Letteratura e cinema: esplorando due linguaggi artistici

Letteratura e cinema: esplorando due linguaggi artistici

Cinema e letteratura, i due linguaggi artistici a confronto

L’affermazione del cinema come forma d’arte indipendente ha generato nel corso della storia un nutrito dibattito, dando vita a numerose controversie e discussioni, poiché quest’ultimo ha sfidato le idee tradizionalmente associate ad altre forme artistiche come la letteratura, il teatro, la fotografia e la musica. Prima che il cinema si affermasse come fenomeno di intrattenimento, la fotografia e i giocattoli ottici dell’Ottocento hanno rivestito un ruolo di fondamentale importanza grazie alle loro innovazioni rivoluzionarie. Fin dagli ultimi decenni del XIX secolo, il cinema aveva da sempre una finalità ludica ed effimera. Le prime proiezioni pubbliche erano organizzate durante fiere, spettacoli teatrali e mostre al fine di attrarre un ampio pubblico sfruttando l’innovazione visiva delle immagini in movimento. Tuttavia, questi luoghi non erano meri spazi neutrali per la visualizzazione di proiezioni cinematografiche; si trasformavano in veri e propri teatri di emozioni collettive. In queste sale, le reazioni del pubblico non erano semplicemente quelle di uno “spettatore passivo” di immagini in movimento ma al contrario, le risate spontanee si propagavano attraverso la folla, gli applausi sinceri riconoscevano le performances e le espressioni di meraviglia dipinte sui volti degli spettatori attestavano la straordinaria capacità del cinema di suscitare stupore e ammirazione.

Gli scrittori e gli intellettuali generalmente avevano due opinioni sul cinema: erano sia spaventati dall’impressionante impatto che quest’ultimo avrebbe potuto avere nella società, sia interessati per le sue caratteristiche uniche, pensando che potesse contribuire significativamente al rinnovamento di un contesto estetico troppo tradizionale. Tuttavia, nonostante le qualità spettacolari, questa fase iniziale del cinema era ancora fortemente influenzata dalla percezione di intrattenimento di massa ed è proprio per questo che da un primo momento iniziale di percezione negativa, l’elemento di spettacolarità è stato in qualche modo una sorta di “trampolino di lancio” per esplorare nuovi orizzonti artistici, dimostrando che anche il cinema può dialogare tra le arti. Possiamo quindi definire l’atteggiamento che gli intellettuali nutrono per il cinema come ambivalente in quanto nell’analisi comparativa dei testi letterari e cinematografici, l’enfasi viene posta soprattutto sulla critica delle differenze. Proprio come nei film, nei testi si possono ritrovare trame coinvolgenti ed uno stile specifico che riflettono le intenzioni autoriali riguardanti la cultura generale e il rapporto voluto da parte dell’autore nei confronti del lettore. In passato, si osservava che la letteratura avesse un maggiore potere formativo rispetto al cinema poiché si riteneva che la prima stimolasse l’immaginazione del lettore, mentre il secondo coinvolgeva il lettore in una narrazione “già pronta”.

Tuttavia, il cinema è finito per trovarsi accanto alla letteratura e ad altre arti che richiedono una struttura testuale completa, offrendo al fruitore un vero e proprio spazio critico. Il rapporto tra un sistema espressivo basato sulla parola (testi) e uno prevalentemente basato sulle immagini (cinema) è dunque una questione alquanto complessa poiché, sebbene sembrino essere due tipi di linguaggio completamente diversi, condividono delle caratteristiche comuni. In primo luogo, entrambi sono sistemi narrativi perché organizzano storie, scandite temporalmente da una durata (intesa sia in pagine che in minuti), ordinando una serie di eventi e azioni intraprese dai personaggi a causa delle loro “aspirazioni” e “desideri”. In questo contesto, assume particolare importanza il ruolo del regista, figura chiave nel processo cinematografico. In precedenza, all’adozione del sonoro nel cinema, l’utilizzo delle didascalie (effettive inserzioni letterarie) e dei sottotitoli erano essenziali per trasmettere la componente verbale dei film tramite l’inclusione di descrizioni narrative nelle sequenze visive.

