Cosa c’entra il nichilismo con il Buddhismo? Il dualismo Oriente-Occidente costituisce un nodo nevralgico di contrapposizione sin dalla nascita della cultura occidentale: si pensi alla tragedia eschiliana de “I Persiani” (V secolo a.C.), nella quale si pone il confronto tra un Oriente barbarico, corrotto e, ovviamente, persiano, e un Occidente, rappresentato dai Greci, razionale, democratico, presidio di legge e moralità.
Quali studiosi si sono occupati di nichilismo e Buddhismo?
Fino all’inizio del secolo scorso, il Buddhismo era recepito come una dottrina nichilista, in un Occidente che cercava di mettere insieme i vari spunti provenienti dall’Oriente. Tale pensiero si fonda su una visione traslata, quindi distorta, della nozione di Nirvana, sostenuta da qualunque pensatore abbia scritto del Buddhismo tra la fine dell’Ottocento e inizio Novecento. Proprio in quegli anni, o poco prima, si era affermata la riflessione sul nichilismo. Fornendo degli esempi derivati dal contesto accademico francese, è nota la posizione del filosofo e storico Victor Cousin che, alla fine del XIX secolo, parlerà del Buddhismo come “cult of nothingness” (culto del nulla). Seguiranno altre personalità come Paul Claudel, poeta e drammaturgo, il quale, nell’opera “Knowing the East”, sosterrà che la religione indiana, nel momento in cui incontra il Nulla, promuove una “comunione mostruosa”, segnalandone un’accezione fondamentalmente negativa. L’impressione predominante del Buddhismo oggi è di una dottrina compassionevole, terapeutica, tollerante, ma è evidente che fu preceduta da un’altra diametralmente opposta: Buddhismo come fondamentale abbandono alla via del nulla.
Il concetto di Nirvana gioca un ruolo fondamentale nell’assimilazione con il nichilismo. “Nirvana” è la parola sanscrita che indica l’ultimo stadio raggiunto dal Buddha, in contrasto col Samsara, altro concetto fondamentale, e che sta a rappresentare un ciclo continuo di rinascita e morte, in cui sono intrappolati tutti gli esseri viventi. Un’ulteriore rettifica va fatta anche per quanto riguarda le diverse declinazioni che, nell’universo orientale, tale religione ha assunto. Nella tradizione Hinayana, chiamata anche del “Piccolo Veicolo” – la quale conserva i tratti più conservatori della dottrina buddhista – esso è associato all’estinzione di tutti i desideri. Nella tradizione Mahayana, o anche del “Grande Veicolo” – che si prefigge di adattare gli insegnamenti del Buddha storico alla realtà corrente – è definito, invece, secondo quattro termini: impermanenza, beatitudine, soggettività e purezza. In quest’ultimo caso, lo scopo ultimo dell’esistenza è reinterpretato verso il più alto fine dell’”Illuminazione” o anche “Risveglio“. Diventa, dunque, una forma di beatitudine suprema all’interno di un mondo ripulito da tutti i suoi aspetti negativi e da false interpretazioni causate dalle percezioni. Uno dei pilastri su cui si fonda il Buddhismo, di fatto, è la critica del “desiderio” in ogni sua forma. Il desiderio è fonte di sofferenza: produce un senso illusorio di attaccamento alle cose che funge da impedimento per comprendere la natura effimera di tutti i fenomeni. Il processo di liberazione, quale stato di coscienza, non fisico, deriva dalla consapevolezza che nulla è permanente; all’opposto, in ogni cosa è impresso un carattere fondamentale di transitorietà.
Tutto ciò, per uno studioso kantiano, risuona simile al rifiuto del mondo fenomenico costituito da “pura apparenza“. Schopenhauer, nell’interpretazione che dà di nichilismo, ribadisce che per allontanarsi dal dolore causato dalla volontà, l’unica via d’uscita è il Nulla.
Come si sviluppa la concezione nichilista?
Se il Nirvana implica una liberazione come salvezza, la domanda sorge spontanea: a che tipo di liberazione si fa riferimento? Il rifiuto buddhista dell’anima e di un dio – concetti su cui si fonda il Cristianesimo, ad esempio – comporta che l’obiettivo ultimo a cui anelare sia associabile alla totale distruzione dell’essere. Il Buddhismo è quindi nichilismo, nient’altro che una forma di pessimismo. Personalità che ha fortemente contribuito a tale concezione è il filosofo tedesco Georg F.W. Hegel. Tuttavia, nonostante egli afferma che sono proprio i buddhisti a rendere il Nirvana come Nulla, ciò è per loro il “principio del Tutto”. Il Nulla buddhista non è l’opposto dell’essere ma, se vogliamo utilizzare una terminologia antecedente, è l’ápeiron anassimandreo, l’assoluto indeterminato che distrugge ogni forma di individualità. Il vuoto che ne risulta non è Nulla, ma un’altra forma di pienezza. Rimanendo nel contesto filosofico tedesco, anche Schopenhauer si pronuncia ampiamente a riguardo. Il Nirvana non è “il nulla in se stesso“, ma è solo ciò che a noi pare, per via della nostra incapacità di ascriverlo linguisticamente – pensiero che si avvicina molto all’idea hegeliana.
La critica successiva ha attribuito l’associazione pedissequa tra nichilismo e Buddhismo a più ordini da ragioni: è legittimo immaginare sia dovuta, in parte, all’incapacità dell’Occidente di comprendere qualcosa di così distante, cosa che, nell’impeto entusiastico del cosiddetto “Rinascimento Orientale”, si cercava in tutti i modi di fare. Non di meno, denuncia il tentativo di proiettare sul Buddhismo le proprie “paure”, le paure dovute alla “morte di Dio“ nietzschiana, alla perdita di un punto fermo metafisico, specchio di tutta la filosofia post-kantiana.
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