Quotidianamente, quando ci imbattiamo nella lettura di eventi politici, attuali o passati, ci confrontiamo con un termine importante, quello di pulizia etnica, spesso erroneamente confuso con quello di genocidio. È importante fare chiarezza sulla corretta terminologia da utilizzare.
Che cos’è la pulizia etnica?
Pulizia etnica è un termine che è entrato a far parte del vocabolario pubblico ed internazionale nel 1992, in occasione della guerra in atto nell’ex Jugoslavia, quando la Commissione dei diritti umani, nell’analizzare la tragica situazione, condannò quelle politiche finalizzate alla creazione di un territorio etnicamente puro ed omogeneo, utilizzando la violenza come strumento per forzare le minoranze etniche ad abbandonare il territorio.
La Treccani invece, definisce la pulizia etnica in questi termini: «Programma di eliminazione delle minoranze, realizzato attraverso il loro allontanamento coatto o ricorrendo ad aggressione militare e di violenza, per salvaguardare l’identità e la purezza di un gruppo etnico».
Potremmo effettivamente chiederci, a questo punto, in cosa la pulizia etnica differisca dal genocidio dal momento che in entrambi i casi si ricorre alla violenza per forzare gruppi minoritari ad abbandonare un territorio, con il fine ultimo di creare uno stato etnicamente omogeneo, privo di influenze esterne che si teme possano compromettere la purezza e l’integrità della nazione.
In realtà, la Corte giudiziaria del Tribunale penale internazionale dell’ex Jugoslavia, ha dichiarato che la mera espulsione di un gruppo o di parte di esso, non è sufficiente a determinare la definizione di genocidio. È vero, sì, che i crimini commessi durante una pulizia etnica sono simili a quelli commessi nel corso di un genocidio, ma mentre quest’ultimo ha come fine ultimo la distruzione totale o parziale di un gruppo, la pulizia etnica intende “pulire” un territorio dalle minoranze etniche presenti, ricorrendo all’omicidio come mezzo per espellere il gruppo.
In altre parole, nel corso della pulizia etnica le varie forme di violenza possono cessare nel momento in cui il gruppo è in procinto di abbandonare il territorio; tale elemento non si verifica nel caso del genocidio, poiché i vari crimini possono continuare anche quando il gruppo sta per abbandonare il territorio, attraverso la sua persecuzione.
È facile capire come la pulizia etnica, portata alle estreme conseguenze, possa trasformarsi facilmente in genocidio.
Arrivati a questo punto dobbiamo, inevitabilmente, fare un passo indietro nella storia e guardare ad alcuni dei più tragici esempi di pulizia etnica.
Guerra nei Balcani
È lampante il richiamo all’ex Jugoslavia e al massacro di Srebrenica quando si parla di pulizia etnica.
Ricordiamo che la Jugoslavia nasce come Stato federale nel 1919. Era inizialmente chiamata Regno dei Serbi, sebbene si componesse di sei Repubbliche: Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia e due regioni autonome legate alla Serbia (Kosovo e Vojvodina). Al termine del secondo conflitto mondiale sale al potere il leader del partito comunista, noto con il nome di Maresciallo Tito, alleato dell’Urss, un uomo carismatico che era stato in grado di respingere l’invasione delle truppe naziste.
Sotto la guida di Tito la Jugoslavia vive degli anni di apparente stabilità ed egemonia. Apparente poiché, dietro la fratellanza e coesione della federazione, si celavano profonde differenze etniche, linguistiche e religiose alimentate dalla nascita dei diversi movimenti nazionalisti. Questi ultimi riuscirono però ad essere domati dal potere e dal magnetismo di Tito. Tuttavia, alla sua morte, nel 1980, la situazione cambiò e le tensioni a lungo assopite, esplosero con violenza.
L’anno seguente il Kosovo dichiarò la propria indipendenza, e a ruota le diverse Repubbliche, fomentate dai movimenti nazionalisti, ne seguirono l’esempio. Le tendenze secessioniste furono però fortemente osteggiate dalla Serbia, guidata dal presidente Milosevic, il quale credeva che ciò potesse compromettere il ruolo di leadership della Serbia nella Repubblica di Jugoslavia. Pertanto, con l’inizio della guerra civile, Milosevic si fece promotore di un nazionalismo serbo virulento, fondato sull’esigenza di riunire tutti i serbi, divisi nelle diverse Repubbliche, per giungere all’obiettivo di creare una Grande Serbia.
