Chiamati anche jinmenju, i ninmenju furono alberi mitologici dall’aspetto inquietante: i loro frutti sorridenti ricordavano volti umani.
Secondo l’enciclopedia cinese del periodo Edo Raccolta di immagini del cielo, della terra e dell’uomo dalla Cina e dal Giappone (in giapponese: Hyakka Jiten Wakan Sansai Zue), gli alberi ninmenju – conosciuti anche come jinmenju – si trovavano nel sud delle valli montane e il frutto dell’albero veniva chiamato jinmenshi, ovvero “bambino dal volto umano” per via dell’inquietante somiglianza.
Cosa caratterizzava questi strani esseri soprannaturali?
La leggenda vuole che sia i frutti che i semi di ninmenju avessero il raccapricciante aspetto di giovani volti umani, completi di occhi, orecchie, naso e bocca.
Secondo il mito, quando a questi frutti venivano poste delle domande dagli esseri umani incuriositi dal loro aspetto, non essendo in grado di comprendere il linguaggio umano, queste creature invece di rispondere scoppiavano a ridere incessantemente finendo per appassire, spegnersi e infine staccarsi dall’albero. La loro maturazione era comunque prevista in autunno e gli uomini che se ne cibavano, descrivevano il loro sapore come agrodolce.
In passato, si dice che le persone piantassero grandi frutteti di ninmenju ridenti, offrendo ai passanti uno spettacolo affascinante. Ma è possibile che i frutti di questi alberi siano stati mangiati tutti e i semi persi, ed è per questa ragione che questi alberi dai frutti umani smisero di crescere e propagarsi mettendo fine alla loro esistenza.
Origini della leggenda
Nonostante i termini ninmenju e jinmenju siano giapponesi, la leggenda ha in realtà origini cinesi. Quando la storia mitologica fu tramandata in Giappone, questa tipo di albero mostruoso veniva considerato uno yokai per il suo aspetto peculiare. In particolare, venne catalogato nella specifica tipologia di creature folkloristiche chiamata choshizen o “super-natura“: una categoria di mostri giapponesi che include piante e animali misteriosi.
Inoltre, Toriyama Sekien incluse lo jinmenju nella sua raccolta Supplemento ai cento demoni del presente e del passato (in giapponese: Konjyaku Hyakki Shui) risalente al periodo Edo. Oltre agli yokai giapponesi, l’opera di Sekien includeva anche piante, animali e yokai provenienti da fuori il Giappone. Ad esempio, l’opera cita il Wakan Sansai Zue, che a sua volta fa riferimento all’enciclopedia cinese Sancai Tuhui, che descrive un albero simile, originario di una terra chiamata Paese dei grandi mangiatori (in giapponese: Daishikoku). Così come anche Una raccolta di strani racconti di Aizu (in giapponese: Rō Sawa) cita il Sancai Tuhui per fare riferimento all’ambero ninmenju.
Curiosità:
Daishi (da daishikoku, Paese dei grandi mangiatori) è la pronuncia giapponese del nome cinese Ming per il mondo islamico, che derivava dalla parola persiana *tāzī*, termine usato per indicare i musulmani, a sua volta derivato dai Tayy, una tribù araba che prosperò sotto il califfato abbaside.
Somiglianze con altri alberi del folklore islamico
Esistono altre storie simili di alberi che producono frutti con volti umani provenienti dall’India e dalla Persia, solitamente raffigurati con i volti di belle ragazze. L’Albero Waq Waq del folklore islamico è un esempio di albero molto simile al ninmenju. Quest’albero veniva descritto come una pianta che produceva frutti a forma di esseri umani e animali. Ma a differenza dei ninmenju, i frutti potevano parlare, anche se pochi giorni dopo essere stati raccolti sarebbero morti. Secondo la leggenda, questi alberi crescevano sulla mitica isola di Waq Waq, nella terra di Zanj, un’area in Africa vicino all’attuale Zanzibar.
Si ritine comunque possibile che l’albero Waq Waq sia lo stesso albero di Daishikoku descritto nel Sancai Tuhui. Infatti, attraverso il commercio con la Cina Ming lungo la Via della Seta è plausibile che questo mito arabo abbia influenzato quello che oggi conosciamo come: ninmenju, l’albero dei frutti umani del folklore sino-giapponese.
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