Maria Virginia Fabroni (1851-1878) è stata una delle poche poetesse italiane dell’800 che riuscì a pubblicare poesie senza dover usare uno pseudonimo maschile. Romantica e risorgimentale, Maria Virginia Fabroni morì prematuramente a ventisette anni di tisi. Ecco le 5 poesie più belle di Maria Virginia Fabroni!
Poesie di Maria Virginia Fabroni: Il papavero
Il papavero, una delle poesie più belle di Maria Virginia Fabroni, è un confronto tra un papavero ed un essere umano, simili nella loro più intima fragilità. Il papavero è un fiore che con il suo colore intenso e brillante si fa notare in mezzo agli altri, ma quando cadono le foglie resta solo il triste stelo. Nel mondo anglosassone il papavero è tradizionalmente dedicato alla memoria delle vittime sui campi di battaglia della prima e della seconda guerra mondiale, specialmente durante il Giorno della Memoria. Dei papaveri parla anche il celebre cantautore italiano Fabrizio de André nella canzone La guerra di Piero che racconta di un soldato che muore sul campo di battaglia.
Alto, rosso, impettito in mezzo al grano,
Di porpora ammantato come un re,
Io ti scorgo buon tratto di lontano
Perché li sguardi sai chiamare a te.
Per lusso di colori e per orgoglio
Sembri il signore della spiga umil;
Ma il villano ti svelle insieme al loglio,
E ti porta alla stalla od al fienil.
Eppur ti gonfi, cerchi d’apparire,
S’uno ti guarda non brami di più;
Il tuo saper consiste in far dormire…
Tienila cara: è una bella virtù!
Io ti vedrei, se tu fossi animato,
Muoverti, affaticarti, bisbigliar,
E i fiori del giardino e quei del prato
Ricoprir di tue foglie e soffocar.
Oh! l’abito fa il monaco; sovente,
Tanto può la vernice ed il color,
Il mondo si scappella riverente
Ad un bel cencio che copre un tristo cor.
Se il papavero- fior perde la foglia
Che gaio e baldanzoso oggi lo fa,
E se l’ uomo -papavero si spoglia,
Di tanto bello, cosa resterà?
Un fil d’erba che il primo villanzone
Strappa dal suolo e non ricerca più;
Un grullo foderato di briccone
Che al servitore si fa dar del tu.
E quanti, che dal ciel non han sortito
Pregio veruno, ed hanno il volgo al piè,
Possono dire, mettendosi il vestito:
“Se qualcosa son io, lo debbo a te”.
Amore
Amore, una delle poesie più belle di Maria Virginia Fabroni, risponde alla domanda “che cos’è l’amore?” e secondo la poetessa l’amore è voce, fiamma ardente, divinità, dolore, luce e vita. Tutte le sfaccettature dell’amore sono scandagliate da Maria Virginia Fabroni in questa poesia dal profondo significato.
Amore è voce, che natura emette
ne’ suoi concenti più sublimi e cari.
Amore è fiamma, che ne’ petti ignari
tanto più ardenti vibra le saette.
Amore è Nume: creature elette
gli ergono in cor misteriosi altari.
Amore è duolo, che di pianti amari
sazia quell’alme in sue catene strette.
Amore è luce: il suo divino raggio
è l’iri de la terra del dolore.
Amore è laccio di gentil servaggio.
Amore è vita: è sovrumano ardore:
ed al compirsi del mortal viaggio
in ciel rivive più fulgente “Amore”.
Poesie di Maria Virginia Fabroni: Scrive e non ama
Scrive e non ama, una delle poesie più belle di Maria Virginia Fabroni, è un inno alla scrittura e all’amore come cura dell’anima. La poetessa solo scrivendo riesce a dimenticare i dolori della vita, a far tornare la pace dentro di sé. Forse amerà di nuovo, ma se lo farà, sarà di un amore che la illumini e la riscaldi, non di un amore che la torturi e la raggeli.
Ella scrive e non ama:
Sarebbe una pazzia:
Un amante si chiama
Un povero alienato in frenesia.
Non c’è nulla di vero
In questo sonno che si chiama vita
I sogni del pensiero
Sono sconforto e vanità infinita.
