Poesie di Cesare Pavese: le 6 da leggere assolutamente

poesie di cesare pavese: 6 da leggere

Cesare Pavese, nato a Santo Stefano Belbo nel 1908 e morto suicida a Torino nel 1950, è considerato uno dei più grandi intellettuali italiani del XX secolo. Scrittore, traduttore, editore, critico letterario, ma soprattutto un poeta dotato di grande sensibilità, ha saputo esprimere su carta i pensieri più profondi dell’animo umano, le angosce esistenziali e il dramma di un’intera generazione. Nelle poesie di Cesare Pavese si percepisce tutto il suo sentire, il suo essere sempre estraneo al mondo e agli altri, quasi come un alieno in terra straniera; una percezione che lo porta ad un dramma esistenziale che lo condurrà al suicidio.

Cesare Pavese: il poeta del dolore e della speranza

La poetica di Pavese è intrisa di un profondo senso di solitudine, di inappartenenza e di ricerca di un senso nell’esistenza. Temi come l’amore, la morte, il tempo, la natura e il dolore sono ricorrenti nelle sue opere, e vengono trattati con uno stile asciutto, essenziale, ma allo stesso tempo ricco di immagini evocative e di suggestioni. In questo articolo, vogliamo proporvi una selezione di sei poesie di Cesare Pavese che riteniamo particolarmente significative e che vi consigliamo di leggere per avvicinarvi all’opera di questo grande autore.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1950): la delusione amorosa e la morte

Tra le prime poesie di Cesare Pavese da leggere assolutamente vi è Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, una poesia pubblicata nella raccolta omonima e pubblicata postuma nel 1951 dopo il suicidio del poeta. È una poesia dedicata alla delusione amorosa ricevuta dall’attrice americana Constance Dowling. È una breve riflessione del poeta sulla fine di un amore, senza futuro, senza speranza che vede la morte – figurata – negli occhi della stessa amata.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Tu non sai le colline (1947): la guerra e la pietà nelle poesie di Cesare Pavese

Tra le poesie di Cesare Pavese più apprezzate c’è Tu non sai le colline, una poesia contenuta nella raccolta La terra e la morte del 1947, dedicata alla scrittrice e poetessa italiana Bianca Garufi. Con questa poesia l’autore racconta l’inutilità delle guerre attraverso le immagini di un «cencio di sangue» e di un «cielo vuoto» con le quali esprime la pietà e la sofferenza.

Tu non sai le colline
dove si perde il sangue
dei morti, e le famiglie
sono rimaste sole.
Una pietà più grande
della tua, dei tuoi cari,
ha sommerso la terra
che non trema più, e l’erba
cresce sul ciglio, anonima,
del sangue di chi è morto
per nulla, per non essere
che libero e diverso.

Tu non sai che lontano
dalla tua casa, dove
nascono i tuoi bambini,
c’è il fumo di altri giochi
che insanguinano l’erba
e la terra non trema.
Una pietà più grande
della tua, delle tue case,
ha sommerso la terra
dove giocano i tuoi figli.
Tu non sai che mai libero
nasce l’uomo, e non basta
rompere una catena
ma occorre anche spezzare
quel cencio di sangue
che ci fa tutti fratelli.

Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Ogni famiglia ha un ceppo
che non vuole più guerra.
Ogni collina ha un sentiero
di sangue, che non porta
a nessuna famiglia.
Una pietà più grande
della tua, del tuo ceppo,
ha sommerso la terra
che non trema più, e l’erba
nasconde il sentiero.
Nessuno è solo, se passa
e ripassa quel sangue
sotto il cielo vuoto.
Nessuno è solo, ma occorre
essere in due, uomo e donna,
per ritrovare il figlio
che non sa quelle colline.

Ascolteremo nella calma stanca (1935 – 1950): un’ode alla fugacità del tempo

La peculiarità delle poesie di Cesare Pavese è dare tormento alla propria anima e Ascolteremo nella calma stanca è un esempio. Un’anima attaccata alla vita e alla sua fugacità. Questo lavoro poetico è un’ode al tempo che va via, che lascia l’animo umano in balia della continua ricerca di qualcosa, una speranza e un motivo per cui vivere.

Ascolteremo nella calma stanca
del mattino, le voci della strada,
giunte attutite tra il vano ronzio.
Tu starai nella luce, composta
come le cose che vanno e non sanno.
E la vita sarà come un’eco
di voci di strada, un mattino.

Ascolteremo le voci, perdute
nella penombra, salire dal fondo
della tua vita, come un’eco
di voci di strada, nell’ombra del giorno
che va. Sarà dolce tacere.
Saremo presenti alla vita
che va e non sa, nella calma
del mattino, tra il vano ronzio.

