Dopo aver visto il concetto di cosmologie religiose approfondiamo oggi quella della Mesopotamia.
Le cosmologie della Mesopotamia, introduzione
Le prime idee sui fenomeni celesti aventi un qualche carattere scientifico ricavate da osservazioni compiute a scopo di indagine le troviamo assieme a una cultura già molto avanzata presso gli antichi popoli della Mesopotamia. Una tavoletta cuneiforme proveniente da una regione babilonese ci fornisce la più antica rappresentazione grafica dell’intera superficie terrestre nei limiti delle conoscenze di quel periodo storico.
A parte l’orientamento geografico sorprendentemente corrispondente alle moderne convenzioni geografiche, risulta molto interessante il modo in cui in tale tavoletta cuneiforme viene rappresentato l’ignoto. Due cerchi concentrici all’interno dei quali è collocato l’oceano circondano interamente il continente. Aldilà dell’oceano sono disegnate varie aree triangolari disposte come raggi di stelle e definite “di stretto regione“, che probabilmente fanno riferimento a isole o regioni remote situate oltre il mondo allora conosciuto. Spazi vuoti privi di segni grafici e di didascalie segnano gli intervalli tra i vari triangoli: questo è l’ignoto assoluto.
Riteniamo opportuno sottolineare il notevole livello di astrazione figurativa che caratterizza tale mappa babilonese incisa con lo stilo sull’argilla fresca. Possiamo dire che tale mappa babilonese presenta una sofisticata combinazione di realtà concrete geografiche al servizio di precisi paradigmi mentali.
La visione verticale e gli esseri che agiscono nell’universo
La visione orizzontale del mondo schematicamente rappresentata in forma radiale trova il suo complemento in una visione verticale che comprende in sequenza il cielo, la superficie terrestre e il mondo sotterraneo. Questa ripartizione su un’asse verticale dei tre settori corrisponde a una rigida collocazione degli esseri che agiscono nell’intero universo. Tali esseri sono: gli dei immortali nel cielo; gli esseri umani mortali sulla superficie terrestre; i morti nel mondo sotterraneo.
Alcuni studiosi affermano che l’universo babilonese era concepito come una montagna appuntita suddivisa in strati sovrapposti di uguale dimensione e forma, separati dallo spazio. La famosa torre ha sette piani eretta dal biblico Nabucodonosor era una costruzione costituita da sette piani. Tale torre può essere considerata un vero e proprio monumento astronomico che faceva riferimento ai sette astri: Sole, Luna e i cinque maggiori pianeti che percorrono lo zodiaco. Altri studiosi ritengono che essendo tale torre chiamata “tempio dei sette compartimenti del cielo e della terra“ simboleggi piuttosto le sette divisioni dell’universo, cioè la terra abitata circondata da quattro regioni corrispondenti ai quattro punti cardinali, al di sopra il cielo e al di sotto il regno dei morti.
Cielo, terra e abisso sono il risultato di una primordiale creazione operata dalla divinità attraverso fasi successive di separazione e ordinamento partendo da una realtà caotica e informe. I numerosi miti cosmogonici tramandati dalla letteratura mesopotamica trovano ampio riscontro nella narrazione biblica del primo capitolo della Genesi.
Le idee sumere sull’universo
I Babilonesi ripresero le idee dei Sumeri dell’universo costituito da livelli. Per i Sumeri, l’universo non aveva limiti né nel tempo né nello spazio, ma era eterno ed infinito. Essi lo chiamavano il mare primordiale: in un indefinito punto di esso era sospesa una sfera chiaramente divisa in due parti. La parte superiore era il cielo chiamato AN, sul quale si muovevano tutte le stelle. La parte inferiore della semisfera era il mondo sotterraneo che non si poteva vedere e nel quale erano collocate gli inferi chiamati KUR. Tra le due semisfere vi era un disco piatto, la terra chiamata KI. La terra galleggiava su un disco più grande chiamato Apsu. Da tale disco si alimentavano tutte le fonti della terra: esso era composto da acqua dolce e circondato da un oceano immenso e da alte montagne.
La genesi dell’universo dei Sumeri è abbastanza complicata; infatti, secondo i Sumeri, all’inizio del tempo esisteva solo il mare primordiale rappresentato dalla Dea Madre Nammu. Da essa presero origine AN e KI, uniti in unica sostanza chiamata la montagna cosmica. Da tale montagna ebbero origine gli Anunnaki, gli dei principali che rappresentavano le varie forze della natura ma anche gli attrezzi di uso quotidiano. I Sumeri pensavano inoltre che i movimenti dei corpi celesti, in modo particolare del Sole, rivelavano che il disco piatto della Terra era limitato per quanto riguarda l’estensione.
