Il movimento preraffaellita (detto anche “confraternita dei preraffaelliti”) nasce e si sviluppa attorno al XIX secolo, nell’Inghilterra vittoriana. Un periodo di relativa pace e di sviluppo per il paese, ma anche pieno di contraddizioni al suo interno.
Il lungo regno della regina Vittoria (1837-1901) fu caratterizzato da un’incessante fiducia nel progresso e nella fede. La seconda rivoluzione industriale, iniziata nel 1856, aveva aumentato il benessere delle classi agiate. Di contro i poveri erano costretti a vivere nei sobborghi e nelle periferie delle città in condizioni drammatiche, messe in luce dai maggiori scrittori dell’epoca come Charles Dickens. I bambini furono impiegati a lavorare nelle miniere di carbone o come spazzacamini, con conseguente aumento del livello di analfabetismo. Le donne, essendo prive di diritti, si davano alla prostituzione pur di mandare avanti le proprie famiglie. Il tutto avveniva in un clima di ipocrisia che vide il trionfo dei valori puritani: castità, pudicizia, fedeltà assoluta e timore religioso non dovevano mai mancare in una buona famiglia borghese e doveva esserne massima espressione la donna, remissiva verso il marito e dedita alla casa e alla cura dei figli.
Gli stessi esponenti della cultura non mancavano di sottolineare le contraddizioni di questa società. Basti pensare al solo Oscar Wilde, scrittore spiccatamente omosessuale (quindi un “abominio” per la morale dell’epoca), ma soprattutto il mondo dell’arte che tramite varie correnti divenne il più efficace veicolo di denuncia nei confronti della società vittoriana. Tra queste correnti c’è anche la confraternita dei preraffaelliti, nata nel 1848.
Preraffaelliti. Origini e caratteristiche
A fondare il movimento furono tre giovani studenti della Royal Accademy di Londra: William Holman Hunt, Dante Gabriel Rossetti e John Everett Millias. Con la loro confraternita i tre pittori si opposero ai precetti accademici a cui l’arte era vincolata e che, secondo loro, si diffusero per colpa di Raffaello Sanzio.
Osservando La Trasfigurazione conservata nella Pinacoteca Vaticana, Hunt aveva criticato il pittore rinascimentale «per il suo disprezzo grandioso della verità, per la postura altezzosa degli apostoli e per l’atteggiamento non spirituale del Salvatore». Raffaello era quindi ritenuto colpevole di aver corrotto l’innocenza primitiva dell’arte concentrandosi più sulla “bellezza” dei soggetti delle composizioni che sulla “realtà” rappresentata, gettando le basi per la nascita di tutti i canoni della vituperata arte accademica.
C’era un solo modo per liberarsi di tutto ciò: volgere lo sguardo indietro, all’arte medievale e prerinascimentale pura e semplice, che ritraeva la quotidianità senza orpelli superflui. Da qui la scelta, da parte dei tre pittori, di adottare il nome di “preraffaelliti”.
Le opinioni dei preraffaelliti andavano di pari passo con quelle di uno dei loro maggiori sostenitori, il critico d’arte John Ruskin. Egli, durante l’Esposizione Universale di Londra del 1851, definì il Crystal Palace di Joseph Paxton un «cocomero di vetro». Tanto Ruskin quanto Hunt e compagni erano accomunati da una certa repulsione verso la moderna società industriale, fatta di fabbriche e macchine che avevano allontanato l’uomo dal rapporto intimo con la natura.
Anche i temi scelti aderiscono alla scelta di opporsi alla negatività portata dalla società industriale. Temi che, in pieno spirito romantico, favoriscono l’espressione dei sentimenti umani. Si prediligono soggetti letterari, biblici, medievali e fantastici, senza però rinunciare alla critica sociale e, seppur in numero minore, ai ritratti paesaggistici.
Hunt, Gabriel Rossetti e Millais
William Holman Hunt è, tra i tre fondatori del movimento, quello che maggiormente considera la pittura come un mezzo didattico e morale, seppur non godette della stessa fama dei suoi amici. Egli predilige soggetti religiosi tratti dalla Bibbia come in La luce del mondo del 1853, in cui viene raffigurato Cristo che bussa ad una porta ricoperta da erbacce. Hunt sembra richiamarsi alle immagini sacre due-trecentesche, in particolare alle pale d’altare, nel raffigurare Gesù illuminato dall’aureola e dalla lampada ad olio che porta in mano in un ambiente oscuro e freddo, simboleggiato dalla natura morta e quasi priva di vegetazione, fatta eccezione per le piante che si trovano vicino alla porta della casa a
Un altro soggetto prediletto da Hunt sono le opere di William Shakespeare come in Claudio e Isabella del 1850 che riproduce una scena della commedia Molto rumore per nulla: il momento in cui la monaca Isabella decide di concedere la propria verginità ad Angelo, nel tentativo di salvare la vita al fratello Claudio. Il simbolismo in questo quadro si ritrova nell’abito bianco di Isabella, quello indossato dalle monache dell’ordine di Santa Chiara che diventa simbolo di castità, allo sguardo tormentato di Claudio (opposto all’attitudine calma della sorella).
