In ogni paese e in ogni epoca le donne si trovano a lottare per ottenere o mantenere dei diritti che qualcuno vorrebbe riservare ai soli uomini, o che pensa non gli spettino per il semplice fatto che si è donna . La tendenza è che più si va avanti e si “progredisce” nel tempo, tanto più migliora la condizione delle donne: mentre per la donna occidentale le sue condizioni all’interno della società sono andate migliorando pian piano dal passato fino ad oggi, nel Giappone prima della modernità (parliamo di prima dell’epoca heisei, che inizia nel 1989) la condizione delle donne ha subito un processo inverso, ed è andata a peggiorare. Per valutare però quanto sia stato tolto alle donne in epoca Meiji, bisogna prima capire quanto hanno perso: in questo articolo, analizzeremo la condizione sociale in cui vivevano le donne giapponesi in epoca Meiji.
Le donne giapponesi in epoca Meiji: donne forti e indipendenti
Dati storici e fonti archeologiche testimoniano un processo di graduale perdita di potere e rilievo nella società giapponese femminile. Nell’antichità, in Giappone, vi era una società di tipo matriarcale, in cui le donne godevano degli stessi diritti degli uomini; donne alla testa di potenti clan o imperatrici, di fatto, non costituivano un’eccezione alla regola, ma erano la norma. Le donne, quando si sposavano, rimanevano all’interno della loro casa familiare, dove il marito poteva andare a farle visita. Era di fatto l’ambiente materno in cui i bambini crescevano. Che la condizione delle donne giapponesi fosse migliore nell’antichità giapponese era testimoniato anche da un sistema di leggi che le tutelava: queste, infatti, potevano essere scelte come eredi di grandi fortune, case e terreni, potevano prendere le redini della famiglia e potevano anche divorziare. C’erano anche leggi che le tutelavano contro la violenza domestica. Le donne potevano liberamente scegliere se e con chi sposarsi, divorziare, abortire e anche avere più partner, senza venir per questo giudicate. Questa condizione di benessere della donna ha continuato ad esistere anche fino al periodo Kamakura.
Un cambiamento nella direzione opposta
È dal periodo Edo che la condizione delle donne in Giappone ha cominciato a peggiorare (1600 – 1868), ma è stato con la restaurazione Meiji (1868) e in particolare con l’introduzione del sistema familiare ie che la loro condizione ha incominciato a peggiorare drasticamente. Giocò un ruolo fondamentale in questo il Confucianesimo proveniente dalla Cina, in particolare la dottrina neoconfuciana, che fornì le basi morali su cui si fondarono la struttura sociale e ideologica dell’epoca Meiji. Essenzialmente, il confucianesimo stabiliva dei ruoli gerarchici nella società così come nei rapporti familiari. L’uomo era il capo famiglia e sotto di lui c’erano I suoi figli e la moglie, che gli dovevano rispetto e ubbidienza.
Matrimoni combinati diventano la norma
Che la condizione delle donne giapponesi sia peggiorata in questo periodo è testimoniato dal fenomeno dei matrimoni combinati (omiai); le donne non potevano più decidere con chi sposarsi, e divenne pratica comune per le famiglie dare in sposa le loro figlie (spesso ancora molto giovani) a uomini più ricchi (spesso più grandi di loro), per poter migliorare la loro condizione sociale o per aumentare le proprie terre e le proprie ricchezze. Una donna, inoltre, per sposarsi doveva essere vergine, altrimenti non aveva valore (cosa che prima del periodo Edo non era neanche presa in considerazione). La donna non poteva più scegliere quindi con chi sposarsi, né tantomeno poteva opporsi al matrimonio combinato dalle famiglie.
La legge degli uomini
A rendere la condizione delle donne giapponesi ancora più esasperante erano anche le leggi: non potevano neanche più scegliere di divorziare. Solo i mariti potevano presentare istanza di divorzio e, nel caso questo fosse avvenuto, sarebbe stato tutto a vantaggio della parte maschile e svantaggio della parte femminile, alla quale non rimarrebbe altro da fare che pendere i voti e chiudersi in convento. Se, per esempio, una coppia sposata con figli divorziava, la patria potestà restava al padre e non alla madre. Un’altra legge che ben mostra quanto misera fosse la condizione delle donne giapponesi in epoca Meiji è quella del delitto d’onore, che rimase in vigore fino al 1908 e consentiva ai mariti di uccidere le loro mogli e amanti (nell’accezione di fidanzate) nel caso queste fossero state scoperte a commettere adulterio. La condizione delle donne giapponesi in epoca Meiji è testimoniata anche dal sistema scolastico dell’epoca; per il governo Meiji l’istruzione femminile aveva una priorità bassa. L’ordinanza sull’istruzione del 1872 specificava che sia le ragazze che i ragazzi dovevano ricevere l’istruzione elementare, ma la frequenza scolastica delle ragazze rimase indietro rispetto a quella dei ragazzi per gran parte del periodo Meiji.
Le donne giapponesi in epoca meiji: brava moglie, saggia madre
L’educazione femminile era basata sull’assunto confuciano per la quale la natura ha creato gli uomini e le donne uguali, ma con diverse responsabilità: queste responsabilità consistevano per la donna nell’essere una brava moglie e una saggia madre, e i suoi compiti la relegavano al solo spazio domestico e familiare. L’ideologia dell’epoca ci dà anche un quadro esaustivo circa la condizione delle donne giapponesi in epoca meiji: il ruolo di una madre di crescere quelli che sarebbero stati i “futuri cittadini giapponesi” era cruciale. Dunque, sulle spalle delle donne giapponesi era stata scaricata questa enorme responsabilità sociale di dover essere mogli e madri esemplari per il bene della nazione, e per creare tali madri l’obiettivo più importante nella loro educazione era quello di insegnare i princìpi morali della “sopportazione” (nin) e della “sincerità” (makoto). Nonostante ciò, l’educazione femminile era anche altro: le donne imparavano a leggere, a scrivere, veniva loro insegnata la matematica, l’economia domestica e la cultura cinese, insieme anche ad educazione fisica. Tuttavia, lo scopo principale della loro educazione rimaneva quello di prepararle al loro ruolo di mogli e madri casalinghe.
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