Racconti piccanti, 4 da leggere assolutamente

racconti erotici

Nella storia della letteratura esistono cassetti che in pochi hanno il coraggio di aprire e che in molti tengono chiusi a chiave. Uno di questi è quello più controverso e malizioso: il cassetto dei racconti piccanti.

Cosa sono i racconti piccanti?

Storie licenziose, spinte, piccanti e lussuriose, osteggiate a lungo dal buoncostume e dal moralismo di preti, politici o semplici moralisti sostenitori di un’idea di società basata sulla pudicizia e sulla castità. Ma nessuna restrizione potrà impedire ai racconti piccanti di passare sotto gli occhi del lettore più curioso: racconti che in prevalenza sono comici ed irrisori, poiché quelli che sono conosciuti come i “piaceri della carne” danno sempre vita a storie grottesche e paradossali.

Ma ora basta perdersi in inutili ciance (sarebbe meglio dire: “saltiamo i preliminari”) e immergiamoci tra i racconti piccanti più belli e divertenti di tutti i tempi.

Racconti piccanti, le nostre scelte

La canzone del gatto rosso – Guglielmo IX

A dare inizio alle danze è quello che in realtà non è neanche un racconto, ma un componimento poetico: La canzone del gatto rosso, di Guglielmo IX d’Acquitania.

Capostipite della lirica trobadorica, Guglielmo IX nei suoi componimenti ha fornito ai poeti provenzali tutto quel repertorio di codici e tematiche che faranno grande la loro poesia. Il conte di Poiters non ebbe però rapporti idilliaci con la chiesa, dato che ricevette due scomuniche ed era dedito ai piaceri carnali. Lo dimostra proprio questa canzone in cui Guglielmo si finge un pellegrino e si reca in Alvernia dove viene ospitato da Agnese ed Ermessenda, mogli di tali “Don Guarino” e “Don Bernardo”, che lo ospitano nella loro dimora.

Il poeta si finge muto e viene rifocillato a dovere, ma le due donne vogliono verificare che la sua mutezza sia vera e fanno entrare in scena il loro gatto domestico: un micione grosso, brutto e cattivo che viene buttato sulla schiena nuda del povero Guglielmo, graffiandolo a più non posso. Ma il nostro eroe riesce a non farsi scappare nemmeno un grido e le donne decidono di premiarlo concedendosi a lui.

Tanto le fottei come ora sentirete:/centottantotto volte,/per poco non mi ruppi le cinghia/e anche l’arnese […]. Il trionfante Guglielmo si gode un po’ di passione con le due amanti, approfittandone anche per vantarsi con i suoi amici e con i suoi lettori in un procedimento retorico che nella lirica trobadorica è conosciuto con il nome di gap (vanteria). Il ritratto perfetto di un personaggio irriverente e dotato, di certo l’ideale antenato del Rocco Siffredi nazionale.

La Badessa e le brache del prete – Giovanni Boccaccio

Già vedo le vostre facce appena leggerete la parola Decameron. Il titolo del capolavoro della novellistica italiana vi farà pensare alle noiose ore di letteratura italiana trascorse a scuola dove la vostra professoressa, più annoiata di voi, spiegava le novelle tra le più celebri: Griselda, Elisabetta da Messina, Andreuccio da Perugia, Federico degli Alberighi e il suo falcone. Ma se leggeste l’opera di Boccaccio oltre l’obbligo scolastico scoprireste un mondo di storie piccanti tra triangoli, mogli che cornificano i mariti e tante altre piccole gemme di racconti piccanti.

Tra tutte queste storie abbiamo scelto forse quella più assurda e spassosa di tutta la raccolta: la seconda della nona giornata, nota anche con il titolo de La Badessa e le brache del prete. Elissa, uno dei membri della “brigata dei narratori”, prende la parola e narra di quel che accadde in un monastero della Lombardia dove la giovane suora Isabetta si innamorò di un giovane e da questi venne ricambiata. I due si vedono di nascosto durante la notte e una sera decidono di darsi alla pazza gioia amoreggiando nella celletta della suora.

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Tuttavia le suore del convento colgono gli amanti in flagrante e decidono di riferire il fattaccio alla Badessa, solo che anche lei se la sta passando con un prete. Nella fretta la donna si riveste, ma invece del velo si mette in testa le brache del suo amante! La badessa rimprovera Isabetta per aver violato le regole del monastero e lei china lo sguardo. Allo stesso tempo però non può fare a meno di notare lo strano capo d’abbigliamento che la priora porta in testa e anche le altre suore notano l’anomalia. La donna alla fine ammette che non è possibile resistere alla lussuria e che ognuna, da quel momento in poi, sarebbe stata libera di portare nel monastero i propri amanti.

Il messaggio trasmesso dalla novella è semplice: reprimere i propri istinti è impossibile, un dogma che vale anche per gli ecclesiastici. Una chiara dimostrazione del concetto di amore fisico e carnale inteso dal Boccaccio e che Pier Paolo Pasolini riprenderà nella riduzione cinematografica del Decameron del 1971.

Il monaco che infilò il membro nel buco di una tavoletta – Poggio Bracciolini

Il nostro excursus all’interno dei racconti piccanti ci porta nel ‘400 di Poggio Bracciolini, autore fiorentino che tra il 1438 e il 1452 compone le novelle che verranno riunite nelle Facezie.

Come Boccaccio, anche Bracciolini non si fa scrupoli ad analizzare la sessualità più spinta che si insinua all’interno dell’ambiente clericale e questo ci porta alla novella numero 169. Vi si narra di un monaco del Picentino che si innamora di una fanciulla desiderando unirsi a lei. La giovane però teme che l’atto sessuale possa procurarle troppo dolore e il frate decide di perforare una tavoletta di legno e di interporla tra il suo membro e gli organi sessuali di lei.