Le voci saranno un’eco.
Sarà dolce levarci, come al tempo
che non sapevamo, né tu né io,
nulla di noi. Verrà un giorno
che non sapremo più nulla neppure
di noi, ascoltando le voci
perdute, nella penombra del giorno
che va, come un’eco di strada.

I gatti lo sapranno (1950): la malinconia della pioggia

Una delle ultime poesie che Cesare Pavese ha voluto lasciarci prima di spegnersi per sempre. Qui la malinconia vige sovrana, una malinconia dolce e ritmica come l’elemento principale della poesia stessa: la pioggia. Ed è, infatti, proprio come pioggia che l’assenza della persona amata scivola via.

Avrà il tuo corpo il logorio
breve del giorno che non s’inizia
e non s’accende, ma dura immoto.
Avrà la tua carne gli occhi chiusi
delle case al mattino, che ignorano
d’essere ancora al buio. Il fruscio
fioco che udrà, sarà la pioggia
tenera sui tetti. I gatti
lo sapranno. Sarà un giorno come
questo stillare di pioggia
sui visi assorti, un giorno come
questo silenzio. O viso chiuso,
labbra serrate, che un tempo vivevi,
sarà un giorno la vita passata,
un giorno come quest’acqua che fugge
sotto gli sguardi assorti. I gatti
lo sapranno, viso di pioggia.

Lo spiraglio dell’alba (In the morning you always come back) (1950): l’essenza dell’amore

La poesia Lo spiraglio dell’alba, anche chiamata In the morning you always come back, è contenuta nella raccolta Verrà la morte e avrà i tuoi occhi in cui sono messe insieme tutte le poesie dedicate all’ultimo amore della sua vita tormentata. «Sei la vita, sei il risveglio», un verso che quasi vuole ricordare l’essenza dell’amore verso l’altro, il vedere la vita sotto un’altra prospettiva, svegliarsi da un lungo sonno tormentato e tornare a respirare, apprezzare qualsiasi gesto e innamorarsi di qualsiasi dettaglio che la vita può offrire.

Chiara e remota, giungi come un’alba
intorno a un fuoco spento. Un mare fioco
t’entra negli occhi, dove si spegne
un fuoco di brace. Il tuo passo
giunge come il risveglio. La notte
è finita laggiù dove trascorre
sopra il tuo corpo e lo sguardo vi perde.
Sei la vita, il risveglio.

Stella sperduta nella luce dell’alba,
cigolìo della brezza, tepore, respiro
è finita la notte.

Sei come il giorno che s’apre.
Sotto il lume che smuore
il tuo volto trascorre
un’ombra di brace.
Dove tu passi, si desta
la vita e le cose
sembrano incerte
come al lume dell’alba.
Chi ti vede, riprende
fiato e coraggio.

Sei la vita, il risveglio.
Come un’acqua remota
giungi alle cose
e le vesti di un’alba
senza colore.
Basta un tuo sguardo.
E le cose, risorte,
hanno il colore del mare
che fioco t’entra negli occhi,
dove si spegne ogni fuoco.
Sei la vita, il risveglio.

Anche la notte ti somiglia: l’attesa di un’alba nuova

Forse una delle poesie di Cesare Pavese più delicate e piena di speranza di una vita nuova. Infatti, con questo lavoro Cesare Pavese, molto velatamente, descrive l’attesa febbricitante di un’alba nuova, che purtroppo non ha mai avuto; un’attesa nella speranza che tutto finisca per vivere una nuova vita: «Povero cuore che sussulti / un giorno lontano eri l’alba».

Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange
muta, dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una spalla,
c’è un’ombra di pena che regge
alla pena del giorno. Ogni volta
l’ombra sussulta e una nuova
dolcezza di pianto, la scuote.

Anche la notte finisce
e la luce confonde i colori.
Le cose riemergono incerte
e tornano i sogni di nebbia.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l’alba.

Conclusione: l’eredità poetica e delle poesie di Cesare Pavese

Queste sei poesie rappresentano solo una piccola parte della vasta produzione poetica di Cesare Pavese, ma sono sufficienti per dare un’idea della sua sensibilità, della sua capacità di introspezione e della sua maestria nell’uso della parola. La sua poesia, intrisa di malinconia, di solitudine e di un profondo senso di precarietà, continua a parlare ai lettori di oggi, a distanza di molti anni dalla sua morte. L’eredità di Pavese è quella di un poeta che ha saputo dare voce alle inquietudini dell’animo umano, con uno stile essenziale e suggestivo che ha influenzato profondamente la letteratura italiana del Novecento.

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia

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