A distanza di più di mezzo secolo dall’olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki, la resa assoluta del Giappone e la conseguente fine della Seconda guerra mondiale, la memoria della tragedia atomica e della guerra ha attraversato diverse fasi.
Da un inizio zoppicante, in cui il mondo era diviso tra la necessità di raccontare e denunciare la devastazione e la voglia di dimenticare gli orrori del passato, ci si è spostati, gradualmente, a percepire i temi di guerra e memoria come sempre più urgenti, tanto da spingersi oltre i confini della letteratura, fino a media come il cinema, il fumetto e i film d’animazione. È in questo contesto che si inseriscono dei capisaldi imprescindibili per lo sviluppo della lotta contro il nucleare e la guerra come Hadashi no Gen (はだしのゲン, Gen di Hiroshima, 1973-1987) di Nakazawa Keiji (中沢 啓治, 1939-2012), Nausicaä della Valle del Vento (風の谷のナウシカ, 1982-1994) di Miyazaki Hayao, Pikadon (ピカドン, 1978) di Kinoshita Renzo (木下蓮三, 1936-1997), Genbaku no ko (原爆の子, I bambini della bomba atomica, 1952) di Shindō Kaneto (1912-2012) e Hiroshima Mon Amour, del francese Alain Resnais (1922-2014).
Tuttavia, il fil rouge che collega queste opere e che rappresenta il punto d’inizio dell’intera corrente artistica di critica della guerra è, senza omba di dubbio, la Genbaku bungaku (letteratura della bomba atomica), che negli ultimi anni ha acquistato sempre più risonanza e valore agli occhi del pubblico internazionale.
I tre grandi scrittori dell’atomica
Se si è impegnati in una ricerca sulla letteratura della bomba atomica, il primo nome a saltar fuori sarà sicuramente quello di Hara Tamiki. La portata del suo contributo, sia artistico che umano, è difficile da spiegare; così tanto grande da aver oscurato le sue stesse opere pre-belliche e quelle di due dei suoi concittadini e colleghi che hanno, a loro volta, prodotto dei resoconti scritti, in forma di prosa e poesia, delle loro “personali” Hiroshima.
Ōta Yōko (大田洋子, 1906-1963), nata Fukuda Hatsuko, a metà agosto scappò da Hiroshima rifugiandosi nel suo villaggio natale, Kushima, a ovest della città devastata.
Il lavoro per cui è più conosciuta, Shikabane no machi (屍の街, Città di cadaveri, 1948), come Natsu no hana (夏の花, Fiori d’estate, 1947) di Hara, non è un prodotto di fantasia. Nonostante ci sia una particolare attenzione al linguaggio, allo stile utilizzato e una riorganizzazione cronologica degli eventi accaduti per una migliore resa narrativa, entrambi i romanzi sono crude cronache di eventi realmente accaduti, catturate dagli occhi increduli di Ōta e Hara.
Tōge Sankichi (峠 三吉, 1917-1953) è principalmente ricordato per la sua struggente e magnfica raccolta di poesie intitolata Genbaku shishū (原爆詩集, Poesie della bomba atomica). Il poeta giapponese, impegnato sia politicamente con il Partito comunista giapponese che religiosamente (si convertì al cristianesimo nel 1942), morì quando aveva solo 36 anni, in seguito alla cattiva riuscita di un intervento all’ospedale di Hiroshima. A causa di questo triste incidente di percorso non ci è rimasto molto della sua produzione artistica, ma quel poco che abbiamo è di una potenza inarrestabile e possiede un valore umano inestimabile.
Conclusione
Dal 6 agosto 1945 ad oggi, molte voci hanno contribuito a costruire una memoria storica collettiva, assumendosi il gravoso ma imprescindibile compito di rendere più evidenti le ingiustizie della guerra. Gli sforzi della letteratura della bomba atomica, uniti alla crescente consapevolezza globale sui traumi inflitti dal nucleare, hanno trovato, nel 2024, un riconoscimento straordinario: il Premio Nobel per la Pace assegnato alla Nihon Hidankyō (日本被団協, Confederazione Giapponese delle Organizzazioni dei Sopravvissuti alle Bombe Atomiche e a Idrogeno).
Tale evento rappresenta la culminazione di più di mezzo secolo di lotta e testimonianza, in cui la sofferenza è stata trasformata in una causa universale per la pace.
I fragorosi echi di Hara Tamiki e di tutti i sopravvissuti hanno contribuito a mantenere viva la consapevolezza, sfidando le ombre del passato e facendo sì che l’umanità non dimenticasse le atrocità della guerra. Oggi, il Premio Nobel rappresenta non solo una commemorazione, ma un monito per il futuro: che la pace non sia solo un ideale, ma una realtà costruita sulla forza della memoria e nel rispetto del dolore passato.
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