L’apertura del Giappone e l’inizio della modernità
Con l’apertura del Giappone al resto del mondo nel 1853, dopo due secoli e mezzo di quasi totale isolamento, la letteratura giapponese, che fino a quel momento era stata soggetta quasi esclusivamente all’influenza della cultura cinese, incontra la cultura e le arti occidentali. Se in Europa sarà soprattutto la pittura giapponese ad essere apprezzata e ad esercitare grande influenza su artisti come Van Gogh e Monet, in Giappone, alla fine del XIX secolo, viene tradotto un numero non esiguo di autori canonici occidentali, come Shakespeare, Dostoevskij e Tolstoj, solo per citarne alcuni. Ha così inizio, con la pubblicazione del saggio “Shosetsu Shinzui” di Tsubouchi Shoyo nel 1885 e del romanzo “Ukigumo” di Futabatei Shimei tra il 1887 e il 1889, quella che oggi definiamo “letteratura giapponese moderna”, capace di coniugare elementi della tradizione letteraria nipponica con i nuovi stimoli provenienti dall’Occidente in autori come Natsume Soseki, Tanizaki Jun’ichiro, Mishima Yukio e Kawabata Yasunari, quest’ultimo primo giapponese a vincere il premio Nobel per la letteratura nel 1968.
La nascita della letteratura giapponese contemporanea
In quegli stessi anni il Giappone vive un periodo di forti cambiamenti, che lo vedranno passare da paese pseudo-feudale a uno degli stati più potenti al mondo, inserendosi nel quadro dei grandi avvenimenti che sconvolgono il mondo per tutto il corso del XX secolo. All’inizio degli anni Settanta il Giappone è un paese economicamente forte, prospero, perfettamente inserito nella logica del blocco capitalista durante gli anni della Guerra Fredda. Dopo la scioccante sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale e la conseguente occupazione statunitense, il Giappone può ormai definirsi definitivamente ripreso, soprattutto grazie a una serie di boom economici negli anni Sessanta. In questo quadro di stabilità economica e prosperità non mancano però le tipiche contraddizioni di una società che, nonostante la grandezza del paese, è pervasa da un malessere e un disagio esistenziale che colpisce in particolare coloro che sono più alieni alle logiche conformiste del capitalismo. È in questo contesto che Murakami Ryu pubblica, nel 1976, “Kagirinaku Tomei ni Chikai Buru” (“Blu quasi trasparente”), vincitore nello stesso anno, tra mille polemiche, del premio Akutagawa, il premio letterario per esordienti più importante del Giappone. Il romanzo, scritto in uno stile quasi cinematografico, è ascrivibile alla corrente letteraria dello shishosetsu, il romanzo dell’io, dove i fatti narrati sono ispirati alla vita dell’autore, anche se non devono per forza aderire pienamente al vissuto di chi scrive. Lo scalpore creato dal romanzo è dovuto alla materia da esso trattata, in un realismo crudo e spietato, al limite dell’inumano (anche se non mancano momenti di grande umanità); vengono descritte orge, festini a base di droghe e alcool, il tutto con un linguaggio che non si cura minimamente di risultare grezzo e diretto. Tutta l’opera è pervasa di un malessere palpabile radicato nel protagonista e nei suoi amici, tutti dediti ad una vita dissoluta ma con un forte desiderio di cambiamento, che sembra però inspiegabilmente irrealizzabile. Con questo romanzo rivoluzionario, Murakami pone le basi per la letteratura giapponese contemporanea, e spiana la strada ad autori e autrici, come Murakami Haruki e Yoshimoto Banana, che avranno un successo planetario a cavallo tra i due secoli, grazie ai loro romanzi e racconti dove la cultura pop, fatta di film, dischi e quant’altro, incontra la cosiddetta letteratura “alta”, arrivando ad annullare le differenze tra questa e tutto ciò che è considerato “basso”, culturalmente parlando, contribuendo al successo della corrente postmodernista nella seconda metà del Novecento. Ciò che accomuna la maggior parte degli scrittori contemporanei è la loro attenzione alle contraddizioni della società giapponese, soprattutto dopo la sfrenata urbanizzazione del paese dagli anni Sessanta in poi e la bolla economica degli anni Ottanta, e la loro