A che punto siamo con la rappresentazione femminile nei prodotti artistici della nostra cultura? Che importanza ricoprono le donne nei libri e nei fumetti che leggiamo, nei film e nelle serie tv che guardiamo? La domanda può apparire banale, eppure è la stessa che ha portato alla formulazione deI celebre test di Bechdel, ideato alla fine degli anni ’80. Il test in questione è un metodo utilizzato per valutare l’impatto di personaggi femminili nelle opere di finzione.
Siamo così abituati alle narrazioni maschili predominanti, al male gaze, che risulta difficile anche solo fare caso a come vengono rappresentate le donne nei prodotti della nostra cultura, e al ruolo che ricoprono in questi ultimi. La maggior parte dei personaggi femminili compare in libri, film, fumetti e serie tv unicamente come partner sessuale, come oggetto del desiderio maschile, come la damigella in pericolo o come cosiddetta donna nel frigorifero, espediente narrativo che che consiste nell’utilizzo della morte o del ferimento di un personaggio femminile al solo scopo di spingere all’azione l’eroe di sesso maschile, protagonista della storia.
La riflessione provocatoria di Bechdel ha portato proprio a rivalutare i criteri con i quali vengono rappresentate le donne nei prodotti di finzione e a sensibilizzare sulla disuguaglianza di genere in ambito narrativo. Il test consiste nel verificare se un’opera presenta almeno due personaggi femminili intenti a parlare tra di loro di un qualsiasi argomento che non riguardi un uomo; il criterio può essere reso ancora più restrittivo aggiungendovi la condizione che il nome dei due personaggi deve essere noto.
Origine
Come nasce il test di Bechdel? I criteri furono enunciati in una striscia di un fumetto del 1985 della serie Dykes to Watch Out For di Alison Bechdel, intitolata The Rule (La regola): due donne vorrebbero trascorre la serata al cinema e durante la discussione Mo, la donna nera, dice all’amica che acconsentirà a vedere un film solo se soddisferà tre condizioni:
- Devono esserci almeno due donne
- Le due donne parlano tra di loro di qualsiasi argomento
- L’argomento non deve riguardare un uomo.
La donna bianca osserva che si tratta di condizioni piuttosto severe ma accettabili, e Mo aggiunge che l’ultimo film capace di rispettare tali criteri era stato Alien poiché “le due donne parlano del mostro.”
La frase citata da Bechdel è ispirata a una riflessione di Virginia Woolf nella sua opera del 1929 Una stanza tutta per sé, in cui la scrittrice britannica lamentava il fatto che le figure letterarie femminili fossero sempre descritte in veste di mogli, madri, sorelle o figlie e in relazione agli uomini:
«”Chloe voleva bene a Olivia”, lessi. E fu allora che notai quale immenso cambiamento fosse implicito in quella frase. Chloe voleva bene a Olivia forse per la prima volta nella storia della letteratura […] cercai di ripensare a qualche esempio, incontrato nelle mie letture, nel quale due donne vengono presentate come amiche. […] A volte sono madri e figlie. Ma quasi senza eccezione vengono presentate in rapporto agli uomini. Era strano pensare che tutte le grandi donne della narrativa, fino ai tempi di Jane Austen, non solo erano viste attraverso gli occhi dell’altro sesso, ma erano viste unicamente in rapporto all’altro sesso.»
Impatto nella società
La frase, nata come semplice battuta provocatoria nel fumetto di Bechdel, a partire dagli anni ’10 del 2000 ha iniziato a essere considerata dalla critica femminista come lo standard di valutazione della rappresentazione femminile nei programmi televisivi, film, libri e altri mezzi di comunicazione della nostra cultura.
Dal 2014 Eurimages, il fondo del Consiglio d’Europa per la produzione cinematografica, include i requisiti del test di Bechdel tra i criteri necessari alla valutazione di un copione in ottica dell’uguaglianza di genere. Esiste perfino un sito web, bechdeltest.com che ospita un database con i risultati dei test applicati a circa 9187 titoli cinematografici. Nell’agosto 2019 il 57,6% dei film esaminati risultava rispettare ogni requisito; il 10,2% tutti meno uno, il 22,1% solo uno e il 10,1% nessuno.
Risulta assurdo pensare che nel 2010 se il test di Bachdel fosse stato imposto per legge, anche solo metà dei titoli candidati agli Oscar del 2009 non lo avrebbero superato; nel 2011 la critica canadese Anita Sarkeesian simulò il test sui titoli nominati all’Oscar di quell’anno scoprendo che solo due su nove lo avrebbero superato.
É interessante notare, come evidenziato dallo scrittore Charles Stross, che in circa la metà dei film che passano il test le donne parlano di matrimonio o di bambini, mentre tra le opere che non superano tale test ne figurano numerose che trattano di donne, sono rivolte alle donne o, ancora, hanno personaggi femminili in ruoli importanti come per esempio la serie televisiva Sex and the City.
Perché allora risulta così difficile superare un test così apparentemente minimale? Tra i possibili fattori sono stati suggeriti quello della scarsa presenza di registe donne (fenomeno chiamato soffitto di celluloide), nonché la presunta convinzione che il pubblico non gradisca film che hanno donne forti come protagoniste. Il produttore cinematografico Michael Shamberg affermò al riguardo che «è più facile che le donne vadano a vedere un “film di uomini” che non gli uomini facciano lo stesso con un “film di donne”»
I film che superano il test
Esistono diversi titoli, tuttavia, che superano il test di Bechdel e non è un caso che la maggior parte dei titoli in questione non siano stati scritti da maschi etero cisgender. Tra i titoli che superano il test figurano Thelma e Louise, Piccole Donne, Barbie, Tutto su mia madre, La vita di Adele. Questi sono solo alcuni degli esempi di film che hanno aperto le porte a ruoli femminili potenti e fortemente centrali, in cui le donne hanno finalmente smesso di avere una funzione accessoria per diventare esse stesse le protagoniste, esprimendo nuovi punti di vista e visioni.
Fonte immagine: Wikimedia Commons