Ogni notte il Sole calava sull’orizzonte occidentale e il mattino seguente si alzava da quello orientale: era chiaro che durante la notte andava a finire sotto la terra, così come faceva la luna in determinati periodi.
La lotta tra luce e tenebre nelle culture mesopotamiche
Le culture mesopotamiche elaborarono un’altra idea importante, e cioè quella della lotta e della vittoria delle potenze della luce su quella delle tenebre. Il mito babilonese della creazione è senza dubbio completamente diverso da quello sumero. Infatti, la calma, la linearità e la semplicità del modello dei Sumeri si contrappongono nettamente alla nascita dell’universo babilonese sin dall’inizio, caratterizzato da scontri violenti e sanguinosi.
Marduk e Thiamat nel mito babilonese
Nel mito babilonese, Marduk, il dio ordinatore del mondo, vinse ed uccise Thiamat, il dio delle tenebre e del caos. Dal suo corpo spaccato in due ebbe origine sia la calotta del cielo, nella quale furono fissate i percorsi del Sole, della Luna e delle stelle, e quello della terra. Inoltre, Marduk creò le “stazioni” degli dei, delle quali le stelle erano immagine e rappresentazione. Marduk determinò altresì l’anno e, per ognuno dei dodici mesi, fissò tre stelle, stabilendo il tempo attraverso le costellazioni. Il cambiamento delle costellazioni era visto come un mezzo necessario per il mantenimento dei contatti tra il cielo e la terra. Pertanto, per i babilonesi, l’osservazione del cielo era un continuo dialogo tra gli dei e gli uomini.
Il “fallimento scientifico” nell’area mesopotamico-mediterraneo
Alcuni studiosi parlano di “fallimento scientifico” nell’area mesopotamico-mediterraneo, che quanto a presenze di civiltà e a contatti tra le diverse civiltà non è seconda a nessuna. In questa area geografica, Sumeri, Babilonesi, Assiri, Persiani, Greci e Arabi costituirono un caso interessante di successione di culture in cui avvenne un enorme passaggio di conoscenze. Ma in nessuna di tali culture si verificò la nascita di qualcosa che assomigli all’attuale concezione di scienza. L’analisi del caso babilonese ha dimostrato, secondo alcuni studiosi, che la concezione del cosmo e della sua origine fu la causa del “fallimento scientifico” che riguarda tali civiltà.
Secondo tali studiosi, il fallimento scientifico è dovuto al fatto che gli uomini che non riescono a rendersi conto del cosmo perdono progressivamente la fiducia nelle proprie capacità di indagine. Le scoperte archeologiche relative alla civiltà babilonese hanno dimostrato l’esistenza di elevatissime conoscenze in campo matematico, astronomico e chimico.
Le conoscenze babilonesi e il loro impatto
Le celebri tavolette di creta ritrovate a partire dal secolo scorso dimostrano che i babilonesi conoscevano strutture algebriche riconducibili alle equazioni di secondo grado. Inoltre, i babilonesi conoscevano gli elenchi di centinaia di piante e composti chimici, accompagnati da descrizioni delle loro proprietà, nonché elenchi lunghissimi di posizioni planetarie.
Queste ultime rivelano che Ipparco si basò sui dati astronomici babilonesi per scoprire la precessione degli equinozi, una delle più grandi scoperte scientifiche di tutti i tempi. La stessa scrittura non geroglifica è indice di una straordinaria capacità di astrazione. Per dirla in altro modo, già presso i babilonesi erano presenti molte delle condizioni che possono portare alla nascita della scienza nel significato moderno del termine.
Il fallimento scientifico e le credenze mitico-religiose
Tuttavia, altre tavolette di creta dimostrano che accanto a questi fatti convivevano credenze mitico-religiose elementari e violente. Di conseguenza, il fallimento dell’impresa scientifica nelle culture antiche può trovare una spiegazione estendendo ad esse il giudizio che John Needham formulò riguardo alla Cina: “quelle culture persero il coraggio intellettuale di investigare fenomeni di piccola scala dopo avere perduto fiducia nella razionalità sulla scala più grande possibile, ovvero il cosmo”.
Proprio questa perdita di coraggio intellettuale determina, secondo John Needham, il “fallimento scientifico” che caratterizzò queste antiche culture. Detto ciò, riteniamo concluso il nostro discorso sulle cosmologie mesopotamiche.
Prof. Giovanni Pellegrino