Poeti latini: chi sono i 5 più celebri che parlano d’amore?

Poeti latini: i 5 più celebri che parlano d'amore

I poeti latini e la poesia d’amore

La poesia d’amore latina è un genere letterario che ha avuto una grandissima importanza nella storia della cultura romana e non solo, sviluppatasi durante il periodo imperiale, l’arte dei poeti latini è stata una vera e propria celebrazione delle emozioni, dei sentimenti e delle passioni che caratterizzano l’esperienza dell’innamoramento. Dotata di una straordinaria bellezza e di un fascino culturale eterno, la poesia latina d’amore a partire dall’età imperiale ha sviluppato dei topoi letterari che la hanno resa una fonte inesauribile di ispirazione per tutta la poesia d’amore occidentale seguente.

 5 poeti latini che hanno scritto meravigliosi versi d’amore

 1. Publio Ovidio Nasone

Amareggiato e malinconico, il cantore di delicati amori trascorse i suoi ultimi giorni a Tomi, una remota e barbara regione della Scizia, esiliato dall’imperatore Augusto per motivi non del tutto chiariti. Fu un poeta dotato di un talento etereo che con la sua opera affermò con forza l’originalità della letteratura latina, rielaborando topoi greci con una delicatezza e un’originalità tale da ottenere un successo immane fin dalle sue prime opere. 

Il suo linguaggio poetico raggiunse fin dalle prime opere un livello sublime. Fu particolarmente sensibile nell’uso dell’esametro e del distico, mentre dal punto di vista argomentativo era tipico della sua tecnica narrativo lo sviluppo del paradossale, del patetico, dell’imprevisto, tutti elementi che contribuirono a formare una nuova e originale maniera di esprimere il proprio sentire. Un sentire focalizzato sulle battaglie sentimentali, sui patimenti dell’animo e sulle conquiste amorose. La sua carriera poetica si aprì con uno dei generi più in voga in quegli anni: l’elegia erotica di contenuto soggettivo. Già con gli Amores, dedicati all’immaginaria Corinna, Ovidio affiancava alle situazioni tipiche dell’elegia romana tradizionale una verve originale, da cui emergeva una componente giocosa e scherzosa, anche nell’affrontare argomenti a cui era associato tipicamente un tono patetico e grave, come il tradimento, ad esempio.

Un altro capolavoro della poesia erotica latina fu  l‘Ars Amatoria, una mescolanza di epica, precettistica ed elegia, in cui Ovidio si fa “praeceptor amoris” e in tre libri spiega come conquistare una donna, sedurla e far durare l’amore. L’opera rifiuta velatamente i modelli arcaici, consigliando di vivere l’amore come un gioco, evitando di innamorarsi e concentrandosi sui piaceri che può dare il sesso.  Incredibilmente innovative furono anche altre due opere come i Medicamina faciei femineae, in cui approfondiva dettagliatamente le tecniche cosmetiche femminili, e Rimedia Amoris, un’operetta che mostrava come guarire dal “morbo” dell’innamoramento. 

Le Eroidi è in assoluto l’opera più innovativa e particolare che Ovidio compose, per la prima volta la poesia elegiaca venne infatti presentata sotto la forma epistolare, mostrando il punto di vista delle donne, che solitamente oggetto delle passioni amorose, finalmente poterono esprimere la propria soggettività, i propri pensieri e i propri sentimenti più profondi, mostrando tutte le sfaccettature della loro sfera sentimentale, fatta sia di pulsioni positive che  distruttive. Famosissime sono la delicata e angosciosa lettera che Penelope indirizza al marito Odisseo, o la disperata e furente voce della povera Arianna, abbandonata sull’isola di Nasso dal suo Teseo.

«La donna che tu, malvagio Teseo, hai abbandonato alle belve vive ancora, e tu vorresti accettare questo fatto con indifferenza? Ho trovato ogni specie di fiera meno spietata di te: non avrei potuto essere affidata a nessuno peggio che a te!»

