La tragedia dell’Edipo re fu messa in scena dal tragediografo greco Sofocle: non si conosce l’esatta data di composizione, ancora oggi incerta; tuttavia, molto studiosi ritengono che l’opera deve essere stata composta in un lasso temporale che va dal 430 a.C. al 420 a.C. Quella dell’Edipo re è una tragedia inserita nel Ciclo tebano: si tratta, dunque, di uno solo degli episodi di una serie mitologica più vasta e complessa che racconta le vicende della stirpe aristocratica del popolo tebano.
La venuta al mondo di Edipo
Per ciò che concerne la trama della tragedia dell’Edipo re, si narra che il protagonista, Edipo, nasce dall’unione del re di Tebe, Laio, e di sua moglie, Giocasta. Tuttavia, Laio scopre, per mezzo di una profezia compiuta dall’oracolo di Delfi, che quel figlio tanto agognato sarà destinato a uccidere suo padre e ad avere rapporti sessuali con sua madre. Per tale motivo, re Laio ordina a un servo di uccidere il nascituro, ma questi, mosso a compassione da quella creatura così inerme ed indifesa, incarica un pastore di prendersene cura, il quale a sua volta lo affida a Polibo e Peribea, sovrani di Corinto e impossibilitati ad avere una propria prole.
Le profezie dell’oracolo si concretizzano
Anni più tardi, anche Edipo scopre da un oracolo l’infingardo destino a cui andrà incontro e, convinto di rappresentare un pericolo per quelli che pensa essere i suoi genitori biologici, decide di allontanarsi da Corinto per dirigersi a Tebe. Qui avvengono entrambe le profezie anticipate dall’oracolo prima a Laio e poi ad Edipo. Quest’ultimo prima lascia che si avveri la prima parte della profezia: si macchia, infatti, dell’uccisione del padre, che si compie a causa di un’accesa lite, scoppiata perché nessuno dei due uomini voleva lasciare libero all’altro il passaggio del sentiero che stavano percorrendo. In seguito, giunto a Tebe, prima salva la popolazione dalle persecuzioni di una Sfinge, rispondendo correttamente all’indovinello posto da questa creatura per metà umana e per l’altra metà animalesca, che chiedeva chi fosse quell’essere che cammina prima con quattro gambe, poi con due gambe e infine con tre. Edipo, rispondendo correttamente «l’uomo», riesce a salvare le vite di decine di giovani tebani, richieste come tributo dalla creatura mitologica. Successivamente, diventato re di Tebe, sposa la regina, Giocasta, con cui procreerà quattro figli – Polinice, Eteocle, Antigone e Ismene – facendo avverare anche la seconda parte della profezia.
Lo sciagurato destino di Edipo e Giocasta
Nel continuo della narrazione si scopre che quello che Edipo credeva fosse suo padre, Polibo, è appena morto. Il re di Tebe si sente sollevato da questa scoperta, visto che il genitore non è passato a miglior vita a causa sua ma, preoccupato che possa verificarsi la seconda parte della profezia, chiede al messo, che gli ha appena comunicato la dipartita del re di Corinto, informazioni su di lei. Questi, però, lo rassicura, spiegandogli che i sovrani di Corinto non fossero i suoi genitori biologici, bensì adottivi. Era stato proprio il messo, infatti, a ricevere Edipo ancora in fasce da un servo della casa dei sovrani di Tebe. Lo stesso servo, nonostante cerchi di dissuadere Edipo dallo scoprire la verità, tempestato di domande, non può far altro che piegarsi alla volontà del sovrano tebano. Conferma, quindi, di aver disobbedito all’ordine del re Laio di uccidere il nascituro che gli era stato affidato, in quanto mosso da un’intrinseca pietà umana. Venuto a conoscenza della terribile menzogna nella quale era stato costretto a vivere per tutta la durata della sua vita, il sovrano dà vita ad uno spettacolo di grida ed urla disumane all’interno del suo palazzo. Giocasta, in preda al dolore, decide di impiccarsi ed Edipo, in preda all’orrore, si acceca con la fibbia della veste della donna. Dopo aver abbracciato un’ultima volta le figlie Antigone e Ismene, chiede a Creonte – fratello di Giocasta – di essere esiliato in quanto aborrito dagli dei.
Le emozioni trasmesse dal tragico finale
Gli anziani di Tebe, così come gli spettatori della rappresentazione teatrale, da un lato sono persuasi dal dolore provocato in loro dalle atrocità compiute, seppur inconsapevolmente, dal protagonista, ma al contempo sono suggestionati dall’estrema pietà provata nei confronti di un uomo abbandonato al suo misero fato.
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