La Sciantosa, dalla Parigi bene all’affascinante Napoli

la sciantosa

La Sciantosa, la storia di un mito da Parigi a Napoli.

“E femmene so nfame tutte quante e pure quando rideno mettono ncroce e sante” (Salvatore di Giacomo)

È così che parla delle donne Salvatore di Giacomo, famoso poeta napoletano. Per lui le donne sono cattive ma essenziali, soprattutto quelle che sono sotto il nome di “sciantose”.

Ma chi è la sciantosa?

Non di rado con questo termine, erroneamente, alcuni identificano donne di facili costumi pronte a concedersi ad incontri fugaci con amanti di ogni età, ma in realtà tale interpretazione è assolutamente sbagliata. La sciantosa infatti, pur essendo maliziosa e provocante, faceva ben altro mestiere. Legata al mondo dell’arte e del teatro, la sciantosa era un’artista del Café-chantant parigino, difatti il termine viene fatto risalire al periodo a cavallo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.

Il termine è quindi un’italianizzazione della parola francese chanteuse, traducibile con cantante. Le artiste erano solite esibirsi in piccoli locali con brani tratti da canzoni popolari e brevi stralci di opere liriche. Piccole dive, osannate dal pubblico, spesso bellissime ed irresistibili. Da qui il sentire comune che faceva passare quelle donne come ammaliatrici di uomini.

Le sciantose pare avessero particolari trucchi per aumentare la loro popolarità, primo fra tutti l’utilizzo di accenti stranieri per apparire esotiche ed irraggiungibili, fino ad arrivare all’acquisto dei cosiddetti “claquer”, vero e proprio pubblico a pagamento che applaudiva a fine esibizione con entusiasmo ed esaltazione. Per ultimo, le sciantose non risparmiavano i racconti romanzati delle loro storie d’amore con personaggi noti (per lo più erano storie solo millantate).

La moda parigina ben presto arrivò fino in Italia, con l’apertura del primo cafè chantant napoletano a Via Toledo. Era ospitato all’interno di palazzo Berio, il cui giardino fu allestito con tavoli, sedie ed un palco. Il successo fu immediato. Il boom delle sciantose coincise con la fine dell’Ottocento ed il Salone Margherita ne fu l’epicentro. Fu inaugurato nel 1891 nella crociera inferiore della Galleria Umberto. Un locale lussuoso pensato per un pubblico ricco e maschile che voleva godersi la Belle Époque, immaginandosi a Parigi. Si aprirono cafè chantant in tutta la città, creando la variante proletaria e napoletana della sciantosa ricca e parigina.

Alla sciantosa sembrerebbe appartenere proprio il mito della “mossa”, un movimento rotatorio compiuto soprattutto sui fianchi da una donna prosperosa e ritmato da tamburo e grancassa. Questo movimento deve essere eseguito sia davanti che dietro. Deve procedere da destra a sinistra e viceversa, tanto con il bacino quanto con il sedere. Insomma, deve essere qualcosa di molto sensuale. Pare che la sua ideatrice fu proprio Maria Campi, una sciantosa nota al Teatro delle Varietà, divenuto poi sede del quotidiano II Mattino fino al 2018.

La figura della sciantosa ispirò anche due famosissime canzoni: Lilì Kangy (Giuseppe Capurro-Salvatore Gambardella) e Ninì Tirabusciò (Aniello Califano- Salvatore Gambardella). Lilì Kangy del 1905 canta la storia di Cuncetta che, nata nel Vicolo Conte di Mola, diventa sciantosa e da quel momento tutti la considerano una diva: «Basta ca ʼa veste è corta,/tutto se po’ aggiustà!»

Le sciantose si suddividevano in varie categorie. Le generiche erano giovani esordienti, che eseguivano pezzi di repertorio stabilito, senza compensi, solo con la speranza di tentare la scalata al successo.

Le sciantose eccentriche, invece, erano state scritturate per un repertorio misto, tra un genere brillante ed uno sentimentale. Le loro esibizioni si caratterizzavano per la presenza scenica ammiccante. Di un genere più elevato furono le sciantose romanziste, specializzate in un repertorio classico di arie tratte da opere liriche. Si presentavano in scena con abiti lunghi talvolta a coda con colori tra il viola e il nero.

Sono tanti i nomi che non possono mancare nella lista delle sciantose più famose. Oltre ad Armanda D’Ary, vanno ricordate Anna Fougez, Olimpia D’Avigny, Ivonne De Fleuriel. E poi Fina Ciotti, Amelia Faraone, Emilia Persico, Carmen Marini, Ersilia Sampieri, Nina Cavalieri. Ed ancora Ester Clary, la casertana Lucy Darmond, la milanese napoletanizzata Gina De Chamery. Senza dimenticare la grande Gilda Mignonette. Ma accanto a questi fortunati nomi, tante sono le “concette” rimaste anonime, che alla fine non ce l’hanno fatta.

Il cafè chantant napoletano sopravvisse alla guerra ma non ai cento bombardamentidi Napoli. Essi distrussero quasi tutto l’ambiente e la parte vetrata superiore del Salone. Spenta era ormai la luce della Bella Epoque, il Salone Margherita chiuse i battenti portandosi dietro un bagaglio di ricordi ed un pezzo di storia napoletana.

Mentre i napoletani esportavano quindi all’estero la figura della malafemmena, Napoli importava da Parigi la figura della sciantosa. Figura che ha fatto la storia e il successo di tanti luoghi e persone. Col tempo le sciantose sono scomparse, lasciando spazio alle più moderne “soubrette” televisive. Un mito che sembra appartenere ad un passato ormai troppo lontano, ma che resiste ancora oggi nella memoria di ogni uomo che ha avuto la fortuna di posare il suo sguardo su una donna provocante, maliziosa ma non dotata di lussuria a pagamento.

Te si’ fatta na vesta scullata, nu cappiello cu ‘e nastre e cu ‘e rrose… stive ‘mmiez’a tre o quatto sciantose e parlave francese…è accussí? Recita Reginella, scritta nel 1917 da Libero Bovio.

Il mondo è ancora fermo lì, in queste due righe di poesia.

[Immagine by Wikimedia]

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