Komorebi, la luce che filtra tra le foglie degli alberi

Komorebi, la luce che filtra tra le foglie degli alberi

Komorebi, un termine che crea quasi un’eco musicale. Una parola d’impatto magico e poetico. Komorebi reca in sé qualcosa di spirituale, traducibile in azione riflessiva, di motore, di rinascita.

Il termine Komorebi 

È incredibile come la cultura giapponese riesca in un sol termine a racchiudere un concetto profondo, un’autentica filosofia esistenziale, un modo d’essere, l’essenza di ciò che più conta nella vita. E nella lingua giapponese esistono parole che difficilmente possono essere tradotte e rese in un unico termine, necessitando di più parole, i kanji, per rendere appieno il significato.
Komorebi, infatti, si compone di tre kanji, ciascuno dotato di significato proprio, che unendosi danno vita ad uno dei concetti più meravigliosi, poetici e delicati dell’essenza e dell’esistenza:
ki, “albero”;
more, (da moreru), “perdere”, “gocciolare”;
hi, “sole”, “giorno”.

Il kanji ki viene sempre pronunciato in questo modo, tranne che in tre vocaboli: ko di kodama, “eco”, “spirito degli alberi”; kodachi, “cespuglio; e komorebi, appunto.
Il kanji more concerne qualcosa che gocciola, piove o perde, dunque, in senso metaforico, potrebbe poeticamente indicare letteralmente “la luce che piove addosso filtrando tra i rami degli alberi”. Tra l’altro esiste l’espressione komorebi ni nureru, che indica appunto “bagnarsi nella luce che filtra tra gli alberi”. Quanta magia in così poche parole!
Infine, il kanji hi, letto “bi”, indica il sole, il giorno, la luce.

Il significato di Komorebi

Ebbene, dov’è che risiede la poesia semantica di questa parola? Komorebi, indicando questa luce che fugacemente filtra tra le foglie degli alberi, diviene metafora di un momento fugace dell’esistenza, e per questo, prezioso, unico e irripetibile: nessun istante successivo potrà mai eguagliare quello presente, e per bellezza, e per intensità, e per dolore, e per straziante nostalgia, e per incontenibile gioia.
Pertanto komorebi ricalca uno stato d’animo inedito, che parla di speranza, ma che si tinge anche di malinconia, in quanto sottolinea la mutevolezza incessante di ogni cosa. E, per antonomasia, i cambiamenti spaventano l’animo umano, a volte fino a stringere forte il petto, inibendo la naturale capacità di respirare.

Komorebi è un’atmosfera, una sensazione, un brivido, quasi una scossa, che, mossa dal timore, spicca il volo verso la luce della rinascita. Perché poi alla fine, cos’è un cambiamento se resta sterile e fine a se stesso? Cos’è la mutevolezza, senza la scintilla di nuova linfa vitale, di sconvolgimento emotivo, necessario per ritrovare se stessi, più veri che mai?

Komorebi, l’armonia con la natura

L’etimologia del termine komorebi sottende non solo un profondo concetto filosofico-esistenziale, bensì quello concreto di “armonia con la natura”, perfettamente collegato con lo spirito giapponese. I tre kanji descritti ed analizzati, che compongono la parola komorebi, significano appunto albero, perdita, intesa come ricongiungimento con il centro del proprio io, dunque sconvolgimento, scoperta, evasione; infine, luce. Tre termini dunque che sussistono proprio quali elementi che sono parte integrante della natura.
Come tale, komorebi è un concetto che invita ad accogliere la natura in sé, nella quotidianità, nei pensieri poi tradotti in azioni, ricongiungendosi con le proprie ancestrali radici, quelle scevre di frivolezze e dettagli superflui.

Proprio la natura, per sua stessa essenza, è colei che stimola ad accogliere il cambiamento, e non fermarsi a temerlo. Questo perché ogni inizio ed ogni fine costituiscono parte di un processo del tutto naturale, di un ciclo vitale, che costantemente si rinnova ogni volta, concorrendo alla rinascita fisica, spirituale ed emotiva. Accade questo con l’alternarsi delle stagioni, con l’avvento del giorno e della notte, con il processo evolutivo e di crescita fisica, spiritale e intellettiva. Accade questo con le esperienze, con l’età, con particolari fasi della vita destinate ad eclissarsi, solo però per lasciar spazio a nuove e incredibili vite. Perché morire – là dove la morte non è intesa solo quale concetto biologico, ma anche e soprattutto esistenziale – è sinonimo di tornare a vivere vestiti di nuova pelle, nuovi occhi, nuovi desideri, nuovo cuore e nuovi pensieri. E cercare di contrastare tale naturale processo di “risveglio emotivo”, equivale a morire davvero, vagare per il mondo come automi senza mai vivere davvero, rinunciando a vivere davvero, accontentandosi di una scialba, insipida e troppo fugace sopravvivenza.
Il cambiamento indica l’esistenza in sé, ne concerne il motore, il carburante, l’ossigeno.

Dunque quel raggio di luce, che per pochi istanti filtra tra le foglie degli alberi, indica l’esatto momento in cui l’anima è attraversata dalla vera bellezza, dal profumo di quel cambiamento, che è brezza positiva per chi lo sperimenta e trova il coraggio di attraversarlo fino in fondo, lasciandosi bagnare, come nella rinascita di un battesimo.

Non auguriamoci dunque che le cose restino uguali ed immutate. Impegniamoci piuttosto a desiderare sani cambiamenti, che ci consentano di mutare pelle e aprire occhi e cuore alle inedite meraviglie che la Vita sa offrire agli animi irrequieti ed impavidi.

Fonte immagine: Pixabay

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