Il secondo dopoguerra è stato un periodo di assestamento e di ripresa dal recente e brutale conflitto, ma è stato anche un periodo che è la culla di molti importantissimi movimenti d’avanguardia. Tra i movimenti di spicco nello scenario europeo abbiamo l’arte nucleare, corrente d’avanguardia italiana nata dalla mente di Enrico Baj; il Gruppo Co.Br.A. degli artisti Karel Appel e Asger Jorn, e molti altri ancora. Tra questi, però, c’è una corrente italiana che ha fatto la storia della rappresentazione dello spazio nei quadri, stravolgendo completamente gli assetti artistici e le stesse tele, martoriate con graffi e buchi: questo è il movimento dello Spazialismo, nato dall’artista Lucio Fontana.
Lucio Fontana, figlio dello scultore italiano Luigi Fontana e di madre argentina, fin da piccolo ha sempre avuto un contatto ravvicinato con l’arte, iniziando a lavorare nell’officina paterna a 22 anni, poi però verrà mandato in Italia a formarsi al liceo artistico di Brera e, successivamente, all’Accademia delle Belle Arti della stessa città. Durante la Seconda Guerra Mondiale, però, Lucio Fontana ritorna in Argentina per sfuggire al conflitto, ma proprio lì insieme ad un gruppo di allievi, nel 1946 fonda il Manifesto Blanco, un documento d’inizio in cui si propone un cambiamento della forme dell’arte, volendo superare i confini della tradizione e creare un nuovo linguaggio. Questo documento sarà una base fondamentale per Lucio Fontana alla realizzazione del movimento d’avanguardia che sarà conosciuto nella storia italiana come Spazialismo.
Nel suo primo Manifesto dello Spazialismo, presentato alla Galleria del Cavallino di Venezia nel 1947, Lucio Fontana fa un elogio all’esplorazione dello spazio oltre la tela, ponendosi come obbiettivo di trovare una rappresentazione nuova del concetto di spazio, iniziando così la sua prima serie di opere, conosciute erroneamente come Buchi. C’è da premettere che tutte le opere di Lucio Fontana in cui applica le sue idee avanguardiste dello spazio, hanno come titolo principale “Concetto Spaziale“, un titolo che, appunto, sfida il concetto di spazio in cui l’artista applica inizialmente l’utilizzo di buchi su tutta la tela. Questi fori, che molto spesso potevano dare l’impressione di osservare un cielo stellato, servivano a portare lo sguardo dello spettatore non solo sulla tela, su ciò che mostrava, ma anche su ciò che si trovava oltre, attraverso il quadro e la sua rappresentazione.
Dopo la serie dei Buchi, Lucio Fontana adottò una forma diversa per la sua espressione artistica, una forma più semplice e minimale, ovvero dei tagli, iniziando l’omonima serie di opere, in cui squarcia la tela con tagli di ogni tipo: orizzontali, verticali, obliqui, con un solo o più tagli, e in molte altre maniere. Non erano però tagli fatti a caso, ogni opera era studiata per bene e i tagli, usando affilatissimi rasoi, erano realizzati con un’impeccabile precisione. Su tele monocrome, come in “Concetto Spaziale, Attesa” del 1965, su una tela rossa, il taglio viene espresso in linea verticale, dal quale la luce passa delineando un chiaroscuro del tutto naturale. Con un semplice taglio, quindi, Lucio Fontana non solo aveva rivoluzionato l’espressione dello spazio sulla tela, ma aveva sovvertito l’applicazione del chiaroscuro senza l’ausilio di tempere o pittura.
Lucio Fontana divenne famoso anche per le sue installazioni ambientali di luci fosforescenti, tra le più famose si ricorda la sua opera ambientale del 1951 per lo scalone d’onore alla Galleria di Milano, usando un tubo al neon piegato, il quale compiva movimenti nello spazio che ricordava i movimenti dei corpi celesti. Molte di queste installazioni di luce utilizzano questi forti fasci fosforescenti e ambienti labirintici, in cui l’artista provoca nello spettatore una sensazione di smarrimento, facendolo perdere nel piccolo spazio delle sue installazioni.
Lucio Fontana, a costo anche di cadere nel ridicolo e di non essere compreso dalla critica, continuò a lavorare alle sue opere fino alla sua scomparsa nel 1968. La moglie, per conservare le sue opere, fondò la Fondazione Lucio Fontana, di cui ancora oggi sono ancora tenute la grande maggioranza delle opere dell’artista.
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