Le piante nella letteratura giapponese: la natura che si fa metafora

le piante nella letteratura giapponese

Il riferimento alle piante, nella letteratura giapponese, ha sempre rappresentato un elemento caratteristico, soprattutto in campo poetico. Sono molte, infatti, le opere letterarie e poetiche che ruotano intorno alle piante come rappresentazione o idealizzazione di uno stato d’animo, o come metafora di un aspetto della realtà.

La letteratura classica

Sin dalle prime attestazioni in epoca Nara-Heian, opere quali il Kojiki 古事記 e il Man’yōshū  万葉集permettono di scoprire come si approcciassero i letterati alla rappresentazione delle piante nella letteratura giapponese.

Infatti, oltre ad essere considerate elementi utili al sostentamento, le piante venivano impiegate in poesia come analogie, per indicare degli stati d’animo, oppure per decantare la bellezza di una fanciulla – la moglie ideale del tempo è spesso associata all’ “erba giovane”, mentre la concubina ideale nel Kojiki è paragonata al tachibana, una varietà giapponese di arancio selvatico.

La poesia classica di stampo Heian, soprattutto waka 和歌 (da cui derivano gli haiku 俳句) e renga 連歌, poi, fa ampio uso di termini legati alla vegetazione in qualità di kigo 季語, ossia “parole stagionali”: parole-immagine usate, soprattutto nel primo verso (hokku 発句) di un componimento, per suggerire, per rimandare ad una stagione in particolare.

Ad esempio, sakura , il fiore di ciliegio ormai divenuto simbolo del Giappone, è kigo per la primavera, mentre momiji 紅葉, l’acero giapponese, le cui foglie colorano di rosso i boschi all’appressarsi dell’autunno, lo è, appunto, per l’autunno.

L’uso del kigo, oltre ad “ambientare” l’azione contenuta in una determinata poesia, permette di creare quell’atmosfera sognante ed evocativa che caratterizza i componimenti di quel periodo.

In epoca più moderna, le piante nella letteratura giapponese continuano ad avere un proprio spazio, ma se da un lato c’è chi mantiene quest’aura tradizionale, di stagionalità, come Tanizaki Jun’Ichirō 谷崎潤一郎, dall’altro c’è chi invece dà all’elemento vegetale un senso tutto nuovo e moderno, come Kajii Motojirō 梶井基次郎.

Tanizaki e il sakura

In Sasame Yuki 細雪 (Neve sottile, 1948) di Tanizaki, il sakura assume un ruolo quasi da protagonista nell’accompagnare le sorelle Makioka verso il lento declino del loro status sociale. In effetti, la loro storia è scandita dal rituale dello hanami, ovvero dell’osservare gli alberi di ciliegio in fiore, che le sorelle compiranno cinque volte, ciascuna delle quali in modo diverso.

Il primo hanami è presentato come una celebrazione della bellezza, tanto dei ciliegi quanto delle stesse sorelle, che per l’occasione sfoggiano dei kimono nuovi, dato che la loro situazione economica e il loro status glielo permette; la visita è armoniosa, e le sorelle (ad eccezione della maggiore, assente) si attengono scrupolosamente al loro rituale, che prevede prima una passeggiata sotto i ciliegi e poi il pranzo in un certo ristorante a Kyōto; l’ultimo, invece, rappresenta la chiusura del cerchio, l’avviarsi delle due sorelle minori verso un futuro da mogli come le due maggiori e, secondo quanto apprendiamo dai pensieri di Sachiko, la seconda, anche la fine della loro storia come famiglia.

Il titolo stesso dell’opera, in italiano tradotto come Neve Sottile, rimanda alla caduta dei petali dei fiori, che ricordano una morbida nevicata.

I ciliegi di Mishima

Quest’immagine tanto delicata e sognante assume tutta un’altra connotazione in Mishima Yukio 三島由紀夫: in Honba 奔馬 (Cavalli in Fuga, 1969), infatti, la caduta dei petali del sakura, simbolo d’impermanenza, cornice temporale e sipario di tanti romanzi, è paragonata al valoroso cadere in battaglia dei samurai, che, come questi fiori, hanno vita breve e fine gloriosa.

Il giardino dei sogni

Come abbiamo visto, Tanizaki riesce a ricreare con maestria atmosfere da monogatari 物語, affidandosi allo scorrere delle stagioni, e ai cambiamenti che questo comporta per la natura, per scandire le vicende di una famiglia in declino; un altro esempio ne è Yume no Ukihashi 夢の浮橋 (Il Ponte dei Sogni, 1959), romanzo breve ispirato al Genji Monogatari 源氏物語, in cui le vicende della vita del protagonista Tadasu si accordano con le stagioni tramite i riferimenti alla flora.

