Ancora oggi una parte dei cittadini di Estonia e Lettonia si trova senza cittadinanza. Il problema legato alle diverse etnie presenti nelle Repubbliche Baltiche si è rivelato quanto mai spinoso all’alba dell’indipendenza di Estonia, Lettonia e Lituania. Nel 1991 i nuovi Stati decisero la sorte di una grossa fetta di cittadini russofoni, o meglio, di non-cittadini, che adesso si ritrovano ad avere i passaporti grigi.
Popolazioni nel Baltico
Nella regione baltica hanno sempre vissuto diverse popolazioni. Questa piccola regione, che comprende le attuali Estonia, Lettonia e Lituania, nel corso della storia recente è stata occupata e governata da tedeschi, russi e polacchi. Nel secolo scorso, precisamente nel 1940, i tre Stati furono annessi all’Unione Sovietica in seguito al patto Molotov-Ribbentrop, secondo cui Hitler e Stalin si erano spartiti territori strategici in linea con le loro mire espansive. Dal 1944 al 1991 Estonia, Lettonia e Lituania furono stabilmente sottomesse a Mosca.
La loro indole ribelle però creò non pochi grattacapi ai dirigenti comunisti, che nel tentativo di tenere sotto controllo i paesi baltici avviarono un doloroso processo di russificazione della regione. Molti russi furono quindi mandati nelle regioni baltiche e iniziarono a convivere con le etnie locali. In Lettonia, ad esempio, dal 1935 al 1989 la popolazione russa triplicò, passando dal 10% del totale fino a comporre il 34%, anno dell’ultimo censimento sovietico.
I passaporti grigi nelle neonate repubbliche
Con l’indipendenza del 1991 i governi estone e lettone decisero di dare automaticamente la cittadinanza a chi dimostrava di avere avuto antenati che vivevano nel paese nel periodo precedente alla Seconda guerra mondiale, prima del processo di russificazione. Solo la Lituania decise di concedere la cittadinanza anche ai Russi, che allora costituivano il 9% della popolazione.
In questi momenti così fragili, di grande cambiamento, i governi lettone ed estone pensarono addirittura a un rimpatrio di massa della popolazione russofona in Russia, anche se per una grande fetta di loro non si trattava più del loro paese d’origine. Molti erano infatti nati e vissuti in Lettonia o in Estonia e si sentivano a ragione parte di questi territori.
Questi territori fondarono le nuove nazioni adottando il principio di purezza etnica, una sorta di ius sanguinis, per cui la popolazione veniva automaticamente divisa in abitanti di serie A e abitanti di serie B. Per riconoscere i facenti parte del secondo gruppo vennero creati i passaporti del non-cittadino (oggi anche conosciuti come passaporti grigi), riconoscibili per via del loro colore grigio. Più di 1 milione e 300 mila persone tra Lettonia ed Estonia furono privati di alcuni diritti fondamentali, come quello di voto.
I criteri per ottenere la cittadinanza furono stabiliti nel 1992. La padronanza della lingua nazionale era forse il criterio più difficile da adempiere per persone che, durante la propria esistenza avevano solamente usato il russo in contesti familiari e lavorativi. In più i test contenevano domande molto difficili e specifiche, tanto che il presidente dell’Alto Commissariato Europeo di allora li dichiarò discriminanti.
Nel corso del tempo i criteri per ottenere la cittadinanza furono meno selettivi. I figli di apolidi nati nei territori della Lettonia e dell’Estonia adesso ricevono la cittadinanza e dal 2007, da quando i due Paesi baltici entrati a far parte dell’area Schengen, anche i possessori dei passaporti grigi possono viaggiare liberamente in Europa.
La situazione comunque non è del tutto risolta. Nel 2019 c’erano ancora oltra 76mila passaporti grigi in Estonia e 209mila in Lettonia. Inoltre, molte sono le ragioni che ancora alimentano l’astio tra russofoni e popolazioni baltiche, soprattutto legate a decisioni di politiche nazionaliste.
Fonte immagine in evidenza: archivio personale