2. Publio Virgilio Marone 

Fu senza dubbio uno dei poeti latini più illustri del periodo augusteo, del quale incarnò perfettamente lo stile e le idee. L’abilità compositiva del poeta mantovano non si esaurì semplicemente in una funzione meramente celebrativa di regime, ma raggiunse delle vette espressive talmente alte da divenire immortale. Il tema amoroso pervade tutti i suoi componimenti, anche quando non ne è protagonista. La passione per Virgilio è una forza distruttiva, una sorta di furore divino irrazionale e incontrollabile che travolge l’uomo e lo fa soffrire. L’amore viene considerato come un sentimento devastante,  vissuto tragicamente, qualcosa che provoca rovina e morte, che seguendo la dottrina epicurea diviene un vero e proprio turbamento dell’anima, che se non viene moderato porta alla distruzione. 

Persino nelle Georgiche dove il tema dell’amore non è centrale, quando questo emerge, avviene solo in maniera pessimistica, basti pensare che il poeta inserisce all’interno della storia dell’apicoltore Aristeo, il mito di Orfeo ed Euridice, che mostra proprio  il destino dell’innamorato che anche quando prova a sovvertire il suo tragico fato,  viene inesorabilmente sconfitto. 

Anche nelle Bucoliche il sentimento amoroso non si discosta da questa concezione tragica, e l’amore è sempre qualcosa che provoca sofferenza. Nella II ecloga per esempio il pastore Coridone si strugge per il giovane Alessi, non riuscendo a capacitarsi del suo rifiuto. Nella V ecloga l’amore è la causa della morte del pastore Dafni, che perde la vita accecato da una ninfa che tanto desiderava. La VII ecloga invece rappresenta un’eccezionalità in tutto il componimento, in quanto l’amore qui viene vissuto come un sentimento sereno, che quando viene ricambiato, genera felicità. Esemplificativa invece è l’ VIII ecloga in cui Amore viene definito da Damone come un dio malvagio, nato nella pietra e che indurisce il cuore, malvagio come sua madre Venere. L’amore dice il giovane non può che  concludersi con uno scambia di tristezze, e l’ultimo mesto dono che farà alla sua innamorata, può essere solo la morte.

Tutta l’Eneide è costellata da una serie di relazioni amorose dalle tinte profondamente fosche. Tutte le vicende riguardanti storie d’amore hanno un finale sventurato, a partire da Eurialo e Niso, entrambi morti. Corebo, animato, nei confronti della giovane Cassandra,  da un amore sconsiderato e che travalica la prudenza, anch’egli destinato a una fine tremenda. Anche Creusa, la prima e giovane moglie di Enea scompare tra le fiamme per colpa dell’amore che prova devotamente nei confronti del marito. Il binomio amore-morte è inscindibile anche nella vicenda dell’infelice Didone, alla quale non resta che togliersi la vita quando viene tristemente illusa e poi abbandonata da Enea.

«Così, così è bello andar sotto le ombre.
Il crudele dardano beva con gli occhi questo fuoco
dall’alto, e porti con sé i presagi della nostra morte.»

3. Sesto Properzio 

Fu uno dei poeti elegiaci latini più amati della Roma imperiale, e le sue opere riscossero un successo superlativo anche nei secoli seguenti, creando dei nuovi tópoi espressivi  nel linguaggio d’amore e poetico, che hanno ispirato persino grandissimi cantautori della nostra epoca come il maestro Battiato.
Maestro del distico elegiaco, Properzio incarnò perfettamente la figura del poeta innamorato e sofferente.  Attraverso l’uso di una poesia callimachea, breve e d’effetto, il poeta romano dichiarava il suo intento di dedicarsi completamente al sentimento amoroso, essere un servitore dell’amore, il cui intento fu solo quello di riscattare la sua tragica condizione. 

«Fu Cinzia dai begli occhi, povero me, la prima che mi prese al laccio.»

A differenza degli altri elegiaci l’amore per Properzio si fa carne e sangue e la sofferenza diviene profondamente materiale. Le sue Elegie, divise in quattro libri si focalizzano inizialmente sui patimenti che l’indifferenza di Cinzia gli causava, per poi affiancare alle elegie di argomento amoroso anche componimenti di tipo civile e politico, fino ad arrivare alla fine del terzo libro all’affrancamento totale dalla servitù d’amore. 

