Mizukokuyō: lutto per i feti non nati, un rito giapponese

Lutto per i feti non nati: il rito giapponese del Mizukokuyō

Che si tratti di aborti spontanei o farmacologici, di feti o di bambini molto piccoli, la cultura giapponese impone che per ritrovare la serenità con se stessi vada compiuto il rito del Mizukokuyō. Non solo. Questa pratica, a metà tra esorcismo e un rituale curativo, va compiuta per scongiurare la possibilità che lo spirito del piccolo defunto danneggi eventuali fratelli e/o sorelle.

Il Giappone è un paese lontano da ciò che l’Occidente considera convenzionalmente come “religioso” che, nella maggior parte dei casi, si associa a una visione monoteistica e, tendenzialmente, cristiana. Ciò che invece caratterizza la spiritualità nipponica è una molteplicità di credi e dottrine, che rendono l’identità religiosa giapponese piuttosto ambigua e, di conseguenza, difficilmente ascrivibile a un singolo credo. Tuttavia, se si volessero definire i culti che più risultano avere un impatto sulla popolazione giapponese bisognerebbe fare riferimento a una classe di credenze che appartengono a ciò che viene definito come il culto di stato giapponese per eccellenza, lo Shintoismo, e l’ormai addomesticato culto buddista di matrice indo-cinese. È proprio da queste basi che prende vita la pratica del Mizukokuyō.

Mizukokuyō: il rituale giapponese per i bambini d’acqua

Mizukokuyō: origini e significato del rito

Una peculiarità della spiritualità giapponese è quella di avere una tendenza ibrida, i culti si uniscono e si rinnovano vicendevolmente, fornendo al credente un’estrema libertà spirituale. Altre volte, invece, si riesce facilmente a individuare la maternità di un determinato rito o funzione e questo il caso del rituale del Mizukokuyō (Nutrimento del bambino d’acqua) di matrice esplicitamente buddista, in quanto il ruolo di mediatore tra il mondo terreno e quello extraterreno viene affidato al bodhisattva Jizō Bosatsu, protettore noto per la sua vicinanza a bambini e donne.

Cos’è un Mizuko? Il “bambino d’acqua”

Ma cos’è un Mizuko, letteralmente “bambino d’acqua”? Si tratta, nella maggior parte dei casi, di un feto mai nato (sia che si tratti di un aborto spontaneo che farmacologico) ma, recentemente, si attestano funzioni di Mizukokuyō anche per bambini morti in tenera età. La pratica del Mizukokuyō non è altro che una funzione funebre, un memoriale per i bambini che non sono riusciti a vedere la luce del sole. Dal punto di vista occidentale/cristiano, questo potrebbe essere letto come un semplice funerale. In realtà questa pratica può essere considerata come un’intersezione tra esorcismo e un rituale curativo. Si dice, infatti, che lo spirito del bambino morto possa, in qualche modo, essere violento e vendicativo: ciò viene definito Mizukotatari (Maledizione del bambino d’acqua) e i destinatari principali di questa fattura, se presenti, sono i fratelli e/o sorelle del feto abortito. Loro hanno avuto la possibilità di vivere, quindi devono essere puniti. Si cerca quindi di “alimentare” lo spirito del bambino tramite specifiche preghiere e richiedendo l’intercessione di Jizō Bosatsu.

Come si svolge il rito del Mizukokuyō?

Il rito del Mizukokuyō si svolge generalmente in un tempio buddista, anche se esistono templi shintoisti che offrono il servizio. I genitori del bambino deceduto, o la madre del feto, offrono doni a Jizō, come giocattoli, dolci o vestiti per bambini. Spesso vengono utilizzate delle statuette di pietra raffiguranti Jizō, che vengono adornate con bavaglini e cappellini rossi, e poste all’interno del tempio o in giardini dedicati. I monaci buddisti recitano dei sutra, preghiere per placare lo spirito del Mizuko e accompagnarlo nell’aldilà. La durata e la complessità del rituale possono variare a seconda delle esigenze della famiglia e delle tradizioni del tempio.

