Poesie di Leopardi: le 5 più belle

Poesie di Leopardi: le 5 più belle

Giacomo Leopardi è uno degli autori più significativi e importanti della letteratura italiana moderna. Egli è il massimo esponente della poesia romantica ma le sue riflessioni sull’esistenza lo rendono anche un filosofo di notevole spessore. Le poesie di Leopardi, infatti, esprimono quelle che sono le sue considerazioni sulla condizione umana. 

Le poesie di Leopardi sono ancora oggi oggetto di studio di molti studiosi e in esse troviamo il suo pensiero, il quale si basa su quattro concetti fondamentali: la natura, la ragione, il vero e le illusioni.

Scopriamo insieme in questa top 5 le più belle poesie di Leopardi!

5. Alla luna

“O graziosa Luna, io mi rammento
che,
or volge l’anno, sovra questo colle
io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva,
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto,
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, ché travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta Luna.
E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l’etate
del mio dolore.
Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor
lungo la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l’affanno duri!”

Tra le poesie di Leopardi che maggiormente rispecchiamo la sua poetica c’è “Alla luna” in cui ricorre il tema del ricordo, molto caro al poeta. Il componimento si può dividere in due parti: nella prima parte viene descritta la bellezza della luna mentre nella seconda parte viene associata al ricordo come consolazione, concetto centrale della poetica della rimembranza.

4. La quiete dopo la tempesta

“Passata è la tempesta:
odo augelli far festa, e la gallina,
tornata in su la via,
che ripete il suo verso. Ecco il sereno
rompe lá da ponente, alla montagna:
sgombrasi la campagna,
e chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
risorge il romorio,
torna il lavoro usato.
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
con l’opra in man, cantando,
fassi in su l’uscio; a prova
vien fuor la femminetta a côr dell’acqua
della novella piova;
e l’erbaiuol rinnova
di sentiero in sentiero
il grido giornaliero.
Ecco il sol che ritorna, ecco sorride
per li poggi e le ville. Apre i balconi,
apre terrazzi e logge la famiglia:
e, dalla via corrente, odi lontano
tintinnio di sonagli; il carro stride
del passeggier che il suo cammin ripiglia.

Si rallegra ogni core.
Sí dolce, sí gradita
quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
l’uomo a’ suoi studi intende?
o torna all’opre? o cosa nova imprende?
quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
gioia vana, ch’è frutto
del passato timore, onde si scosse
e paventò la morte
chi la vita abborria;
onde in lungo tormento,
fredde, tacite, smorte,
sudâr le genti e palpitâr, vedendo
mossi alle nostre offese
folgori, nembi e vento.

O natura cortese,
son questi i doni tuoi,
questi i diletti sono
che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
è diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
spontaneo sorge e di piacer, quel tanto
che per mostro e miracolo talvolta
nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
prole cara agli eterni! assai felice
se respirar ti lice
d’alcun dolor; beata
se te d’ogni dolor morte risana.”

Continuando questo viaggio tra le poesie di Leopardi, abbiamo “la quiete dopo la tempesta”. Nella prima parte della poesia siamo lontani dal pessimismo cosmico che arriverà, inesorabilmente, nella seconda parte in quanto il poeta fa una riflessione sulla sofferenza umana. L’autore, infatti, sottolinea che l’uomo è capace di provare gioia solamente con la momentanea cessazione del dolore, che è una costante nella vita di ogni individuo.

3. A se stesso

“Or poserai per sempre,
stanco mio cor.
Perí l’inganno estremo,
ch’eterno io mi credei. Perí.
Ben sento,
in noi di cari inganni,
non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
palpitasti.
Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra.
Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.

T’acqueta omai. Dispera
l’ultima volta.
Al gener nostro il fato
non donò che il morire.
Omai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera,
e l’infinita vanitá del tutto.”

“A se stesso” è tra le poesie di Leopardi inserire nell’edizione napoletana dei Canti (1835). Scritta dopo la fine della storia d’amore con Fanny Tozzetti, il poeta dedica questo componimento a se stesso, al proprio io interiore, scagliandosi contro la natura che ha reso l’uomo fragile a causa dell’amore e delle illusioni.

2. Scherzo

“Quando fanciullo io venni
A pormi con le Muse in disciplina,
L’una di quelle mi pigliò per mano;
E poi tutto quel giorno
La mi condusse intorno
A veder l’officina.
Mostrommi a parte a parte
Gli strumenti dell’arte,
E i servigi diversi
A che ciascun di loro
S’adopra nel lavoro
Delle prose e de’ versi.
Io mirava, e chiedea:
Musa, la lima ov’è? Disse la Dea:
La lima è consumata; or facciam senza.
Ed io, ma di rifarla
Non vi cal, soggiungea, quand’ella è stanca?
Rispose: hassi a rifar, ma il tempo manca.”

Alcune poesie di Leopardi hanno anche un tono ironico, come dimostra il componimento “scherzo”. Si tratta, infatti, di una favoletta allegorica in cui Leopardi rappresenta se stesso come un giovane apprendista nell’officina delle Muse, lasciandosi andare ad una riflessione critica sulla poesia dei suoi tempi, considerata da lui come improvvisata, non sottoposta al labor limae, ossia il processo di revisione e rielaborazione.

1. L’infinito

“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei.
Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.”

“L’infinito” fa parte delle poesie di Leopardi inserite negli Idilli leopardiani, raccolta molto importante per Leopardi in quanto racchiude gli aspetti principali del suo pensiero. In questa poesia, Leopardi descrive il colle presente a Recanati, un luogo che gli dà tranquillità ma che è anche fonte di grandi riflessioni.

Leggi anche: La teoria del piacere: in cosa consiste e cos’è il piacere?

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Amore e Psiche: dal mito a Leopardi

Immagine in evidenza: Wikipedia

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