Quali sono le poesie di Mary Oliver da dover assolutamente leggere?
Mary Oliver è stata una poetessa americana, vissuta fino al 2019, insignita del Premio Pulitzer e del National Book Award, riconoscibilissima nel mondo della poesia e della letteratura per il suo stile di scrittura diretto e semplice, ma sempre ricco di immagini evocative, capaci di scaturire emozioni molto profonde. Nei suoi lavori è evidente la profonda connessione che la poetessa sentiva con la natura e spesso ha invitato il lettore a sentire e riconoscere questa medesima connessione, poiché ella riteneva l’umanità una parte della natura, non scissa da essa, richiamandosi in questo modo al Romanticismo. Infatti, fra gli autori che ella annoverava fra le sue ispirazioni vi sono John Keats e Percy Bysshe Shelley. In questo articolo, scopriremo tre poesie di Mary Oliver da dover leggere.
1. Wild Geese (1986)
«You do not have to be good.
You do not have to walk on your knees
for a hundred miles through the desert repenting.
You only have to let the soft animal of your body
love what it loves.
Tell me about despair, yours, and I will tell you mine.
Meanwhile the world goes on.
Meanwhile the sun and the clear pebbles of the rain
are moving across the landscapes,
over the prairies and the deep trees,
the mountains and the rivers.
Meanwhile the wild geese, high in the clean blue air,
are heading home again.
Whoever you are, no matter how lonely,
the world offers itself to your imagination,
calls to you like the wild geese, harsh and exciting –
over and over announcing your place
in the family of things.»
Wild Geese è la più conosciuta e amata fra le poesie di Mary Oliver. Pubblicata nel 1986, questa poesia è forse la più esemplificativa dell’approccio poetico di Oliver e dei temi del suo lavoro. In questo componimento, infatti, abbiamo un linguaggio molto semplice e fruibile ma che scatena delle emozioni importanti. Già dal primo verso «You do not have to be good» (Non devi essere bravo) possiamo sentire e capire l’invito che fa l’autrice al proprio lettore: lasciarsi andare, posare in terra il peso che ognuno di noi porta sulle spalle, fatto di aspettative (nostre e altrui), di responsabilità e di preoccupazioni. Dobbiamo permetterci di abbassare la guardia, perché, in ogni caso, il mondo va avanti, proprio come le wild geese, le anatre selvatiche, del titolo. L’ultima strofa è particolarmente toccante ed emblematica del fil rouge che collega quasi tutte le poesie di Mary Oliver: il nostro posto nella famiglia delle cose. Come esseri umani, noi siamo parte della natura. Non possiamo considerarci estranea ad essa, poiché siamo una componente di una famiglia universale.
2. Don’t Hesitate (2017)
«If you suddenly and unexpectedly feel joy,
don’t hesitate. Give in to it. There are plenty
of lives and whole towns destroyed or about
to be. We are not wise, and not very often
kind. And much can never be redeemed.
Still, life has some possibility left. Perhaps this
is its way of fighting back, that sometimes
something happens better than all the riches
or power in the world. It could be anything,
but very likely you notice it in the instant
when love begins. Anyway, that’s often the
case. Anyway, whatever it is, don’t be afraid
of its plenty. Joy is not made to be a crumb.»
Don’t Hesitate è una delle poesie di Mary Oliver che non ha un richiamo diretto alla natura, concentrandosi su concetti un po’ più astratti, ma comunque molto reali e quotidiani. Questa poesia, infatti, è un invito al lettore a godersi appieno la gioia. Per quanto essa sia rara e, talvolta, flebile, bisogna afferrarla quando si presenta a noi. Oliver riconosce che l’umanità commette errori, atrocità, rinuncia alla gentilezza e ipotizza che forse la gioia sia uno dei modi che ha la vita di combattere la malvagità di cui sono capaci gli uomini. La gioia, secondo l’autrice, può nascondersi ovunque e ovunque noi la scoviamo, dobbiamo godercela, afferrarla e assaporarla perché, come dice l’ultimo verso, la gioia non è fatta per essere una briciola. Si tratta senz’altro di una delle poesie di Mary Oliver più brevi ma non per questo meno ricca di significato.
3. The Journey (1963)
«One day you finally knew
what you had to do, and began,
though the voices around you
kept shouting
their bad advice —
though the whole house
began to tremble
and you felt the old tug
at your ankles.
“Mend my life!”
each voice cried.
But you didn’t stop.
You knew what you had to do,
though the wind pried
with its stiff fingers
at the very foundations,
though their melancholy
was terrible.
It was already late
enough, and a wild night,
and the road full of fallen
branches and stones.
But little by little,
as you left their voice behind,
the stars began to burn
through the sheets of clouds,
and there was a new voice
which you slowly
recognized as your own,
that kept you company
as you strode deeper and deeper
into the world,
determined to do
the only thing you could do —
determined to save
the only life that you could save.»
The Journey è una delle poesie di Mary Oliver che possono essere interpretate come un manifesto femminista. Scritta all’inizio degli anni ‘60, decennio di grande fermento intellettuale e politico, questa poesia narra di una persona che mette da parte la propria vita precedente per abbracciarne una nuova, incentrata su se stessa. Infatti, nell’ultima strofa, possiamo vedere come l’unica vita che la persona può salvare è la propria e non quelle degli altri, che chiedono a gran voce «Mend my life!» (guarisci la mia vita!). Il viaggio, The Journey, del titolo non è semplice, è ostacolato dagli altri, ma è assolutamente necessario. Possiamo interpretarla come un manifesto femminista perché è proprio in quegli anni che le donne iniziano a prendere il proprio posto nelle varie arene della vita, da quelle intellettuali, a quelle politiche, a quelle sociali, determinate, come ci dice la poesia ad ascoltare finalmente la propria voce, che le libera, e non quelle degli altri, che le imprigionano.
Fonte Immagine in Evidenza: Depositphotos (autore: kvkirillov)