formazione letteraria, che spesso avviene su classici europei ed americani piuttosto che su testi classici giapponesi (anche se è sbagliato supporre, come spesso avviene, che autori come Murakami Haruki siano completamente estranei ai grandi autori giapponesi). Non bisogna poi trascurare l’importanza che la cultura manga ha avuto sulla letteratura di fine Novecento, in particolare quella degli “shojo” (fumetti per ragazze) su autrici come Yoshimoto Banana. Nonostante le numerose critiche dell’élite letteraria, come quelle espresse dal premio Nobel Oe Kenzaburo, secondo le quali i romanzi di Murakami, Yoshimoto e di gran parte degli scrittori contemporanei rappresentino la morte della cosiddetta “jun bungaku”, la letteratura alta, bisogna riconoscere che il valore di questi autori sta proprio nell’aver posto fino ad una differenza ormai obsoleta ed anacronistica come quella tra “alto” e “basso”, operazione che ad autori come Kawabata o Mishima non era possibile, costretti essi a dividersi tra la pubblicazione dei loro capolavori e quella di romanzetti di consumo; romanzi come “Norwegian Wood” o “Kitchen”, coniugando elementi autobiografici, contaminazioni da altre arti come la musica o il cinema e nuovi stilemi letterari, si propongono al pubblico non come oggetti di consumo senza valore, ma come opere d’arte capaci di incontrare la sensibilità dei lettori, che condividono con gli autori e le autrici gli stessi disagi, gli stessi problemi e anche le stesse speranze.
Ultime tendenze ed autori emergenti
Dagli anni Novanta ad oggi la cultura giapponese si è imposta globalmente, principalmente grazie all’incredibile successo del fenomeno manga ed anime, entrati ormai a far parte anche dell’immaginario collettivo occidentale. E sono infatti mangaka come Oda Eichiro o Urasawa Naoki o registi come Miyazaki Hayao ad essere gli autori nipponici più apprezzati all’estero, ma ciò non toglie che molti romanzieri e romanziere abbiano riscosso un buon successo sia in patria che oltre i confini dell’arcipelago, a partire da scrittrici come Ogawa Yoko o Kawakami Hiromi, autrici di alcuni dei romanzi giapponesi più apprezzati da critica e pubblico degli ultimi trent’anni, come “Kanpekina byoshitsu” (“Una perfetta stanza d’ospedale”) o “Sensei no kaban” (“La cartella del professore”); è da tenere in considerazione anche il successo ottenuto dalla letteratura di genere, specie quella giallo/thriller, grazie ad autori come Yoshida Shuichi e Kirino Natsuo. Il forte disagio sociale avvertito dai primi scrittori contemporanei continua a pervadere le opere dei giovani autori che si affacciano sulla scena letteraria dall’inizio del millennio; è il caso di “Hebi ni piasu” (“Serpenti e piercing”) di Kanehara Hitomi, vincitrice del Premio Akutagawa nel 2004, un romanzo dove la protagonista sperimenta ogni tipo di trasgressione in una spirale di autodistruzione dalla quale sembra non esserci via di fuga. “Keritai senaka” (“Solo con gli occhi”) di Wataya Risa, vincitrice a ex equo nel 2004 del medesimo premio, si concentra sul fenomeno sempre più massiccio degli hikikomori, giovani che si chiudono in casa per mesi, o addirittura per anni, evitando ogni tipo di interazione sociale. L’attenzione al disagio sociale all’interno della società giapponese è presente anche nell’opera di Kawakami Mieko, come in “Heaven”, dove viene raccontata la storia di due giovani liceali vittime di bullismo, o in “Natsu monogatari” (“Seni e uova”), che si concentra invece sull’accettazione di sé stessi. Negli ultimi anni si è sviluppato un filone denominato “letteratura aziendale”, le cui opere sono ambientati in contesti lavorativi e mostrano cosa vuol dire lavorare oggi in Giappone. Tra le opere più interessanti di questa corrente si segnala “Kojo” (“La fabbrica”) di Oyamada Hiroko, romanzo dalle tinte kafkiane. La letteratura giapponese degli anni Duemila è quindi una letteratura viva, capace di porre l’attenzione su questioni sociali importanti e di aggiungere autori e autrici di grande talento nel firmamento letterario odierno.
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