L’influenza buddhista nella letteratura giapponese: un viaggio nella storia della produzione letteraria nipponica
Il Giappone non nasce come una nazione buddhista, infatti questa religione fu introdotta solamente nel VI secolo d.C. Quello che non sapevano i giapponesi era che questa religione sarebbe dopo poco diventata fondamentale soprattutto alla loro letteratura, che in alcuni casi è fortemente legata alle regole e ai principi buddhisti. Per questo motivo, l’influenza buddhista nella letteratura giapponese diventa una caratteristica fondamentale, presente in maniera maggiore o minore, ma pur sempre presente
Genji Monogatari e la questione ad esso legata
Tra le prime opere nelle quali si sente l’influenza buddhista nella letteratura giapponese, non può mancare l’opera più importante della letteratura giapponese, ovvero Genji Monogatari, un romanzo scritto da Murasaki Shikibu.
Ad esso è altrettanto legata un’altra opera buddhista, intitolata Genji Ippon Kyō, risalente al 1776. Quest’opera è stata scritta da un monaco, Choken, che ha elencato al suo interno tutti i generi letterari presenti a quel tempo in Giappone, dal più lontano a quello più vicino al raggiungimento della salvezza buddhista. È proprio in quest’occasione che il monaco pone i monogatari, ovvero i romanzi di finzione giapponesi, all’ultimo posto, poiché accusati di raccontare menzogne e suscitare passione, che allontana dal nirvana. Al contrario, le scritture buddhiste erano ovviamente considerate le uniche accettabili.
Come si può evincere dal titolo, l’opera del monaco Choken prende in causa Murasaki Shikibu e la sua meravigliosa opera, che nonostante tutto contiene al suo interno numerosi elementi buddhisti. Innanzitutto, Genji Monogatari è pregno del concetto buddhista di karma, ma anche del fatto che il protagonista maschile di questo romanzo, il principe Genji, sfrutta di proposito le idee del buddhismo per raggiungere le sue soddisfazioni personali, che consistono nel corteggiare e stare con varie donne. Allo stesso tempo, la stessa troppa passione viene condannata, come già detto, dal Buddhismo, poiché essa può portare solo alla distruzione del singolo.
Letteratura giapponese e buddhismo Kamakura
Nel XII secolo, l’influenza buddhista nella letteratura giapponese diventa ancora più forte, perché proprio in questo periodo si diffonde il buddhismo Kamakura, un sentimento legato al senso di incertezza, instabilità e morte. Questo tipo di buddhismo si basava su due concetti principali: Mappō, la fine del ciclo vitale di diecimila anni chiamato Dharma, alla fine del quale c’è solo morte; Mujōkan, cioè la percezione dell’evanescenza della vita umana. In questo periodo, sono due gli autori giapponesi che producono delle opere che si basano fortemente su questo sentimento.
Uno di essi è Kamo no Chōmei, un poeta giapponese che scrive Ricordi di un eremo (Hōjōki, in giapponese), un’opera caratterizzata in tutta la sua interezza dal buddhismo Kamakura. Divisa in due parti, nella prima il poeta si sofferma sulle catastrofi, naturali e non, con un pessimismo molto cupo. Nella seconda, il sentimento del mujōkan è presente in maniera molto forte, legato all’attaccamento dell’autore a oggetti materiali, un attaccamento doloroso che non può portare alla salvezza, perché essa è raggiungibile solo eliminando questi tipi di attaccamenti dalla propria vita.
L’altro autore che fa confluire fortemente l’influenza buddhista nella letteratura giapponese, tra i più importanti di questo periodo, è Kenkō Hōshi, autore di Momenti d’ozio (Tzurezuregusa, in giapponese), che al contrario di Kamo no Chōmei ha una visione più positiva della vita, nonostante essa sia sempre caratterizzata dal sentimento del mujōkan, ma lui preferiva godere le bellezze della vita proprio perché alla fine di essa non rimarrà più nulla. Inoltre, egli si basa anche sul concetto di irregolarità, che fa parte anche dell’etica propria dei giapponesi, fondata sulla non-artificialità delle cose, e quindi un’etica completamente opposta a quella occidentale.
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