Ella scrive ed oblia
Molto: oblia quasi tutto in seno all’arte;
Il fior che manca sulla scabra via
Lo fa spuntar sopra l’aride carte.
Forse amerà. – Quel core
Non sia superbo, né volgar, né vile;
Sia nobile: l’amore
Tanto è più dolce quanto è più gentile.
Ella brama la pace:
Sprezza gl’inerti ed i meschini spirti:
ammira un alma audace
Che coglie lauri, non viole e mirti.
Sarà contenta appieno
Se faran plauso i buoni al mesto canto:
Non del tripudio in seno
Ei nacque pria, ma si spirava al pianto.
Ella non ama – i giorni
Corron discolorati in seno al nulla
Se passan disadorni
Del casto amor che allieta ogni fanciulla;
Ma non per lei, che vede
Di mille affanni quella via fornita,
A cui mostra Fede
Pace in grembo ai celesti oltre la vita.
Forse amerà – Chi mai
Può dir che un fior non tornerà in aprile?
Che dell’amor i rai
Non rivedrà fra poco un cor gentile?
L’avvenire è del Cielo:
Di là si parta, se verrà l’amore:
Sia benefico raggio, e non fia gelo
Che l’alma attristi e inaridisca il core.
Un fiore eterno
Un fiore eterno, una delle poesie più belle di Maria Virginia Fabroni, parla della virtù, l’unico fiore che non appassisce mai. È un dialogo tra la poetessa e la madre: la figlia le chiede un fiore che non muoia mai e la madre le dona una rosa, ma non è abbastanza perché anche le rose più belle e forti appassiscono prima o poi. Solo nel cuore si trova il fiore più longevo e vitale: è il fiore della virtù.
Un vago fior desidero:
Mamma, mi porgi un fiore
Che abbia gentile effluvio
E più gentil colore-
Ecco, diletta Figlia,
Una leggiadra rosa:
Guarda com’è vermiglia!
Senti com’è odorosa!
Essa è ‘l più fido simbolo
Di gioventù e beltade.
Brilla del dì sul sorgere
Ed al tramonto cade.-
Ah! se la rosa muore
Pregio non ha a’ miei rai.
Mamma, io domando un fiore
Che non perisca mai.-
Fanciulla mia, non chiedermi
Quel che ottener non puoi.
Eterni i fior non durano;
Muoiono al par di noi.
Tutto in april germoglia,
Tutto fiorir si vede;
Ma sin l’ultima foglia
D’autunno al vento cede!
E pur se tu desideri
Non perituro fiore,
Io te lo addito: educalo:
Il germe è nel tuo cuore.
Educalo, e vedrai
Quanta beltà racchiude!
Non appassisce mai
Il fior de la Virtude.
Poesie di Maria Virginia Fabroni: Amo
Amo, una delle poesie più belle di Maria Virginia Fabroni, parla dell’amore della poetessa per la natura. In particolare, la poetessa ama le rondini in primavera, le viole, le stelle e la luna che illuminano il mondo di notte, le querce, i salici, il lamento degli usignoli, il silenzio della notte, il fiume che scorre e rallegra l’anima, e infine l’onda che sembra parlare ad ogni movimento e sembra sussurrare la parola “Amore”: l’amore che unisce tutte le cose della natura e tutti gli uomini in una sorta di panismo mistico in cui la poetessa danza.
Amo le meste rondini
Che salutan coi gridi il novo Aprile
Del sol nascente al limpido fulgor.
Amo le brune mammole
Che fioriscon tra l’erba più sottile
Come pensier recondito d’amor.
Amo veder le fulgide
Stelle ingemmar l’azzurro firmamento
E la luna specchiarsi in seno al mar.
Amo tra querce e salici
Udir dell’usignolo il pio lamento
Che il core invita a gemere, ad amar.
Amo il mesto silenzio
D’una notte serena allor che il fiore
Più grato olezzo sparge intorno a me.
Amo ascoltare il flebile
Suon della squilla che per l’etra muore
E par che gema un doloroso – ahimé -!
Amo sul margo assidermi
Del fiumicello che con lento passo
Volve l’inargentato e fresco umor.
Amo veder la mobile
Queta onda cader di sasso in sasso
Che par che dica mormorando: “Amor”.
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