Se in origine le abitazioni nell’antica Roma erano capanne costruite in legno o argilla, lo sviluppo della città e il comparire di sempre più spiccate differenze tra ricchi e poveri, potenti e meno potenti, portò al differenziarsi delle varie abitazioni. I patrizi si costruivano case grandi e riccamente arredate in città, le domus, oppure, specialmente a partire dall’età imperiale, grandi ville di campagna. La plebe si concentrava invece nelle piccole case costruite in grandi quartieri dette insulae.
Le abitazioni nell’antica Roma dei patrizi
Tra le abitazioni dei patrizi nell’antica Roma quindi si evidenziano in città le domus e in campagna le villae. Nella sua prima forma, la domus, la casa dei ricchi, era costruita su un solo piano, attorno a un atrio al quale si accedeva dalla strada, attraverso un corridoio diviso in due parti, vestibulum e fauces, da una porta che si trovava a metà del corridoio. L’atrio era coperto da un tetto aperto al centro, detto impluvium, attraverso il quale l’acqua piovana cadeva in una grande vasca detta compluvium e da lì si raccoglieva poi in alcuni serbatoi. Nell’atrio, nei tempi più antichi, si svolgeva tutta la vita domestica. Ai quattro lati dell’atrio si trovavano varie stanze, tutte aperte verso l’interno; dalla parte dell’ingresso si trovavano le tabernae, cioè i negozi, aperti verso l’esterno. Di fronte all’ingresso si trovava il tablinum, una grande sala circondata da locali più piccoli e oltre la quale vi era un giardino detto hortus. In un secondo momento, l’hortus si sviluppò in un ampio giardino circondato da un porticato sul quale si affacciavano altre stanze più grandi.
A differenza dei Greci, i Romani attribuivano una grande importanza alla casa, che rispecchiava il ruolo sociale di chi la abitava e partire dal III secolo a.C., in coincidenza con le conquiste romane a Oriente e quindi col grande afflusso di opere d’arte e arredi, le domus si ingrandirono e diventarono sempre più lussuose. Nonostante il carattere signorile, le abitazioni all’esterno erano spoglie e quasi del tutto prive di aperture.
L’abitazione di campagna, la villa, che divenne a partire dal III-II secolo a.C.il centro delle attività agricole, era allo stesso tempo, dunque, residenza e azienda agricola. Essa era organizzata in modo da essere in grado di produrre tutto quello che serviva a chi la abitava ed era divisa in genere in tre parti: la pars urbana, dove abitava il padrone; la pars rustica, dove vivevano il fattore che conduceva la villa in assenza del proprietario, gli operai liberi e gli schiavi; infine, una pars fructuaria, in cui si trovavano gli ambienti per le lavorazioni: il frantoio, la cisterna del vino, le cucine, i depositi per gli attrezzi e le stalle.
La plebe e le insualae.
Le abitazioni nell’antica Roma della plebe erano situate nei grandi quartieri, i quali erano composti da insulae, case popolari sviluppate in senso verticale che presentavano anche quattro o cinque piani. Le insulae erano costituite di appartamenti piccoli e scomodi e anche molto esposti al rischio di incendi e crolli, tanto che Augusto pensò di istituire per Roma lo speciale corpo dei vigili del fuoco. Il piano terreno era in genere occupato da botteghe e magazzini; ai piani superiori, ai quali si saliva dal cortile interno attraverso scale di pietra strette e ripide, si trovavano i cenacula, piccoli appartamenti dove, a causa degli alti affitti, vivevano insieme numerosi inquilini.
L’illuminazione era scarsa e nella stagione invernale io freddo intenso: i Romani non conoscevano il sistema del tiraggio del fumo attraverso i camini, per cui i bracieri affumicavano facilmente i locali. Non esisteva l’acqua corrente e tanto meno i locali da bagno e i gabinetti. Lo sviluppo delle insulae durante il periodo tra la repubblica e l’impero fu dovuto in larga parte al continuo aumento della popolazione urbana. Più persone andarono a vivere nello spazio ristretto della città, con il risultato che il prezzo del terreno edificabile sali e dunque risultò più conveniente costruire verso l’alto.
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