La devozione ai Santi consiste in una pratica religiosa generalmente associata al Cristianesimo. I Santi costituiscono, sia per i cristiani cattolici che per gli ortodossi, una sorta di collegamento diretto con la divinità e vengono venerati dai fedeli affinché questi ultimi possano ottenere un’intercessione divina.
Per la Chiesa Cattolica, i Santi sono tutti gli uomini e le donne che hanno vissuto una vita in nome della propria fede, seguendo le virtù cristiane, tanto da ricevere questo epiteto post-mortem e diventare oggetto di devozione per i fedeli. Per la Chiesa ortodossa, invece, i Santi sono coloro che risiedono in paradiso secondo le Sacre Scritture e questi vengono rivelati da Dio attraverso le preghiere o i miracoli che avvengono sulla terra.
La devozione dei Santi dei cristiani cattolici e ortodossi
La venerazione del Santo da parte dei cristiani avviene attraverso le preghiere rivoltegli o attraverso il contatto con le reliquie sacre, appartenenti al Santo in questione. Inoltre, non è inusuale venerare un Santo utilizzando anche delle immagini che lo raffigurano, usate spesso come simbolo di protezione, o delle statue, oggetto di devozione.
Il cattolicesimo, in più, prevede la celebrazione dell’onomastico, ossia, il festeggiamento del giorno dedicato al Santo dal quale si prende il nome.
Ma esistono i Santi in altre religioni, oltre al Cristianesimo?
La risposta è sì, semplicemente vengono indicati con un termine differente rispetto all’attributo “Santo”.
Nell’Ebraismo, ad esempio, ci sono gli tzaddikim (tzadik al singolare).
Si tratta di tutte quelle persone sagge e giuste che seguono o hanno seguito la via della rettitudine durante la loro vita. Secondo il Talmud, uno dei testi sacri dell’Ebraismo, sono 36 gli tzaddikim che camminano in incognito tra di noi per evitare la rovina del mondo. A differenza del Cristianesimo, l’Ebraismo non ammette in nessun modo la venerazione, l’adorazione o la devozione ai Santi, in questo caso, agli tzaddikim, poiché è concesso idolatrare solo ed esclusivamente Dio.
Anche l’Islam non ammette che ci siano intermediari tra Dio e le sue creature.
La fede islamica, infatti, disapprova ogni forma di devozione ai Santi. Nonostante ciò, la religiosità popolare porta a una distinzione tra gli individui comuni e coloro che sono vicini, in qualche modo, alla santità grazie alle loro doti profetiche, meglio noti come Wali (Amici di Dio). Nel mondo islamico sono presenti più di trecento Wali, distinti in maniera gerarchica. Alla base della piramide si trovano i buhala (“gli illuminati”), i nujaba o nuqaba (“gli apostoli”) e gli awtad (“i punti cardinali”); al vertice si trova invece il ghuth (“il Salvatore”).
Il Buddhismo, invece, nonostante sia una religione di stampo ateistico, non nega l’esistenza di entità superiori.
Questa religione monoteista non ritiene, però, fondamentale la venerazione di queste entità per arrivare alla liberazione ultima dell’anima. Nel Buddhismo dei Nikāya, infatti, si venerano i bodhisattva, persone vicine all’illuminazione che decidono di continuare a reincarnarsi e, di conseguenza, rinunciare al nirvana pur di aiutare il prossimo a raggiungerlo.
Nel Jainismo (o Giainismo) la salvezza si raggiunge in maniera individuale attraverso l’ascesi.
Questo non esclude a priori la devozione dei Santi, o meglio, dei maestri. Si tratta del culto dei Tirthamkara (“i costruttori del guado”), cioè dei 24 maestri che hanno provveduto a rivelare il Jainismo stesso all’umanità intera. Nella pratica jainista è ammesso venerare statue dei Tirthamkara, anche se molti gruppi la ritengono una pratica vana ai fini della salvezza dell’anima.
Nella religione induista, invece, è ammessa la pratica della Pūjā.
Si tratta di una cerimonia di adorazione, con la quale si celebra l’entità, seguendo ben sedici fasi prestabilite: si cantano dei mantra davanti a un’immagine o a una statua della divinità in questione e si riflette sulle forme di rispetto del Dharma, ovvero, delle norme religiose ed etiche da seguire ogni giorno.
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