Kamishibai, l’arte narrativa giapponese per sviluppare la creatività

Kamishibai, l’arte narrativa giapponese per sviluppare la creatività

Kamishibai: scopri di più sull’arte narrativa giapponese, la risposta alla tecnologia e all’intrattenimento “sbagliato” dei bambini anche in età pre-scolare!

In occasione dell’incontro “Il futuro delle ossa si costruisce da bambini”, che si è svolto a Milano il 19 giugno scorso, i medici ortopedici della Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot) hanno diffuso dati sconcertanti sull’aumento, solo negli ultimi 10 anni, del 700 % dei casi di cifosi nelle scuole medie inferiori. La responsabilità di questo atteggiamento cifotico, che comporterebbe l’incapacità dei bambini a mantenere in posizione eretta la colonna vertebrale, risiederebbe nell’uso frequente (per non dire continuo) di smartphone, tablet e pc, fin da piccoli (dai 3-4 anni di età). Il prolungato intrattenimento peggiora, infatti, questo disturbo spesso sottovalutato, portando gradualmente i bambini a dover indossare un busto ortopedico o addirittura a ricorrere alla chirurgia.

È arrivata, però, dal Giappone, patria delle tecnologie più avanzate ma anche delle tradizioni più longeve, una nuova tecnica di narrazione che aiuta non solo lo sviluppo della creatività, ma anche delle “mappe mentali”: il kamishibai.

Il kamishibai, letteralmente “spettacolo teatrale (shibai-teatro) di carta (kami)”, affonda le sue radici nel XII secolo quando i monaci buddisti si spostavano di villaggio in villaggio per istruire la popolazione analfabeta, narrando le storie su Buddha, usando gli emakimono  (opere narrative su rotoli), sempre caratterizzate da una morale e da contenuti a sfondo sociale.

Tra il 1920 e il 1950, poi, aumentarono, ‘arruolati’ dal Kashimoto,  i Gaito kamishibaiya (ben 50.000 in Giappone e 2.500 solo a Tokyo), veri e propri “narratori a pedali” che, battendo i due hyoshigi, bastoncini di legno oggi utili a mostrare i punti salienti in una narrazione, annunciavano il proprio arrivo in città.

Sistemati i bambini e dopo aver assegnato i posti in prima fila ai golosi acquirenti di caramelle dal narratore, iniziava lo spettacolo. Posizionato sul sellino della sua bicicletta il Gaito kamishibaiya mostrava una serie di disegni in un piccolo teatrino di legno, una sorta di televisione artigianale dinanzi alla quale, incantati, i bambini seguivano il corso della storia fra i disegni originali (alcuni, molto antichi, sono oggi conservati al Kyoto Museum) che si avvicendavano l’uno dopo l’altro, e i rumori creati da alcuni strumenti a percussione, a volte montati sulla bicicletta.

Ogni spettacolo comprendeva un episodio: in questo modo la serialità del racconto assicurava al narratore la partecipazione allo spettacolo successivo. E ogni ciclo di storie non presentava solo contenuti rivolti ai più piccoli, ma anche riferimenti alla politica e all’attualità, come una sorta di “Carosello di carta” ma anche di “telegiornale” che spesso sfruttava la grande popolarità di questa tradizione per fare propaganda o satira politica (tanto che alcune storie sono poi state inserite in manga e anime).

Con la nascita del cinema sonoro (infatti molti di questi narratori, detti benshi, prestavano le proprie voci ai protagonisti dei film muti) e della televisione, questa tecnica narrativa sembrava scomparsa negli anni ’50, fin quando non è stata rivalutata per lo sviluppo della creatività e dell’importanza della narrazione ‘viva’, nelle biblioteche e nelle scuole giapponesi.

Questa tecnica narrativa, giunta in Italia grazie alla casa editrice bolognese Artebambini fondata da Paola Ciarcià e Mauro Speraggi, è oggi apprezzata e imparata non solo da insegnanti ed educatori, ma anche da bibliotecari e genitori. Infatti non è necessario frequentare corsi di formazione (anche se molti sono promossi da Artebambini e da AKI- Associazione Italiana Kamishibai) ma si può imparare anche da autodidatti acquistando libri specializzati o semplicemente affinando la propria arte interpretativa e acquisendo dimestichezza con il cambio frequente dei disegni da mostrare nel teatrino.

I materiali utili a imparare questa tecnica narrativa per proporla in classe, in biblioteca o semplicemente a casa, sono pochi e facilmente reperibili. Il butai, il teatro di legno (montato spesso sul portapacchi di una bicicletta dai Gaito kamishibaiya giapponesi) è uno di questi, ma occorrono poi anche i già menzionati bastoncini in bambù, gli hyoshigi con i quali potete aiutarvi nella spiegazione o nelle indicazioni di particolari della vicenda e dell’entrata dei personaggi, e circa una decina di cartoncini con disegni e testo sulle due facciate.

Tuttavia, sono proprio i bambini spesso a realizzare e a tessere, osservando i disegni, la trama della narrazione: in questo modo non solo sviluppano la loro creatività, spesso appiattita dinanzi ai giochi dai finali già decisi, ma anche la capacità di osservazione e quindi imparano a mantenere alta l’attenzione e a ridurre le distrazioni, coltivano la memoria e accrescono il lessico e l’esposizione orale di un concetto.

Una tecnica narrativa, dunque, antica e mai scomparsa del tutto che può ancora far apprezzare ai bambini e agli adulti l’importanza del fare teatro, del raccontare, di integrarsi e integrare, del trasmettere tradizioni, conoscenza, cultura.

 

Per info: http://www.kamishibaitalia.it/

Fonte immagine: Wikipedia- Kamishibai

Eleonora Vitale

A proposito di Eleonora Vitale

Nata a Napoli il 29 luglio 1988, conduce studi classici fino alla laurea in Filologia, Letterature e Civiltà del Mondo Antico. Da sempre impegnata nella formazione di bambini e ragazzi, adora la carta riciclata e le foto vintage, ama viaggiare, scrivere racconti, preparare dolci, dipingere e leggere, soprattutto testi della letteratura classica e mediorientale.

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