In Yume no Ukihashi troviamo un’altra visione delle piante nella letteratura giapponese, di diretta discendenza dalla letteratura antica: in questo caso, l’elemento portante non è una singola pianta ma tutto un giardino, fonte di conforto, che rappresenta la “bolla”, la realtà ideale in cui si auto-confina Tadasu.

Il giardino, in Asia, è un piccolo cosmo e per questo deve contenerne tutti gli elementi (acqua, terra, aria), e quello di Tadasu non è da meno: attraversato da un corso d’acqua sul quale passano due ponti, il giardino conta anche uno stagno e uno shishi odoshi 鹿威し, il tipico gioco d’acqua dei giardini zen che con il suo rumore secco scandisce la vita di Tadasu, tanto da ricordargli poi la cantilena della voce della madre quando lei muore.

Il giardino, per Tadasu, è un vero e proprio universo a sé stante da cui non esce mai, la sua piccola e perfetta bolla di armonia che niente può scalfire: quando avvengono eventi talmente gravi da turbarne la pace, infatti, anche la natura si ribella; ad esempio, dopo la morte del padre di Tadasu, il fiumiciattolo straripa e lo shishi odoshi si rompe, venendo poi sistemato dalla moglie del defunto, Tsuneko.

Una macabra foresta

Fin’ora abbiamo visto solo rappresentazioni positive delle piante nella letteratura giapponese.

Alcuni autori, però, scelgono di caricare l’elemento vegetale di una luce diversa, di una sfumatura più profonda.

Kajii Motojirō, ad esempio, nella sua seppur breve produzione, fa del sakura il protagonista di un suo racconto breve, ma dandone un ritratto molto più disturbante.

Infatti, il suo racconto Sakura no Ki no shita ni wa 桜の木の下には (1928), tradotto in italiano come Sotto i ciliegi, si apre con un’affermazione curiosa: «Sotto gli alberi di ciliegio sono sepolti dei cadaveri.».

Il protagonista del racconto, turbato dalla bellezza potente e delicata dei sakura, che lo opprime, elabora questa macabra visione, immaginando i tronchi dei ciliegi “alimentati”, attraverso le radici, da migliaia di corpi in decomposizione che trasferiscono i loro succhi agli alberi, mischiandoli con la linfa; così facendo, riesce a liberarsi dall’angoscia che quest’eccesso di bellezza gli provocava.

In questo caso, quindi, i sakura sono ancora simbolo di bellezza, ma di una bellezza malata, oppressiva, dietro cui «si nasconde un mondo in decomposizione».

Il limone

Quando si parla delle piante nella letteratura giapponese, non si possono tralasciare i loro frutti, che da alcuni autori sono stati posti al centro di pregevoli racconti

Per esempio, ancora Kajii dedica uno dei suoi racconti più famosi ad un frutto, intitolandolo appunto Remon レモン (Limone, 1925).

In questo racconto il protagonista, uno studente oppresso dai debiti e dalla malattia, non riesce a sciogliere il grumo di angoscia che porta in petto, finché sul bancone di un fruttivendolo non scorge un limone.

Il frutto, con il suo giallo vivido che ricorda un pigmento dei colori ad olio, e il suo profumo penetrante, gli ridà vita e lo rende capace di un atto sovversivo: entrare nei grandi magazzini Maruzen, tempio della modernità e dei beni d’importazione, impilare e accatastare uno sull’altro i libri di vari scaffali e porvelo di sopra, il limone, come una bomba dorata in procinto di esplodere.

Per Kajii il limone diventa l’emblema della bellezza, ma una bellezza diversa da quella opprimente dei ciliegi in fiore; è la bellezza della contemplazione, la bellezza spirituale antidoto alla frenetica modernità del Maruzen con i suoi libri d’arte, profumi e abiti importati dall’Occidente.

Per lo studente protagonista del racconto, porre il limone in cima ai libri è un atto catartico, che gli permette di ristabilire l’equilibrio tra la tradizione e la modernità, tra il semplice e il complesso. Il limone gli permette di affermare la propria soggettività e di ridare un senso a quella realtà così vuota che gli procurava angoscia.

Fonte per l’immagine in evidenza: Pixabay

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