Il senso del pellegrinaggio con le sue incognite sta nel lasciare sicurezza e stabilità, per affrontare una novità carica di imprevedibile.
«Peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori della sua patria». All’interno della Vita nova, Dante Alighieri specifica alcuni dettagli sullo status del pellegrino, fornendo innanzitutto una chiarificazione di base: “pellegrino” per l’uomo del Medioevo è chiunque si trovi fuori della sua terra natale, lontano dalla propria casa e da tutte le sue sicurezze. Ma come nasce storicamente la pratica del pellegrinaggio?
Genesi e finalità del pellegrinaggio
Quello che va solitamente sotto il nome di “pellegrinaggio” è un fenomeno comune a tutte le grandi religioni – non solo a quelle monoteiste storiche, ma anche a buddismo, induismo, scintoismo e confucianesimo – che abbiano elaborato il concetto di “luogo sacro”, originato e coltivato a vari livelli. Il pellegrinaggio non ha finalità turistiche, ma culturali, di devozione o penitenza: l’uomo del Medioevo è homo viator, ossia uomo viaggiatore, che trova appagamento nel mettere in gioco la propria sicurezza e porsi al servizio di Dio, nel rinnovarsi profondamente, nel rifugiarsi in uno stile di vita desueto in cui meditare e riscoprire se stesso. Spesso, il peregrinus parte per adempiere un voto, per espiare un crimine commesso, per ottenere indulgenze, per guarire.
Storicamente, la pratica del pellegrinaggio si lega fin dai primi secoli dell’era cristiana alla venerazione per i luoghi santificati dalla predicazione e dalla passione di Cristo e a quella per le sepolture degli apostoli e dei martiri, come i santuari del culto micaelico e soprattutto la tomba dell’apostolo Giacomo a Santiago de Compostela, in Galizia, poi simbolo della Reconquista cristiana antiaraba. L’emergere di simili forme devozionali, che privilegiano esigenze elementari, favorisce lo sviluppo del culto dei santi alle cui reliquie sono attribuite virtù taumaturgiche. Fin dal II secolo i luoghi più frequentati dai flussi di pellegrini provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo sono le catacombe e le basiliche martiriali romane, ma soprattutto le memorie neotestamentarie di Gerusalemme.
Il momento di maggiore intensità del pellegrinaggio verso la Terrasanta coincide con la fase storica più drammatica, ovvero la distruzione del Santo Sepolcro nel 1009 da parte del califfo del Cairo al-Ḥākim, che costituisce la premessa alla prima crociata, vasto pellegrinaggio armato della cristianità occidentale che tenta di riconquistare Gerusalemme nel 1096: coloro che partivano, infatti, definivano se stessi “pellegrini”, non “crociati”.
La via Francigena e la Peregrinatio Aetheriae
Una flessione del pellegrinaggio ierosolimitano si ha solo dopo il 1244, anno della definitiva perdita della città e con la successiva istituzione del Giubileo da parte di papa Bonifacio VIII nel 1300, sicché il pellegrinaggio verso Roma diventa il più importante del cristianesimo occidentale; tale è l’entità del fenomeno che la città si riempie già nel VII-VIII secolo di una moltitudine di strutture ospedaliere e ricettive. Quanto alle vie di comunicazione tra Roma e il Nord Europa, nel quadro di generale decadenza del sistema viario consolare, in età longobarda si viene a selezionare una direttrice appenninica interna, prodotta da un fascio di sentieri paralleli innervati lungo le valli fluviali, che dal IX secolo è indicata dalle fonti con i nomi di Via Francesca o Francigena, per l’origine etnica di chi la transitava o per il fatto che, percorsa al contrario, conducesse in Francia.
I pellegrinaggi cristiani hanno prodotto, inoltre, una mole impressionante di resoconti scritti ad uso dei futuri pellegrini, che si datano dalla seconda metà del IV secolo fino alla fine del XV secolo: in questi Itineraria i viaggiatori annotavano informazioni su percorsi migliori, tappe, distanze miliari, possibilità di alloggio e luoghi meritevoli di attenzione, fornendo altresì interessanti appunti personali legati alle popolazioni locali, alla fauna esotica e agli edifici notevoli incontrati, come le singolari descrizioni dell’elefante, della giraffa e delle piramidi. Notevole è l’Itinerarium Aegeriae o Peregrinatio Aetheriae ad loca sancta, un testo latino di fine IV-inizio V secolo, preziosa testimonianza linguistica dell’evoluzione del latino tardo verso gli esiti romanzi, nel quale una pellegrina spagnola di nome incerto – che con coraggio e spirito di osservazione testimonia la rivoluzione culturale e sociale che il cristianesimo stava attuando alla fine del mondo antico – descrive il suo pellegrinaggio svoltosi tra il 381 e il 384 nel Sinai, in Egitto, in Palestina e in Mesopotamia.
Pertanto, il fenomeno del pellegrinaggio nel medioevo è legato al desiderio dei fedeli di sperimentare una fede in cammino attraverso una presenza diretta, un contatto fisico o visivo col Sacro: il raggiungimento della meta da parte del peregrinus vuole, appunto, esemplificare il carattere verticistico dell’incontro tra umano e divino. La fede, infatti, ha bisogno di luoghi, ma non necessariamente di andarvi. L’unica meta della storia sta oltre la storia: ogni pellegrinaggio altro non è che l’avventura stessa della vita.
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