Il ruolo di Jizō Bosatsu nel Mizukokuyō

Jizō Bosatsu è una delle figure più amate e venerate del buddismo giapponese. È considerato il protettore dei viaggiatori, delle donne incinte, dei bambini e, in particolare, dei bambini defunti. Si ritiene che Jizō guidi le anime dei Mizuko nell’aldilà, offrendo loro conforto e protezione. La sua iconografia lo raffigura spesso con un aspetto giovanile, vestito da monaco e con un bastone pastorale (shakujō) in una mano e un gioiello che esaudisce i desideri (hōju) nell’altra.

Mizukokuyō e la società giapponese: tra senso di colpa e perdono

Più interessante è, invece, la questione legata alla cura, soprattutto psicologica. Da parte dei familiari, c’è la necessità di chiedere perdono allo spirito del bambino, in particolare quando si tratta di aborti farmacologici. Il genitore sente la colpa della sua azione e la necessità di alimentare lo spirito del proprio figlio tramite tale funzione: si sente in debito, in colpa per non aver dato una chance al proprio bambino.

Aborto in Giappone: un breve contesto storico

Sebbene l’aborto sia stato legalizzato in Giappone nel 1948 con la legge eugenetica di protezione, la sua pratica è stata a lungo oggetto di tabù e stigma sociale. La legalizzazione, in realtà, aveva come scopo principale il controllo delle nascite in un periodo di difficoltà economica post-bellica. Solo nel 1996 la legge cambia nome in “Legge per la protezione del corpo materno”, a testimonianza di un cambio di prospettiva. Tuttavia, ancora oggi, la decisione di interrompere una gravidanza è spesso accompagnata da un senso di colpa e dalla necessità di elaborare il lutto attraverso pratiche come il Mizukokuyō.

La diffusione del Mizukokuyō e l’emergenza demografica

Le origini di questa pratica, al contrario di come si può pensare per le pratiche religiose, non sono così lontane nel tempo. Dopo una timida presenza in periodo moderno, troviamo le prime testimonianze documentate durante gli anni ’50 del 900 e questo è indicativo. La pratica inizia a diffondersi capillarmente negli anni ’70, in concomitanza con l’aumento degli aborti legali e la crescente consapevolezza del problema dell’invecchiamento della popolazione. Il Giappone contemporaneo è un Giappone sempre più anziano, l’indice di natalità cala in modo drammatico. E allora il Mizukokuyō non è solo una pratica rivolta al bambino, ma è una richiesta disperata di perdono al proprio Paese in cui, purtroppo, si inizia a registrare una vera e propria emergenza demografica.

Il ruolo dei monaci buddisti nel rito

I monaci buddisti svolgono un ruolo fondamentale nel Mizukokuyō, in quanto sono loro che officiano il rito e guidano i genitori nel percorso di elaborazione del lutto. Offrono supporto spirituale e aiutano le famiglie a trovare conforto nella preghiera e nella meditazione. La loro presenza è essenziale per garantire che il rito sia eseguito correttamente e che lo spirito del Mizuko possa trovare la pace.

Mizukokuyō: differenze regionali e varianti

Come per molte pratiche religiose e culturali, anche il Mizukokuyō può presentare delle differenze regionali e delle varianti. Ad esempio, in alcune zone del Giappone, è usanza piantare un albero in memoria del bambino defunto, mentre in altre si preferisce lasciare delle offerte presso altari domestici dedicati a Jizō. La sostanza del rito, rimane la medesima.

Conclusione: comprendere il Mizukokuyō nella cultura giapponese

Il Mizukokuyō è un rituale complesso e ricco di significati, che affonda le sue radici nella spiritualità buddista e nella cultura giapponese. Offre un sostegno alle famiglie che hanno subito la perdita di un bambino, soprattutto se non ancora nato, e permette di elaborare il lutto e di trovare un nuovo equilibrio interiore. Comprendere il Mizukokuyō significa avvicinarsi a una visione del mondo e della spiritualità profondamente diversa da quella occidentale, in cui la vita e la morte sono visti come parte di un ciclo continuo e in cui il ricordo e la cura dei defunti, anche dei più piccoli, assumono un’importanza fondamentale.

Fonte foto: Wikipedia

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A proposito di Cinzia Esposito

Classe ’96 e studentessa magistrale in Corporate communication e media all’Università di Salerno. Vengo da una di quelle periferie di Napoli dove si pensa che anche le giornate di sole vadano meritate, perché nessuno ti regala niente. Per passione scrivo della realtà che mi circonda sperando che da grande (no, non lo sono ancora) possa diventare il mio lavoro.

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