L’utilizzo di didascalie e sottotitoli nel cinema ha permesso la coesistenza di due dimensioni distintive all’interno della stessa inquadratura e tenendo conto del fatto che, la parola è stata precedentemente scritta nella sceneggiatura, si possono identificare due forme: quella letteraria e quella cinematografica. Attraverso tale metodo, il cinema unisce in modo simultaneo sia gli elementi visivi che la connessione col mondo della scrittura. Così, secondo il critico Giacomo Manzoli, il regista, avendo a disposizione tutti questi elementi, si trova di fronte al cruciale compito di sviluppare il proprio “vocabolario visivo”. Questo linguaggio distintivo diventa una sorta di “firma artistica”, caratterizzando la sua visione unica e personale. In questo processo di “traduzione visiva”, emergono le sfide e le responsabilità del regista nel plasmare un proprio vocabolario cinematografico efficace e la scelta di quali simboli utilizzare, come organizzarli e come farli interagire per trasmettere significati complessi, richiede una conoscenza artistica e una visione chiara da parte del regista.

Teorie e linguaggi

Nel contesto più ampio della riflessione, Anna De Biasio parla in un suo saggio intitolato “Narratività o narratologia trans-mediale”, di vedere come si raccontano le storie in diversi media. Prende come esempio di metodo di raccontare la stessa storia in diversi medium quello di Game of Thrones. Con la parola medium si intende il canale che si usa per veicolare una storia: il cinema in quanto forma di linguaggi è un medium, mentre invece nell’ambito della letteratura il medium potrebbe essere ad esempio la carta stampata (se pensiamo in senso cartaceo) o lo schermo digitale (se parliamo di edizione digitale); la televisione è un medium, la rete stessa è un medium e nel caso di Game Of Thrones il medium sarebbe la narrazione audiovisiva televisiva (anche se effettivamente quella degli ultimi decenni è una televisione fortemente digitalizzata). De Biasio sottolinea la complessità intrinseca al termine medium, evidenziando la sua natura di ‘mezzo’ utilizzato per trasmettere una narrazione. Questo approfondimento del concetto di medium è fondamentale per esplorare le modalità in cui una storia può essere plasmata e interpretata attraverso diverse forme artistiche. George R.R. Martin, nel testo di Game of Thrones fa uso di quello che in letteratura si chiama “punto di vista limitato” o “focalizzazione interna”, i romanzi sono infatti costruiti principalmente attraverso capitoli in cui i personaggi detengono il punto di vista e quindi l’informazione è filtrata attraverso quello specifico punto di vista. La serie televisiva riesce a catturare la limitazione prospettica, dimostrando la riuscita trasposizione di caratteristiche letterarie salienti in un medium visivo.

In parallelo, il concetto di Homo Adaptans di Massimo Fusillo nella letteratura comparata emerge come un’ulteriore chiave interpretativa nel rapporto tra cinema e letteratura intesi come due linguaggi, sottolineando la centralità dell’adattamento nella creatività umana. Massimo Fusillo sottolinea che, nonostante molti film siano adattamenti letterari, questa trasformazione non dovrebbe essere considerata come una “perdita del lavoro originale”. Nel corso del Novecento, l’intermedialità è diventata molto più rilevante con lo sviluppo delle tecnologie e dell’industria culturale, ampliando canali e supporti attraverso cui un’opera basata su una storia può circolare, comunicare e oltrepassare confini spazio-temporali. L’adattamento instaura una particolare vicinanza tra il testo letterario e quello filmico, spesso scatenando confronti e giudizi comparativi tra lettori e spettatori. Questo confronto tende a stabilire quale versione sia “migliore”, talvolta considerando il testo derivato solo come una versione più o meno riuscita dell’originale, generando posizioni talvolta grottescamente stigmatizzate. La presunta “delusione” associata alla trasposizione cinematografica è criticata da Massimo Fusillo come un pregiudizio; egli argomenta che l’adattamento può arricchire la storia attraverso le peculiarità del medium cinematografico, introducendo elementi che il testo originale non poteva evidenziare. Il cambiamento di prospettiva sull’adattamento, come illustrato anche negli studi di Linda Hutcheon nel suo testo Teoria degli adattamenti (2011), rappresenta una svolta significativa nel modo in viene concepita la relazione tra opere originali e le loro trasposizioni.

