfacciare per produrre arte.
Fonte foto: Wikipedia.com
Per i versi tradotti delle opere di Shakespeare: traduzione di Agostino Lombardo