Intorno alla Lamia ruotano mitologia, superstizione e spunti letterari colmi di fascino misto a timore. La Lamia è infatti il prototipo della figura femminile, oggetto di divinizzazione e demonizzazione, dalle sembianze umane e animali, con accezione tutt’altro che positiva.
L’origine di tale personaggio va ricercata nella mitologia greca, che ritiene le Lamie rapitrici di bambini o fantasmi seduttori, con l’obiettivo di adescare giovani uomini per poi nutrirsi del loro sangue e della loro carne. Per tale motivo, la Lamia viene considerata nei secoli successivi una creatura demoniaca, una strega, un vampiro. Tali concezioni si connettono fortemente all’archetipo della dea della notte, momento in cui si fa spazio alle tenebre, alla magia, al soprannaturale, al mistero e alla morte.
Ma vediamo dove affondano le radici del suo abominio estetico e comportamentale.
Lamia. Origini mitologiche e superstizione
C’è un’antica tradizione del Parnaso che descrive le Lamie quali eredi delle sirene: demoni che irretiscono giovani suonatori di flauto sulla spiaggia notturna, brutalmente uccisi se rifiutano di unirsi con loro in matrimonio. Analogamente alle sirene, seduttrici di marinai, che ammaliano con il loro canto fatale, fino a privarli della vita.
In Bibliotheca Classica, lo studioso classico e teologo inglese J. Lemprière descrive la Lamia con volto e petto da donna, ma il resto del corpo come quello di serpente, allettando gli stranieri per poi divorarli.
Ma il mito originale affonda le sue radici nell’antica Grecia, quando Zeus, il re degli dei, si innamora della mortale regina di Libia, la bellissima Lamia, figlia di Belo. Era, moglie di Zeus, sperimenta l’ennesima prova d’infedeltà del marito, accecata dalla gelosia, scatena la sua rabbia, vendicandosi e uccidendo il bene più prezioso di Lamia, i suoi figli concepiti con Zeus, salvo Scilla e Sibilla. Dilaniata dal dolore, Lamia si trasforma dentro e fuori, divenendo un mostro crudele e senza scrupoli nel divorare i bambini delle altre madri, proprio come Era fa con lei, fino a succhiarne il sangue. Questo comportamento innaturale corrompe la bellezza di Lamia, trasformandola in una creatura orribile, che viveva in grotta, capace di mutare aspetto solo per attrarre a sé gli uomini allo scopo di berne il sangue. Tale motivo spiegherebbe l’accostamento della figura di Lamia a un vampiro, immagine perpetrata nei secoli successivi. Ma Era condanna Lamia non solo ad una vita privata dei figli, ma anche priva di sonno. Così Zeus, impietosito dalla sofferenza della sua amante, le concede il dono di togliersi gli occhi e rimetterli a piacimento per poter finalmente riposare.
Per le sue connotazioni negative e tenebrose, la Lamia subisce nel corso del tempo un autentico processo di demonizzazione, ciò nella cultura romana, venendo associata ad una strega, fino al Medioevo e Rinascimento, considerata come vampiro. Ciò determina nella cultura popolare una serie di credenze e superstizioni: sussiste, ad esempio, quella secondo cui cospargendo le panche della chiesa di sale grosso, sarebbe stato possibile identificare le Lamie-streghe, le quali, sedendosi e fingendo di presenziare alla cerimonia religiosa, nascondendo la propria vera natura, rimarrebbero inevitabilmente attaccate alle panche.
Come anticipato, la superstizione è spesso legata alla dimensione notturna, ideale per misfatti e delitti. Nel caso delle Lamie, le vittime preferite sono i bambini, indispensabili alle streghe per preparare unguenti con la loro carne e cercare un tramite col demonio attraverso il loro sangue.
Pertanto la Lamia risulta essere una figura contraddittoria, dialettica, oggetto d’ammirazione e timore allo stesso tempo, in quanto accanto alle capacità seduttive convivono potenzialità fortemente distruttive.
Lamia. Spunti letterari
Il fascino e il mistero che avvolgono la mitica figura di Lamia suggeriscono nei secoli notevoli spunti letterari, descrivendo tale donna-demonio con metafore tutt’altro che candide e positive.
Già nel I a.C., il poeta latino Orazio dipinge nell’Ars Poetica le Lamie come esseri mostruosi, divoratrici di bambini.
Con la caduta dell’Impero Romano e l’ascesa del potere della religione cattolica, le Lamie si allontanano per un po’ dal panorama letterario, per poi ricomparire in età romantica, conseguentemente al processo di razionalizzazione attuato dall’Illuminismo. E nel XVIII Lamia serba le antiche caratteristiche di divinità malvagia, con un anzi ulteriore accrescimento dell’aspetto mortifero dal punto di vista estetico. In La Fidanzata di Corinto di Goethe, i connotati da vampiro della Lamia s’impongono con forza.
In Italia sono gli Scapigliati del XIX, poeti melanconici, a subire il fascino della donna- vampiro. A tal proposito, lo scrittore Emilio Praga offre l’immagine di donna dalla bellezza ipnotica e demoniaca, il cui bacio non è dissimile da un morso letale.
Poi c’è il poeta britannico Keats, che attribuisce alla Lamia i connotati di serpe, promuovendone però al contempo i sentimenti umani. Con Keats Lamia si fa demone, approntando le sue arti magiche e seduttrici, e donna nello scoprirsi vulnerabile di fronte all’amore, disposta anche ad accettare la propria rovina.
E poi c’è chi nel XX realizza il connubio tra superstizione e romanzo: lo storico rumeno Mircea Eliade nel suo Signorina Christina descrive la storia d’amore di una giovane donna morta divenuta vampiro. Il suo amato Egor brama d’impazienza nella delirante attesa del piacere supremo: «La sua carne si disfaceva impazzita, perché la voluttà lo soffocava, lo umiliava. La bocca di Christina aveva il sapore dei frutti di sogno, il gusto di ogni ebrezza proibita, maledetta. Neppure nelle più diaboliche immaginazioni d’amore stillava tanto veleno, tanta rugiada. Tra le braccia di Christina, Egor sentiva le gioie più empie, unite ad una celeste dissipazione, una fusione completa e totale. Incesto, crimine, follia. Amante, sorella, angelo… Tutto si raccoglieva e si mescolava vicino a quella carne infuocata e tuttavia senza vita».
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