«C’è da chiedersi se esista qualcosa su di noi di più importante del fatto che siamo costantemente filmati, costantemente ci osserviamo. L’intero mondo è sulla pellicola, sempre.»
Nel 2004, uno dei grandi della letteratura mondiale, Don DeLillo, scriveva ciò che ora è diventata una riflessione consueta. Chissà se immaginava, al tempo, le inevitabili conseguenze di affermare il primato dell’immagine sul soggetto. È proprio da questa relazione che partiamo per chiederci: si può considerare un Soggetto e un suo clone come la stessa persona?
La risposta può essere duplice a seconda del profilo in cui si inquadra il tema dell’identità. Ci serviremo degli strumenti offertici dalla filosofia, dalla logica, per poi giungere al concetto applicato alla sfera sociale.
Se ci si focalizza sul profilo soggettivo, materiale dell’identità, la risposta è “No”. La nostra logica sarà quella di ricondurre un soggetto ad un’unica immagine S⇒I (S: “soggetto”; I: “immagine”).
Nel caso in cui si discuta del suo significato oggettivo, pare logico che ci si debba basare su una nozione di identità che sia universalmente intelligibile per tutti. Se, infatti, pensiamo che entrambi gli individui identici condividano ogni singola proprietà e che differiscano solo per il fatto che occupano due posizioni diverse nello spazio, allora ne deduciamo che sono due enti distinti (e quindi non la stessa persona). Tuttavia, la differenza non può definirsi sostanziale, in quanto dipende da una nostra operazione di associazione ad unità: abbiamo, cioè, rappresentato, in forma mediata, il profilo della identità di un soggetto. Così facendo, abbiamo ottenuto il “concetto” formulato sul contesto in cui si troverebbero le due immagini, che può differire in base alla nostra ipotesi.
Si verifica una condizione simile a quando, a seconda del tipo di rivista o, più verosimilmente, social network, in cui appare la nostra immagine, le persone possono farsi un’impressione diversa della nostra reputazione. Ciò ha come conseguenza anche l’arrivare a giudicare che un medesimo soggetto sia due persone diverse, semplicemente sulla base dell’osservazione del contesto nel quale si trova inserito o, meglio, si trovano inseriti. Dunque, nella seconda operazione, riferiamo oggettivamente un’immagine ad un soggetto: I⇒S (I: “immagine”; S: “soggetto”).
Pensiamo ora che per ricavare la vera determinazione del concetto di identità, il Soggetto si ponga davanti allo specchio e veda la propria immagine riflessa. Quell’immagine non è l’insieme delle nostre caratteristiche fisiche: altezza, colore di capelli, occhi, corporatura. In realtà, quando ci guardiamo allo specchio, vediamo riflettersi anche il nostro modo di guardarci. Perciò vediamo la nostra immagine così come un essere riflesso allo specchio lo percepisce: diventiamo la nostra persona-identità, come oggetto di un’autonoma percezione.
Non a caso nella materia giuridica vi è un netta separazione quando si parla di tutela dell’immagine, in riferimento all’identità. Da una parte si distingue una dimensione soggettiva relativa alla reputazione dell’individuo, dall’altra una oggettiva, in rapporto alla dimensione “sociale” dell’individuo che la società ricava. “Ricondurre un’immagine ad un soggetto” denota infatti un processo di sintesi nell’ immaginario, inteso sia come l’organo di produzione della realtà, indipendentemente dalla sua percezione e presenza fisica, sia come immaginario collettivo, che a sua volta dipende da “una percezione intrinseca del Soggetto”.
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