Il linguaggio è l’unità della comunicazione, grazie al quale è possibile produrre messaggi tra due o più soggetti interlocutori. Ciò che lo rende complesso e unico per l’essere umano sono le sue proprietà. In particolare la biplanarità, caratterizzante il rapporto tra significante (l’espressione fonica, la parola) e il significato (l’elemento semantico, il contenuto). L’arbitrarietà, indicante l’assenza di vincolo naturale tra significante e significato, in quanto le associazioni sono date per convenzioni. La doppia articolazione, che rende il linguaggio prerogativa umana, indica la scomposizione del significante su due livelli: i morfemi (unità minime ancora portatrici di significato) e i fonemi (unità minime non più dotate di proprio significato). La trasponibilità di mezzo indica la possibilità di trasmettere un significante sia attraverso il canale fonico-acustico (trasmissione orale) sia attraverso il canale visivo-grafico (trasmissione scritta). Ancora il linguaggio è lineare, in quanto impone che gli elementi siano accostati linearmente uno dopo l’altro, e discreto, ossia basato sull’assoluta differenza tra i fonemi: cambiandone anche uno all’interno del significante, questo assumerà diverso significato.
Il linguaggio. Differenza tra linguaggio verbale e linguaggio non verbale
Ma è importante definire il linguaggio anche in base alla sua imprescindibile differenziazione tra “linguaggio verbale” e “linguaggio non verbale”. Il linguaggio verbale e la capacità di elaborarlo si sono sviluppati nell’uomo in seguito ai mutamenti strutturali della cavità orale; in particolare l’arretramento dell’ugola ha reso l’essere umano capace di esprimere una gamma sonora variegata e di controllare l’articolazione dei suoni. Se nel linguaggio verbale, l’associazione tra significante e significato costituisce un codice, fondato sulla corrispondenza segni-suoni offerta dall’IPA (International Phonetic Alphabet – Alfabeto Fonetico Internazionale, utilizzato appunto per rappresentare i suoni delle lingue nelle trascrizioni fonetiche), nel linguaggio non verbale il codice è rappresentato dall’associazione gesti-significati. In tenera età in tutti gli esseri umani è presente la capacità di comunicare sia con le parole che con i gesti. Una dote che l’uomo abbandona progressivamente, forgiato dalle abitudini e dai ritmi che la società impone. Ecco che sembra così sopravvivere soltanto la parola.
Il linguaggio. L’arte del gesto
In realtà la capacità di comunicare attraverso la simbologia gestuale, nel corso del tempo, diviene prerogativa dei popoli mediterranei, in particolare del popolo partenopeo. È come se i napoletani non rinunciassero alla volontà, insita nella fanciullezza, di comunicare in maniera risoluta e colorata, anche se a volte un po’ esagerata, quelle sfumature emozionali, in cui la lingua non sempre eccelle.
Va ricordato che il vocabolario dei gesti si suddivide in due categorie: i gesti mimici e i gesti simbolici. I primi, detti anche illustrativi, accompagnano un termine o una frase di una conversazione. È un gesto mimico, ad esempio, quello di indicare il polso senza orologio per chiedere l’ora. I gesti simbolici invece alterano completamente il significato della parola a seconda del conteso socio-culturale. Un esempio può essere offerto dal gesto delle corna (dato dall’indice e il mignolo rivolti verso l’alto e le altre dita piegate all’interno) per indicare l’infedeltà di un uomo o una donna.
Se la gestualità mimica è convenzionalmente riconosciuta a livello interculturale, non si può affermare lo stesso per la gestualità simbolica, che diviene appunto una prerogativa italiana, e in particolare una vera e propria peculiarità artistica per il popolo napoletano.
La cinesica facciale, posturale e gestuale dei figli del Vesuvio reca in sé fascino e completezza. È straordinario notare come un napoletano, impegnato in una veemente conversazione con il suo interlocutore, possa anche a distanze non ravvicinate far comprendere ad un osservatore il significato del discorso che esprime. A parte la mimica facciale, protagonista assoluto del linguaggio gestuale napoletano è il teatrale utilizzo delle mani, atto ad enfatizzare emozioni e parole. È dalle mani e con le mani che nascono le più accese conversazioni e i più animati dibattiti dal sapore genuino, dolce e salato.
Con la gestualità il popolo partenopeo assume una propria identità di linguaggio, esprimendo meglio ciò che si vuole dire, rendendo una conversazione più partecipata e mostrando ironia e scaltrezza. Tra i gesti più comuni è possibile ricordare: «Ma che ‘vvuo» (Cosa vuoi), mostrando il pollice unito a tutte le dita della mano, rivolti verso l’alto e il polso oscillante ripetutamente, riferito a persone che parlano tanto, spesso e a vanvera. O ancora «Se t’acchiappe – mannaggia a te» (Se ti prendo poi vedi che ti succede), con la mano posta in mezzo ai denti che serve a frenare la lingua da intenzioni minacciose, spesso usato dalle madri per tenere a bada i propri figli.
Se Napoli dunque è la culla di diverse forme d’arte, il linguaggio partenopeo, con la sua carismatica e particolare variante gestuale, può inserirsi tra queste a pieno titolo. Una capacità innata per un popolo che urla a gran voce bellezza, meraviglia e joie de vivre!