Con l’inizio delle atrocità le diverse Repubbliche fecero ricorso allo strumento della pulizia etnica per eliminare i propri avversari e creare stati etnicamente puri ed omogenei, liberi dalle influenze straniere.
Durante la guerra nei Balcani, un esempio tragico di pulizia etnica, fu il massacro di Srebrenica, in Bosnia. Quest’ultima era caratterizzata da una composizione plurietnica: bosniaci (musulmani), serbi (ortodossi) e croati (cattolici).
Inizialmente i croati e i bosniaci erano alleati contro i serbi. Alleanza che si rompe a causa del sogno croato di creare la «Grande Croazia». La città di Srebrenica fu teatro di un atroce guerra a tre, tra bosniaci musulmani, serbi e croati. Circa 8.000 bosniaci furono brutalmente uccisi e più di 100.000 persone persero la vita. Ogni anno, ed ancora oggi, vengono scoperte fosse comuni nelle quali venivano gettati migliaia di corpi di giovani che cercavano, invano, di fuggire. Circa 15.000 bosniaci, terrorizzati, si rifugiarono intorno a quella che era la base delle Nazioni Unite, nella speranza di ricevere aiuto dai Caschi Blu. Questi ultimi, invece, assistettero impotenti al massacro e all’esecuzione di donne, uomini e bambini.
La guerra terminò nel 1995 con gli accordi di pace. Tuttavia, una sentenza adottata dalla Corte Internazionale di Giustizia nel 2007 ha condannato il massacro di Srebrenica stabilendo che, poiché il fine ultimo era la distruzione dei bosniaci musulmani, costituisce un caso di genocidio. Questo è un esempio di come lo strumento della pulizia etnica si sia gradualmente trasformato in quello del genocidio.
Operazione Lentil
Unione Sovietica, 1944. È proprio qui che prende atto un altro terribile episodio di pulizia etnica nei confronti di una popolazione, i ceceni. È necessario, però, fare un piccolo passo indietro nella storia.
La Cecenia viene annessa all’Impero Russo nel 1870, sebbene la popolazione accettasse con riluttanza il dominio dello zar. Dopo il crollo dell’Impero, la Cecenia riacquista l’indipendenza, terminata nel 1922 quando i Bolscevichi presero il controllo dell’area.
Nel corso della Seconda guerra mondiale, la Cecenia fu il teatro di un’insurrezione del popolo contro il regime comunista, insurrezione scaturita dalla speranza di creare uno stato indipendente. Tuttavia, nel mese di febbraio del 1944 Stalin accusò la Cecenia di collaborazionismo con i nazisti durante il periodo dell’occupazione tedesca dello stato. Con l’aiuto della polizia segreta sovietica, Stalin diede il via all’Operazione Lentil, con la quale, ricorrendo all’arma della pulizia etnica, arrivò ad espellere l’intera popolazione cecena verso il Kazakistan e il Kirghizistan. Oltre 400.000 ceceni furono deportati e molti, circa 100.000, morirono per fame, stenti e per le atroci violenze subite. Qualche anno dopo, nel 1957, con la destalinizzazione del paese, i sopravvissuti poterono tornare in patria.
Anche qui, il Parlamento Europeo, nel 2004 ha dichiarato che la deportazione della popolazione cecena per ordine di Stalin, il 23 febbraio del 1944, costituisce a tutti gli effetti un atto di pulizia etnica e genocidio.
Abbiamo qui menzionato due dei più famosi esempi di pulizia etnica, ma purtroppo ne esistono molti altri, quali l’eccidio delle fosse ardeatine in Italia o la Nakba palestinese nel 1948-1949. Esistono però delle controversie tra gli storici sulla corretta interpretazione degli eventi, in particolare sulla Nakba palestinese. Alcuni credono che l’espulsione, la deportazione e le violenze esercitate nei confronti dei palestinesi, nei territori occupati da Israele, costituiscano, a tutti gli effetti, atti di pulizia etnica. Altri ancora credono che il piano attuato da Israele per espellere la popolazione palestinese sia stato un piano militare adottato per far fronte a future offensive arabe e non sia, dunque, annoverabile tra gli atti di pulizia etnica.
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