«Che cosa c’è in questo preciso spicchio di mondo che ha potuto distruggere centinaia di navi e aeroplani senza lasciare tracce?». Così scrive nel 1964 il giornalista americano Vincent Gaddis in un articolo in cui elenca, in modo suggestivo, una serie di sparizioni di navi ed aerei nella celebre e maledetta zona conosciuta come “triangolo delle Bermuda”.
Quanto mistero aleggia intorno ad una leggenda, che nel tempo alimenta le fantasie di scrittori e studiosi, desiderosi di scavare a fondo o crogiolarsi nella suggestione del mito!
Ma cos’è propriamente il triangolo delle Bermuda? È una zona dell’Oceano Atlantico settentrionale, recante la forma immaginaria di un triangolo, i cui vertici sono: il vertice Nord, ossia il punto più meridionale dell’isola principale dell’arcipelago delle Bermuda, da cui trae nome; il vertice Sud, ossia il punto più orientale dell’isola di Porto Rico; il vertice Ovest, ossia il punto più meridionale della penisola della Florida.
Proprio in relazione a tale vasta zona marina, pari a 1.100.000 km2, il folklore alimenta il mistero legato a numerosi episodi di sparizioni di navi ed aerei, soprannominando pertanto l’area “Triangolo maledetto” o “Triangolo del Diavolo”.
Ma fino a che punto tale leggenda viene considerata mistero nella cultura di massa? Quali le prove scientifiche atte ad avallarne o confutarne i presupposti?
Il triangolo delle Bermuda: tra leggenda e filmografia
Il mito del triangolo delle Bermuda, legato ad inusuali sparizioni, trae linfa da articoli e libri atti a divulgare ipotesi soprannaturali che spieghino le presunte sparizioni. Le prime notizie risalgono al 1950 ad opera del giornalista Edward Van Winkle Jones, in un articolo per Associated Press. Nel 1952 il Fate, magazine statunitense sui fenomeni paranormali, pubblica un breve articolo di George X. Sand, riportando la presunta sparizione di aerei e navi, come il Volo 19 e un gruppo di cinque navi della United States Navy. È qui che il mito trae origine, insieme alle prime ipotesi soprannaturali su un fenomeno che ancora fa parlare e fantasticare.
Ma la leggenda assume reale spessore soprattutto a partire dalla pubblicazione del best seller Bermuda, il triangolo maledetto (The Bermuda Triangle), il suggestivo libro scritto nel 1974 dallo statunitense Charles Berlitz, in cui lo scrittore infittisce sapientemente il mistero, asserendo che nella zona circoscritta avverrebbero misteriosi fenomeni accostati al paranormale e a teorie aliene.
La popolarità del capolavoro di Berlitz ispira successivamente la fantasia dei registi, autori di pellicole cinematografiche che hanno per oggetto civiltà scomparse, extraterrestri e avventure misteriose. A tal riguardo si menziona Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) di Steven Spielberg, in cui il mito delle sparizioni avvenute nel triangolo delle Bermuda sposa la tesi del rapimento alieno.
La leggenda viene altresì menzionata nell’ultima puntata della prima stagione del telefilm Fringe, in cui Nina Sharp indica la zona come una delle prime sulla Terra dove alcune caratteristiche fisiche della materia inizierebbero ad indebolirsi, consentendo il passaggio tra ipotetici universi paralleli.
In Italia il mito viene menzionato nel film Selvaggi (1995) di Carlo Vanzina, in cui il protagonista Ezio Greggio e i suoi compagni di viaggio, dopo il salvataggio seguito a un primo incidente aereo, si ritrovano su un gommone all’interno del triangolo delle Bermuda, cercando speranzosi aiuti per ingannare l’incubo.
Il triangolo delle Bermuda: la confutazione del mito
Senza dubbio l’opera di Berlitz lascia un segno nell’immaginario collettivo, avallando tesi che probabilmente non trovano autentico riscontro scientifico ed empirico. Si tratta pur sempre di divulgazione misteriologica, nata con il volontario intento di cavalcare l’onda del sensazionalismo, contribuendo alla diffusione di una reputazione “maledetta” per la nota e gigantesca zona della morte. Tuttavia ci sono studiosi impegnati, attraverso ricerche ed approfondimenti, a confutare tutto quanto non trova esatto riscontro con le parole di Berlitz e di quanti, come lui, avallano la teoria del mistero. Molti sostengono infatti che il numero di incidenti nel triangolo non sia affatto superiore a quello di una qualsiasi altra regione ad alta densità di traffico aeronavale.