«L’amore se ne andrà tanto lontano quanto è lontano dagli occhi.»

4. Sulpicia

L’unica voce femminile in un mondo di poeti latini uomini, Sulpicia fu una giovane poetessa appartenente alla classe aristocratica che grazie alla sua estrazione altolocata ebbe modo di frequentare gli ambienti più colti, condividendo i circoli letterari di poeti del calibro di Ovidio, Tibullo e Ligdamo. Le sue opere ci sono giunte non in maniera autonoma, ma contenute all’interno del terzo libro del Corpus Tibullianum. Ancora oggi non vi è certezza riguardo la sua esistenza, e si dibatte sul fatto che l’io elegiaco del componimento possa essere reale o appartenuto a un personaggio letterario. Tendenzialmente  gli studiosi sono concordi a considerare autentica l’opera della poetessa romana. 

La produzione sulpiciana si articola essenzialmente in due raccolte: Il ciclo dell’Amicus Sulpiciae e Il ciclo di Sulpicia.  Nel primo componimento l’amore viene vissuto secondo modalità differenti rispetto alle tipiche manifestazioni elegiache correnti. In una serie di “biglietti” si alternano le voci di Cerinthus e della stessa Sulpicia, che si corteggiano, si dichiarano amore e chiedono protezione agli dei per l’amato. Esprimendosi un amore tenero e compiuto. Il secondo componimento risulta ancora più innovativo, ed esprime ancora più esplicitamente il sentimento amoroso della giovane, che desidera unirsi al proprio amato carnalmente e non solo spiritualmente.  A differenza del primo componimento però il sentimento amoroso viene turbato dai problemi della quotidianità e dall’infedeltà del suo amato. 

«Luce mia, possa io non esser più la tua ardente passione come credo di esser stata in questi ultimi giorni se io, in tutta la mia giovinezza, ho mai commesso un errore tanto sciocco, del quale io possa confessare di essermi più pentita, quale quello di averti lasciato solo la scorsa notte, per aver voluto nasconderti la passione che provo per te.»

5. Gaio Valerio Catullo

La pulsione amorosa è un elemento centrale in tutta la produzione di molti poeti latini, prima fra tutti Catullo, il quale riuscì a dipingere il sentimento dell’amore in una maniera tanto tenera e intimistica quanto intensamente tragica. 
Massimo esponente dei poeti  neòteroi, il suo stile “levigato”, per sua stessa ammissione, raggiunse una perfezione formale che rendeva alla perfezione i turbamenti e rivolgimenti dell’animo umano, quando afflitto dal sentimento amoroso. Le dolci parole di Catullo sono indirizzate alla bellissima Clodia, moglie del proconsole Metello Celere, che viene cantata nelle sue elegie sotto l’ormai celeberrimo nome di Lesbia. La raccolta di versi di Catullo rappresenta un viaggio attraverso un amore tempestoso, che si perde tra momenti di dolcezza, momenti di furente gelosia, tradimenti, avventure libertine e lo sconforto più totale. Nonostante la natura sfortunata della storia con Clodia/Lesbia, le poesie catulliane ci regalano delle vette stilistiche sublimi, da cui riecheggiano splendide parole di dolcezza. 

«… Dammi mille baci, poi cento, poi ancora mille, poi di nuovo cento,
poi senza smettere altri mille, poi cento;
poi, quando ce ne saremo dati molte migliaia, li mescoleremo, per non sapere (il loro numero)
e perché nessun malvagio ci possa guardare male,
sapendo che qui ci sono tanti baci.»

Fonte Immagine di Copertina: Wikipedia 

A proposito di Giuseppe Musella

Laureato in mediazione linguistica e culturale presso l'Orientale di Napoli. Amo tutto ciò che riguarda la letteratura. Appassionato di musica, anime, serie tv e storia. Visceralmente legato a Napoli.

Vedi tutti gli articoli di Giuseppe Musella

Commenta