Diverso è il discorso per Dante Gabriel Rossetti. Fin da piccolo si appassionò alla letteratura italiana grazie all’influenza del padre, un esiliato politico italiano che aveva partecipato ai moti del 20-21, da cui ereditò la passione per Dante Alighieri e la poesia stilnovista, al punto che nel 1849 tradusse in inglese la Vita Nova e alcune liriche del dolce stilnovo.
Tale influenza si ritrova in molti dipinti come Beata Beatrix del 1872 in cui viene ritratta la donna amata dal sommo poeta, Beatrice Portinari. Ella viene rappresentata in estasi, con gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta, nel momento esatto in cui sta per lasciare il mondo terrestre per trascendere al paradiso. Rossetti rappresenta Beatrice con le sembianze della moglie Elizabeth Siddal, modella che fu fonte di ispirazione per molti ritratti e che morì in seguito a un’overdose di laudano. Per questo motivo il pittore scelse come soggetto quello della morte di Beatrice, descritta da Dante nell’ultimo capitolo della Vita Nova e preannunciata nel dipinto da una colomba che poggia sulle mani della donna un fiore d’oppio, presagio di morte (e riferimento alla dipendenza della moglie).
Sempre a Dante è ispirato il trittico del 1855 dedicato a Paolo e Francesca, i due amanti protagonisti del quinto canto dell’Inferno. Rossetti si concentra sui due momenti cardine della loro storia: il bacio che si scambiano durante la lettura del “galeotto” romanzo di Lancillotto e la pena che li porta, abbracciati, a essere spinti dalla bufera dei lussuriosi con Dante e Virgilio che li osservano al centro, commossi.
A John Everett Millais va invece attribuito uno dei dipinti più iconici della confraternita preraffaellita: la celebre Ophelia, dipinta tra il 1851 e il 1852, ritraente la ragazza amata da Amleto nel momento in cui muore annegata in un ruscello. Il soggetto shakespeariano viene riprodotto con dettagli realistici e non soltanto nel corpo di Ophelia, modellato su quello della già citata Elizabeth Siddal, ma anche nell’ambiente circostante. Millais si recò nei pressi del fiume Hogsmil, nella contea di Surrey, e disegnò all’aperto tutti i fiori e le piante che osservò per poi riportarli nell’opera finale, conferendo loro un diverso significato.
Il realismo maniacale si ritrova anche in un dipinto che fu molto contestato all’epoca, Gesù nella casa dei genitori del 1850. Viene rappresentato l’episodio biblico in cui Gesù si taglia un dito aiutando suo padre, il falegname Giuseppe, finendo per sanguinare (presagio della futura crocifissione). Le critiche dei detrattori si riferivano al fatto che un episodio sacro come quello fosse stato desacralizzato rappresentando Cristo e la sua famiglia con le sembianze di quegli uomini poveri che abitavano ai margini della società (basti vedere le sembianze di San Giovanni, che porta una ciotola con l’acqua, rappresentato come un bambino derelitto). In effetti non è un caso se Millais prese ispirazione per l’opera da una falegnameria situata in Oxford Street e che modellò i personaggi sulle fattezze di alcuni parenti e amici.
Altri preraffaelliti: Jones e Waterhouse
Tra gli altri pittori che si unirono alla confraternita dei preraffaelliti o che ne furono ispirati, vanno citati almeno due: Edward Burne-Jones e John William Waterhouse.
Grande ammiratore di Dante Gabriel Rossetti, Jones abbandonò gli studi di teologia e da Oxford si trasferì a Londra per entrare a contatto con la confraternita. A differenza però dei suoi tre esponenti, Jones era affascinato anche dall’arte italiana rinascimentale, in particolare Botticelli e Michelangelo, che unisce agli elementi romantici. I temi delle sue opere riguardano la mitologia classica e nordica, il ciclo arturiano e la religione. Tra i suoi dipinti più importanti si possono citare L’incantesimo di Merlino del 1874, ispirato alla leggenda medievale dell’infatuazione del mago Merlino per la dama del lago e La scala d’oro, enigmatico dipinto in cui vengono rappresentate diciotto ragazze che scendono lungo una scala a chiocciola.
Waterhouse invece aderisce al movimento dei preraffaelliti quando è giunto oramai alla sua fine, tanto che viene spesso definito come un “tardo preraffaellita”. È famoso per i suoi soggetti a tema mitologico e medievale dove dominano intense figure femminili come nel ciclo della Lady of Shalott, dal nome di un poemetto di Alfred Tennyson ispirato a una leggenda arturiana, in cui la protagonista cerca di raggiungere la città di Camelot a bordo di una barca per amore di Lancillotto, nonostante la maledizione che grava su di lei (sarebbe morta se avesse abbandonato la rocca di Shalott, dove era rinchiusa). Ancora si può citare Tisbe accostata al muro, ispirato al mito di Piramo e Tisbe raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi, in cui il pittore rappresenta la ragazza che avvicina il proprio orecchio alla crepa nel muro, unico canale di comunicazione con l’amato Piramo da cui i genitori la separano.
Immagine di copertina sui preraffaelliti: Wikipedia