L’analisi di Hutcheon si estende ben oltre il tradizionale ambito cinematografico, abbracciando una vasta gamma di media e contesti culturali, legali, economici e filosofici. Hutcheon sostiene che gli adattamenti sono oggi la modalità più diffusa per raccontare storie attraverso vari generi e media, con ricadute economiche significative. Secondo Hutcheon, l’identità di un racconto è mobile e instabile, poiché le storie viaggiano nel tempo e nello spazio. Hutcheon respinge l’idea di una gerarchia tra diversi medium artistici, sottolineando che diverse versioni esistono lateralmente, non verticalmente. Sintetizzando, sostiene che l’adattamento in questo caso il rapporto tra il cinema e la letteratura, può essere apprezzato indipendentemente dal grado di fedeltà all’originale, aprendo la porta a ulteriori percorsi di ricerca. Si potrebbe affermare che il processo dello smontare la gerarchia tra originale e adattamento rivela un aspetto fondamentale: il valore retroattivo degli adattamenti e delle riscritture e nel caso del cinema, emerge come una potente manifestazione in grado di offrire nuove prospettive e reinterpretazioni delle opere letterarie.

Ancora, nel definire cosa si intende per medium, Giuseppe Esopo incita a una profonda riflessione sulla nozione di quest’ultimo, inteso come il veicolo attraverso il quale un messaggio, anche di natura artistica, viene trasmesso. Nel contesto moderno, con l’avvento della tecnologia di stampa che ha permesso una diffusione massiccia della scrittura e dei testi, questo concetto diventa estremamente complesso. Emerge a questo punto un quesito cruciale: la letteratura dovrebbe essere considerata come un medium autonomo o piuttosto come un linguaggio artistico in grado di adattarsi a diversi veicoli di trasmissione? La riflessione su questa questione trova fondamento in una disciplina della letteratura comparata, chiamata appunto intermedialità, che indaga la connessione e la capacità delle diverse forme artistiche di dialogare tra di loro. Attraverso l’intermediazione artistica, si indaga sulle connessioni e sul potenziale dialogico delle varie discipline. Nato verso la seconda metà del XX secolo, questo campo di studio si occupa principalmente delle relazioni intrinseche e dinamiche tra diversi medium artistici, andando oltre la mera coesistenza delle arti. In passato, la concezione delle diverse forme artistiche come entità separate e incapaci di dialogare era ampiamente radicata e l’approccio tra queste considerava le varie espressioni artistiche come compartimenti stagni, isolati l’uno dall’altro, inadeguati di comunicare o interagire.

L’origine di questa prospettiva settoriale può essere fatta risalire dal filosofo greco Aristotele che, nel suo trattato di Poetica Aristotelica del IV secolo a.C., fornì un’analisi approfondita della poesia drammatica non solo dal punto di vista dei suoi componenti come trama, personaggi e linguaggio, ma anche ponendo l’accento sulle relazioni e l’influenza reciproca tra diverse forme espressive. Ancora, dal pensiero di Lessing nel trattato Laocoonte (1766), egli esprimeva la necessità di mantenere confini chiari tra le arti, asserendo che la pittura dovesse concentrarsi sull’immobilità espressa nelle sculture antiche, mentre la poesia dovesse avere la libertà di esprimere il dinamismo narrativo. Tuttavia, nel corso del tempo questa concezione riduttiva è stata gradualmente messa alla prova e con lo sviluppo della ricerca sull’intermedialità è emerso questo nuovo approccio che considera le arti come ‘sorelle’, capaci di comunicare e interagire tra di loro in modi significativi. Questa “interplay” tra forme d’arte diversificate non solo amplia le possibilità creative, ma arricchisce anche l’esperienza dello spettatore, aprendo nuove vie di comprensione e interpretazione.

