L’omosessualità nell’antica Grecia: tra accettazione e regole da conoscere
Le relazioni omosessuali rappresentano, da sempre, uno dei temi più discussi nell’ambito sociale e politico, come dimostrato dalla loro centralità nelle cronache recenti. Un argomento sempre presente sul web, dove molti utenti, per contrastare le opinioni di chi giudica i rapporti tra persone dello stesso sesso come “contro natura”, ricordano come nella Grecia antica l’omosessualità fosse generalmente accettata. Questa tesi, pur avendo un fondo di verità, va privata del filtro idealistico con cui viene spesso presentata: l’omosessualità nell’antica Grecia non era un tabù, ma era regolamentata da precise norme e tollerata solo in determinate circostanze. Già da queste prime righe si delinea un quadro complesso, in cui convivono accettazione e limitazioni, tolleranza e regole. Le relazioni tra persone dello stesso sesso non erano demonizzate, ma nemmeno liberamente praticate senza alcun vincolo. Esse si collocavano in uno spazio intermedio, all’interno di un sistema di convenzioni sociali che definivano quando, come e tra chi potessero avvenire.
Per comprendere appieno la posizione dell’omosessualità nella società greca, è necessario considerare diversi fattori, tra cui il contesto storico, le differenze tra le varie città-stato e le testimonianze letterarie e artistiche che ci sono pervenute. Solo attraverso un’analisi dettagliata di questi aspetti è possibile ricostruire un’immagine veritiera di un fenomeno tanto sfaccettato e complesso. La storia dell’omosessualità nell’antica Grecia è una storia di contrasti e sfumature, che ci insegna come la sessualità sia da sempre un terreno di incontro e scontro tra individuo e società, tra desiderio e norma, tra natura e cultura. Un tema ancora oggi estremamente attuale, che ci invita a riflettere su come le nostre concezioni in materia di sessualità e genere siano il frutto di un lungo processo storico e di un complesso intreccio di fattori sociali, culturali e politici.
Le origini dell’omosessualità nell’antica Grecia: la pederastia come pratica educativa
La sessualità aveva un ruolo di rilievo nella società ellenica, inserita in rituali volti a formare il cittadino greco. Eva Cantarella, una delle massime studiose di questo tema, sostiene che, in età arcaica, quando la società era suddivisa per fasce d’età, l’omosessualità si diffuse attraverso il rito della pederastia. Quest’ultima si basava sul rapporto tra l’erastès, un uomo adulto, e l’eròmenos, un giovane in età adolescenziale. In questo tipo di relazione, il primo aveva un ruolo attivo, il secondo un ruolo “passivo”: l’erastès aveva il compito di educare e preparare l’eròmenos alla vita pubblica, al matrimonio, e in questo contesto poteva esserci un rapporto fisico.
Nel Fedro, Platone scrive che all’atto sessuale si può contrapporre una passione fondata sull’esaltazione della bellezza e delle virtù dell’eròmenos. È il cosiddetto “amore platonico”, un sentimento che esclude la sfera sessuale per concentrarsi su quella spirituale. Il simposio, oltre a dare il titolo a un altro celebre dialogo di Platone, era l’occasione principale in cui si sviluppavano questi rapporti, come testimoniano decorazioni di anfore e vasi. In questi banchetti, riservati a uomini di importanti famiglie o gruppi (eteria), si discuteva di politica e si declamavano poesie; qui l’erastès corteggiava l’eròmenos che, dopo un’iniziale indifferenza, finiva per concedersi.
In questo contesto, l’omosessualità in Grecia era permessa. Non erano invece ammessi i rapporti tra uomini adulti, considerati inaccettabili. Nelle commedie di Aristofane, ad esempio, ci sono personaggi omosessuali derisi, in quanto il loro comportamento era ritenuto vergognoso.
L’omosessualità nell’esercito: il Battaglione Sacro e l’esempio di Achille e Patroclo
Altri esempi di pederastia si trovano nei poemi omerici. Il rapporto tra Achille e Patroclo nell’Iliade è considerato da molti studiosi come pederastico: Omero, pur non chiarendo se i due fossero amanti, descrive Patroclo come un uomo più adulto rispetto all’eroe acheo. I poemi antichi sono rilevanti per capire come l’omosessualità nell’antica Grecia fosse diffusa in un ambiente “virile” come quello militare. Non era insolito che si creassero rapporti amorosi tra soldati, anche se è bene ricordare che questi ultimi portavano spesso le proprie schiave negli accampamenti (sempre nell’Iliade, Achille si rifiuta di combattere perché gli viene sottratta la sua schiava Briseide). Più che di omosessualità sarebbe opportuno parlare, per l’esercito greco, di bisessualità.
I rapporti omosessuali erano accettati nell’esercito e, anzi, spingevano i soldati a combattere per proteggere i propri amanti, come dimostra la storia del Battaglione Sacro, un reparto di soldati tebani composto da centocinquanta coppie di amanti omosessuali. Plutarco ne parla nella Vita di Pelopida, sostenendo che nacque per iniziativa del comandante Gorgida. Facendo leva sul sentimento che legava le coppie di soldati, creò una forza armata che difese Tebe per 33 anni fino alla sconfitta, dopo un’eroica resistenza, nella battaglia di Cheronea del 338 a.C. ad opera di Filippo II di Macedonia e del figlio Alessandro Magno.
L’omosessualità femminile: Saffo, il tiaso e l’amore tra donne
Un discorso differente va fatto per l’omosessualità femminile. Nell’ultimo capitolo di Secondo natura. La bisessualità nel mondo greco, Eva Cantarella evidenzia come i rapporti amorosi tra due donne, a differenza di quelli maschili, fossero visti come «segno di inqualificabile sregolatezza». Tutti sanno del ruolo marginale della donna nella società greca, esclusa dalla vita pubblica e relegata alla cura della famiglia. Ma è altrettanto noto che una delle espressioni più evidenti dell’omosessualità femminile è la poetessa Saffo, originaria di Lesbo, sacerdotessa di un tiaso dedicato ad Afrodite. Le famiglie facoltose mandavano qui le figlie, inserite in una pederastia al femminile. Qui ricevevano un’educazione in vista del matrimonio con l’insegnamento del canto, della danza, dei lavori femminili e, soprattutto, venivano iniziate all’amore.
Nel suo tiaso, Saffo ebbe più di una relazione con le allieve. Lo dimostra la sua produzione poetica e, in particolare, due componimenti. Il primo è l’Inno ad Afrodite, dove la poetessa si rivolge alla dea dell’amore angosciata per un amore non corrisposto. Il secondo è la famosa Ode della gelosia (Frammento 31 V). Qui Saffo osserva una sua allieva in atteggiamenti romantici con un uomo e si ingelosisce fino a soffrire fisicamente:
ma la lingua mi si spezza e subito
un fuoco sottile mi corre sotto la pelle
e con gli occhi nulla vedo e rombano
le orecchie
e su me sudore si spande e un tremito
mi afferra tutta e sono più verde dell’erba
e poco lontana da morte
sembro a me stessa.
Questa ode, prova dell’esistenza dell’amore lesbico (termine oggi usato con significato dispregiativo) di pari dignità a quello socialmente accettato tra due uomini, ispirò a Roma il poeta Catullo per la composizione del carme 51: un testo che, pur riprendendo il modello originale, si differenzia per il suo destinatario: non più un’adolescente, ma una donna adulta a cui il poeta, in un omaggio a Saffo, dà il soprannome di Lesbia.
Immagine di copertina: University of Liverpool