Predicato verbale e nominale: come riconoscerli?

Predicato verbale e nominale

Che tu sia uno studente di scuola media alle prese con l’analisi logica o un adulto che ha disperatamente bisogno di un ripasso, questo articolo ti aiuterà a chiarire le differenze tra predicato verbale e nominale e scioglierà ogni tuo dubbio! 

Il predicato verbale e nominale, due diverse modalità grammaticali di esprimere un’azione che ogni giorno utilizziamo nel parlato e nello scritto senza badarci. Ma come distinguere il predicato verbale e nominale? Scopriamolo insieme.

Il predicato verbale

Il predicato verbale è costituito da un qualsiasi verbo predicativo e può essere di forma attiva, passiva o riflessiva, transitivo o intransitivo. Esprime lo stato del soggetto, un’azione fatta o subita. Vediamo qualche esempio:

Maria legge il giornale.
Legge è il predicato verbale in forma attiva, indica l’azione svolta da Maria, soggetto, che ha una ricaduta diretta sull’oggetto (il giornale). Leggere è dunque un verbo transitivo, ovvero un verbo che può reggere un complemento oggetto.

Andrea va a scuola.
Va è il predicato verbale, indica l’azione svolta dal soggetto Andrea, andare, che è un verbo di movimento e dunque è intransitivo, ovvero non può reggere un complemento oggetto. A scuola, infatti, è un complemento di moto a luogo.

Antonio ha un bellissimo orologio.
Ha, verbo avere, è il predicato verbale della frase, con funzione attiva e transitiva.

Dario ha detto la verità.
In questo caso, avere è soltanto l’ausiliare del verbo dire, che qui funge da predicato verbale, coniugato alla forma attiva transitiva al tempo passato prossimo.

L’aereo si sta muovendo.
Muoversi
è un verbo riflessivo, un verbo che indica che la ricaduta dell’azione compiuta è sul soggetto stesso (l’aereo). Verbi riflessivi sono muoversi, lavarsi, toccarsi, baciarsi e tutti i verbi che si coniugano con una particella riflessiva (in questo caso, il si).

Il gatto è sul tavolo.
Imperdonabile errore è credere che il verbo essere costituisca sempre un predicato nominale. Difatti, come vedremo a breve, il verbo essere costituisce un predicato nominale se e soltanto se accompagnato da un nome o un aggettivo. Negli altri casi, quando compaia da solo, accompagni un altro verbo in funzione di ausiliare o sia seguito da un altro complemento, esso è un predicato verbale. In questo caso, essere è predicato verbale perché predica l’azione del gatto, soggetto, di trovarsi sul tavolo (complemento di stato in luogo). Ha funzione verbale propria quando ha il significato di trovarsi, esistere, stare ed è seguito da preposizione (come in questo caso, sul).

Sofia e sua madre sono andate al mare.
In questo caso, essere è ausiliare del verbo andare, verbo intransitivo alla forma attiva e al tempo passato prossimo.

Il libro è stato messo sulla mensola dalla bibliotecaria
In questo caso, essere funge soltanto da ausiliare del verbo mettere, che è il verbo che in questa frase compare in forma passiva. Il soggetto è sempre il libro, da non confondere con il complemento d’agente dalla bibliotecaria, che nelle frasi passive segnala chi materialmente compie l’azione che ha ricaduta sul soggetto della frase. Il soggetto, inoltre, non viene mai introdotto da una preposizione semplice o articolata, mentre il complemento d’agente viene introdotto da una preposizione.

L’albero è stato spezzato dalla tempesta.
Anche in questo caso, il verbo essere funge da ausiliare di un verbo, qui spezzare, che compare in forma passiva. Dalla tempesta è però un complemento di causa efficiente, in quanto a spezzare l’albero non è un essere umano ma un evento naturale. Si sarebbe trattato di causa efficiente anche nel caso in cui a spezzare l’albero fossero stati un animale o una cosa.

Il predicato nominale

Il predicato nominale è costituito dal verbo essere (o da un altro verbo copulativo) seguito da un aggettivo o da un nome. Attribuisce al soggetto una qualità o un modo di essere. Vediamo qualche esempio:

Mio padre è un impiegato.
In questo caso il verbo essere funge da copula, ha la funzione di unire il soggetto della frase (mio padre) al nome (un impiegato) che permette alla frase di avere un senso compiuto. Difatti, omettendo un impiegato, la frase smette di avere senso: il verbo copulativo deve essere sempre seguito da un nome o un aggettivo.

Questo libro è molto interessante.
Anche in questo caso il verbo essere è una copula, seguita da un aggettivo (con attributo, molto interessante).

In luogo del verbo essere, possiamo trovare un altro verbo copulativo, ovvero un verbo che, se non seguito da aggettivo o nome, non dà senso compiuto. Sono verbi copulativi diventare, sembrare, parere.

Mi sembri triste.
Il soggetto tu, senza l’aggettivo triste, non sapremmo dire in che modo potrebbe sembrare. L’aggettivo dunque è indispensabile per dare senso alla frase.

Immagine: Pixabay

A proposito di Giorgia D'Alessandro

Laureata in Filologia Moderna alla Federico II, docente di Lettere e vera e propria lettrice compulsiva, coltivo da sempre una passione smodata per la parola scritta.

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