L’espressione vittoria mutilata, a cosa si riferiva D’Annunzio?

vittoria mutilata

L’espressione vittoria mutilata fu coniata nel 1918 dal poeta, giornalista e militare Gabriele D’Annunzio, al termine della Prima guerra mondiale, e si riferisce al fatto che, nonostante l’Italia fosse uscita vincitrice dalla Grande guerra, gli interessi degli italiani non furono pienamente rispettati. Adottata dai più patriottici e nazionalisti, l’espressione si identifica in un’avversione contro i governi del cosiddetto Biennio Rosso (1919-20) che, in seguito alla stipula del trattato di Versailles (1919) ed ai famosi 14 punti del presidente americano Wilson, non hanno fatto abbastanza per difendere gli interessi degli italiani.

Il contesto storico

La nascita dell’espressione vittoria mutilata è strettamente collegata alle decisioni prese dal governo in precedenza all’ingresso dell’Italia in guerra. Nel 1914, il governo italiano dichiarò la propria neutralità nonostante fosse legato agli Imperi centrali dalla Triplice Alleanza, un patto militare difensivo firmato da Italia, Impero Austro-Ungarico e Impero tedesco, nel 1882.

Nel 1915, però, in seguito a trattative segrete intraprese con le potenze dell’Intesa (così chiamata l’alleanza tra Francia, Regno Unito, e Russia) dall’allora presidente del consiglio Antonio Salandra e da Sidney Sonnino, il governo italiano si accordò con le suddette potenze per combattere gli imperi centrali. La nascita dell’espressione “vittoria mutilata” nasce proprio sulla base delle promesse e degli accordi intrapresi nel 1915: l’entrata in guerra dell’Italia a fianco delle potenze dell’intesa o degli imperi centrali era basata su interessi territoriali. Questo significava che il governo italiano sarebbe entrato in guerra a fianco di coloro che gli avrebbero garantito, in caso di vittoria, migliori condizioni in termini di concessioni territoriali. Tutte le promesse, però, non furono pienamente mantenute.

Oltre a questo, tra Italia ed Austria esisteva un contenzioso che durava da diverso tempo e riguardava le cosiddette terre irredente, dei territori che, storicamente, erano rivendicati dagli italiani. Nonostante i vari tentativi delle potenze centrali, l’Italia si schierò con le potenze dell’intesa poiché l’Austria era molto restia a fare concessioni territoriali e, di conseguenza, l’Italia non era sicura di ottenere quelle terre storicamente contese. 

Nel 1915, l’Italia entrò in guerra. Come da condizioni, l’esercito italiano si sarebbe impegnato a scendere sul campo di battaglia entro un mese, in cambio di concessioni territoriali a conflitto terminato: l’Italia avrebbe ottenuto il Trentino Alto-Adige, la Venezia-Giulia, il Brennero, l’Istria oltre che diversi territori corpus separatum, come l’Anatolia. Queste promesse furono, quindi, formalizzate in un patto siglato a Londra, chiamato Patto di Londra (1915).

Nonostante l’Italia avesse mantenuto gli impegni e formalmente vincitrice della guerra, come detto, le promesse non furono mantenute o, meglio, i rappresentanti italiani non furono in grado di esigere il pieno rispetto del trattato e le conseguenti rivendicazioni italiane. A partire da quello che sarà applicato dal presidente americano Wilson, nascerà l’espressione “vittoria mutilata”: il presidente, non firmatario del patto, basava l’attribuzione dei territori ad uno stato sul principio di autodeterminazione dei popoli, secondo cui, ad esempio, una città a maggioranza slava avrebbe dovuto appartenere alla Jugoslavia, una città a maggioranza italiana avrebbe dovuto appartenere all’Italia.

La nascita dell’espressione vittoria mutilata

L’espressione vittoria mutilata nacque quando la città di Fiume, nonostante fosse a maggioranza italiana, fu occupata da soldati interalleati, in attesa di proclamarla italiana o slava. Inoltre, il trattato di Versailles (1919) negò all’Italia alcuni compensi territoriali in Dalmazia. La reazione fu rabbiosa: tra irredentisti e patriottici iniziò a crescere, come conseguenza, il malcontento di una “vittoria mutilata”, poiché gli interessi degli italiani non furono concretamente difesi. È opportuno ricordare che la città di Fiume non era stata presa in considerazione durante la stipula del trattato di Londra ma che, come detto, era abitata principalmente da italiani.

La situazione politica era completamente instabile così come quella sociale: quello che era accaduto non rendeva onore ai seicentomila caduti per la patria; era, appunto, una vittoria mutilata. Fu in questo contesto che Gabriele D’Annunzio, orgoglioso patriota, cercò di proclamare la città di Fiume come città italiana, in maniera autonoma e unilaterale. Ai primi di settembre del 1919, egli si reca a Ronchi, nei pressi di Fiume, dove è d’istanza un battaglione dell’esercito italiano che, disobbedendo agli ordini dei superiori, decise di eleggerlo a proprio capo. Allo stesso battaglione, che prenderà il nome di Reggenza del Carnaro, si aggiunsero diverse centinaia di soldati, tra i più nazionalisti e patriottici ma anche semplici volontari che accorsero in città per supportare lo scrittore. Egli fu denominato Vate e, mettendosi a capo di questo esercito, il 12 settembre 1919 marciò su Fiume, scacciando i soldati interalleati che la presidiavano. Il giorno stesso, D’Annunzio proclamò unilateralmente Fiume città italiana. Ovviamente, l’occupazione di un territorio libero avrebbe potuto causare gravi incidenti internazionali, per cui i governi dell’epoca, presieduti da Nitti prima e Giolitti poi, cercarono in tutti i modi di ostacolare l’iniziativa.

La questione fu risolta quando, nel novembre del 1920, Giolitti firmò con la Jugoslavia il trattato di Rapallo, tramite cui alla Jugoslavia fu attribuita la Dalmazia, con l’eccezione della città di Zara che fu assegnata all’Italia; Fiume, invece, riconosciuta città libera. Quindi, poiché il trattato stabiliva che Fiume fosse una città libera, né italiana né slava, Giolitti ordinò all’esercito regolare italiano di attaccare la Reggenza del Carnaro e di liberarla: l’operazione fu compiuta il giorno di Natale del 1920, in quello che viene definito Natale di sangue. Successivamente, a causa di questo episodio, ricordato con l’espressione “vittoria mutilata”, il sentimento patriottico non fece altro che diffondersi in buona parte della penisola: insieme ad altre cause, questa fu una delle motivazioni principali che, a partire dal 1919, portarono in auge del supporto i diversi movimenti patriottici di estrema destra, come il Fascismo.

Fonte immagine: Wikipedia Commons

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