In particolare, lo scrittore ed aviatore statunitense Larry Kusche, nel suo libro del 1975 The Bermuda Triangle Mistery: Solved mette in luce le evidenti imprecisioni ed alterazioni contenute nell’opera di Berlitz: in molti casi si riscontrano omissioni di informazioni importanti, come la scomparsa di vittime in realtà suicidatesi. Inoltre viene ancora dimostrato come numerosi incidenti indicati come avvenuti nel triangolo si fossero in realtà verificati a distanza, inclusi nei racconti pertanto in malafede. Le ricerche scientifiche di Kusche portano pertanto ad alcune impeccabili conclusioni: il numero di sparizioni aeronavali è percentualmente paragonabile a quello di altre zone dell’oceano; le sparizioni sarebbero facilmente spiegabili (senza interpellare il mistero!) a causa delle tempeste tropicali; il numero di sparizioni sarebbe stato esagerato e falsato, così come le circostanze delle scomparse. Insomma, una leggenda fatta ad arte, divulgata tra suspense e mistero, utilizzando dati errati e omissioni empiriche. È possibile convenire che l’area romanzata sia una delle vie commerciali più affollate, quindi, e che la maggioranza delle scomparse sia ricollegabile ad avverse condizioni meteorologiche e a ritardi nei soccorsi.
Anche il comunicatore scientifico e divulgatore australiano Karl Kruszelnicki giunge alle medesime conclusioni di Kusche sulle modalità e circostanze delle “strane sparizioni” avvenute nel triangolo. Secondo lo studioso il mito nasce tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, quando diverse navi ed aerei non sono più stati ritrovati. Anche Kruszelnicki rifiuta l’argomentazione sensazionalistica, ponendo l’accento sulle avverse condizioni meteorologiche e l’intenso traffico della zona. Inoltre pone in causa gli errori umani, come stato di ubriachezza dei piloti e/o assenza delle misure di sicurezza. Per quel che concerne la questione dei relitti perduti, la sua teoria è ancora scientifica: acque estremamente profonde che rendono quasi impossibile qualsiasi ritrovamento.
Il triangolo delle Bermuda: l’Università di Southampton e ufologia
Altri studiosi ritengono invece che il numero di sparizioni aeronavali nell’area in oggetto sia significativamente più alto della media. Ma contrariamente a scrittori e sensazionalisti, ricercano nelle possibili cause spiegazioni naturali. Secondo i ricercatori dell’Università di Southampton, ad esempio, la causa delle “misteriose” sparizioni sarebbe imputabile ad onde anomale alte 30 metri, create dalla convergenza delle correnti. Per dimostrare tale teoria, gli scienziati hanno usato simulatori indoor atti a ricreare tali onde. Hanno così costruito un modello della USS Cyclops, nave militare americana scomparsa in quella zona nel 1918 durante la rotta dalle Barbados in Virginia. In definitiva, la simulazione evidenzia chiaramente come nonostante le dimensioni e la forma dello scafo, non sarebbe occorso tanto tempo prima che l’imbarcazione fosse “divorata” dal muro d’acqua. Nell’area del triangolo sussistono tempeste che convergono da Sud e da Nord; inoltre, altre correnti provenienti dalla Florida creano la combinazione assoluta e perfetta per la nascita delle onde anomale. La creazione di un muro d’acqua di tale portata non lascia scampo a qualunque tipo di imbarcazione, anche quella apparentemente più robusta. Tale struttura può spezzarsi facilmente ed affondare nel giro di qualche minuto.
Nell’avallare poi le teorie misteriologiche, vari autori abbracciano la spiegazione ufologica circa le sparizioni. Tali sarebbero da imputare ai rapimenti alieni, in quanto, considerando come proprio territorio l’area del triangolo delle Bermuda, non tollerano altre presenze.
In generale, nonostante la confutazione del mito avallata da ricercatori che mettono al primo posto la verità e le informazioni debitamente raccolte e corrette, intorno al triangolo delle Bermuda continua a sussistere un alone di mistero nell’immaginario collettivo di una platea interessata più alle storie straordinarie e strampalate che alla realtà dei fatti e delle informazioni scientifiche ricercate empiricamente. Fatti distorti ed inspiegabili continuano a sedurre le menti di quanti preferiscono crogiolarsi in una realtà alternativa.
Chissà, magari Spielberg aveva ragione. Magari ci si trova davvero a volte di fronte ad eventi misteriosamente inspiegabili ed anomali! O magari, piuttosto, sussiste il rifiuto di vedere al di là del proprio naso, preferendo realtà che si nutrono della superstizione di un mito fuori tempo.
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