La storia dei rapporti tra letteratura e il cinema ha profonde radici che risalgono già con il primo adattamento di un’opera letteraria risalente al lontano 1902: Le voyage dans le lune (Viaggio sulla luna), di Georges Meliès, tratto dal romanzo di Jules Verne (1865). Sin da allora, la tendenza agli adattamenti cinematografici è cresciuta, specialmente nel passaggio dal cinema muto a quello sonoro. Durante il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, e soprattutto dagli anni Cinquanta in poi, si è assistito a un aumento significativo degli adattamenti cinematografici di romanzi. In Francia, nei primi anni Venti, si inizia a discutere della scrittura letteraria in relazione al nuovo mezzo cinematografico e questo dibattito coinvolgeva scrittori, come accennato precedentemente, con posizioni diverse: alcuni scettici nei confronti del cinema e altri entusiasti delle sue potenzialità. Tra le due guerre mondiali, il cinema ha influenzato notevolmente il genere letterario romanzesco, determinando l’abbandono delle tecniche narrative tipiche del XIX secolo, come le lunghe descrizioni e le storie lineari, in favore di un linguaggio più simile a quello cinematografico. Si è dunque iniziato a utilizzare anche in letteratura, elementi simili al linguaggio cinematografico, incorporando tecniche come il multi-prospettivismo, la simultaneità  e la collocazione non ordinata degli eventi nella storia attraverso una struttura narrativa che segue un percorso non lineare, come accade ad esempio in Mrs. Dalloway di Virginia Woolf (1925), testo in cui la narrazione non fa altro che seguire i pensieri della protagonista attraverso una serie di flashbacks e salti temporali.

Nella cornice di tutto questo contesto, lo sceneggiatore, insieme al regista, svolgono una funzione creativa fondamentale: diventare dei veri e propri creatori di un linguaggio visivamente distintivo di creare, come spiegato precedentemente, uno specifico “vocabolario visuale” che sia in grado di mantenere intatta l’essenza letteraria anche quando si rischia di sacrificare la precisione della rappresentazione per ottenere una maggiore potenza espressiva. Allo sceneggiatore, che sta cercando di adattare un testo per il cinema, si presenta concretamente come una pagina scritta che egli deve tradurre in immagini. Le riflessioni dell’autore, siano esse personali o assegnate ai personaggi mediante monologhi interiori o altre strategie narrative, possono essere mantenute nel film con l’interpretazione di un attore per creare una voce extradiegetica (o voice over screen). Ma un testo è fatto in buona parte di descrizioni che attengono al piano della contestualizzazione e dell’azione, e queste, in un film, devono essere rese attraverso le immagini. Non si può presupporre erroneamente, come accennato precedentemente, che lo sceneggiatore e successivamente il regista, abbiano solo la responsabilità di trasformare ogni parola o frase del testo originale in un’immagine o nella recitazione degli attori. La modalità di lavoro della traduzione letteraria differisce da quella standard in quanto c’è bisogno di considerare che ogni lingua ha regole sintattiche e grammaticali uniche che influenzano l’organizzazione dei vocaboli nei testi. Di conseguenza, la struttura del discorso e il processo di comunicazione tra cinema e letteratura  sarà modellato in modo differente rispetto all’originale. 

Fonte immagine: Pixabay.

A proposito di Martina Barone

Laureata in Lingue e Culture Comparate presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale. Appassionata di cultura giapponese, letteratura, arte, teatro e cinematografia.

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