I due arrivano così ad amoreggiare e il frate cerca il “tesoro” della fanciulla, ma mentre sul più bello la sua “freccia” si ingrandisce sempre di più (detto volgarmente: ha un’erezione), rimane incastrata nella tavoletta e inizia a fargli male. La ragazza allora va a prendere dell’acqua per curare il gonfiore, ma appena il frate sente che in casa sono arrivati i genitori di lei decide di svignarsela. Peccato che nella fretta tiri fuori il membro così forte che rimane scorticato. Egli è quindi costretto a chiamare un medico e così la storia si viene a sapere in un tutto il paese.

Tra i racconti piccanti è forse la storia più esplicita e divertente, come era tipico della novellistica di quel periodo.

Il pornosabato dello Splendor – Stefano Benni

Nemmeno in tempi attuali l’irresistibile spirito dei racconti piccanti si può contenere è lo dimostra uno dei racconti più assurdi, spassosi, geniali e spettacolari scritti da Stefano Benni all’interno della raccolta Il bar sotto il mare del 1987: Il pornosabato dello Splendor.

Nell’immaginario paesino di Sompazzo viene aperto il cinema Splendor, unico luogo di svago per gli annoiati paesani. La programmazione della sala prevede una rassegna di film a luci rosse il sesto giorno della settimana, che viene rinomato “pornosabato”. La serata naturalmente incontra l’apprezzamento degli uomini in sala, che godono nell’assistere ad una classica scena di sesso tra la moglie vogliosa e l’idraulico super dotato.

Tra urla di piacere, una madre che porta il figlioletto al cinema credendo erroneamente che venga proiettato Bambi e una galleria di altri personaggi bizzarri, l’akmé viene raggiunto nel finale quando il parroco del paese irrompe in sala per rimproverare le pecore del proprio gregge, ree di essersi abbandonate al peccato della lussuria. Ma tutto cambia quando il macchinista, invece del secondo tempo del film, proietta un cinegiornale con la vittoria di Fausto Coppi al giro d’Italia e il parroco, posseduto dagli spiriti della gioventù, si abbandona ad urla di incitamento verso il suo idolo e i paesani, divertiti, fanno proiettare in loop il cinegiornale.

Con la sua ironia sagace e il gusto per l’aneddoto, Stefano Benni scrive uno dei racconti erotici moderni più comici di tutti i tempi: un misto di sessualità esplicita e doppi sensi, come dimostra la frase che chiude il racconto: «Coppi è bestiale. Pensa, nel primo tempo scopa per un’ora di fila, poi salta in bicicletta e vince».

I racconti piccanti: una disamina finale 

I racconti piccanti, come abbiamo visto, sono un genere letterario tanto antico quanto l’umanità stessa e affondano le loro radici in un fertile terreno di trasgressione, satira e critica sociale. Ben distinti dalla pornografia, che si concentra primariamente sulla stimolazione sessuale, questi racconti utilizzano l’erotismo come strumento per esplorare le dinamiche del desiderio, le ipocrisie della società e le convenzioni morali. La loro storia è intrinsecamente legata alla censura, che nel corso dei secoli ha cercato di reprimere la libera espressione della sessualità, rendendo queste opere ancora più attraenti agli occhi di un pubblico desideroso di evasione e di libertà. Già nel Medioevo, in un’epoca dominata dal rigore morale della Chiesa, si possono rintracciare esempi di letteratura “leggera” che anticipano il genere. Il Libro delle cento novelle, una raccolta anonima del Trecento, pullula di storie che narrano di amori illeciti, inganni e situazioni equivoche, spesso con un tono umoristico e beffardo. Tuttavia, è con il Rinascimento che i racconti piccanti conoscono una vera e propria fioritura, grazie anche all’opera di autori come Pietro Aretino. Noto per la sua penna corrosiva e irriverente, Aretino diede vita a opere come i Sonetti lussuriosi e i Dialoghi, in cui non si risparmiano descrizioni esplicite di atti sessuali e satire pungenti contro il potere ecclesiastico e le ipocrisie della corte. La sua opera, spesso al limite della pornografia, rappresenta un esempio emblematico di come l’erotismo possa essere utilizzato come strumento di critica sociale e di contestazione del potere. Un altro gigante della letteratura rinascimentale che merita una menzione è François Rabelais, il cui capolavoro Gargantua e Pantagruele è un’esplosione di vitalità, umorismo grottesco e riferimenti espliciti al corpo e alle sue funzioni. L’opera di Rabelais, intrisa di spirito carnevalesco, celebra la gioia dei piaceri terreni e la libertà di espressione, in contrapposizione al rigore morale dell’epoca.

Con l’avvento dell’Illuminismo e del libertinismo nel XVIII secolo, la letteratura erotica conosce una nuova stagione di splendore. Il Marchese de Sade, con opere come Le 120 giornate di Sodoma, esplora gli aspetti più oscuri del desiderio, spingendosi fino ai confini del sadismo e della violenza sessuale. Sebbene le sue opere siano spesso più disturbanti che “piccanti” in senso stretto, esse rappresentano una tappa fondamentale nell’evoluzione del genere, aprendo la strada a una rappresentazione della sessualità più complessa e ambigua. Nel XX secolo, autori come Guillaume Apollinaire con Le undicimila verghe e Henry Miller con Tropico del Cancro continuano a esplorare i territori dell’erotismo con un linguaggio esplicito e uno stile innovativo. Tropico del Cancro, in particolare, suscitò scandalo al suo tempo per la sua rappresentazione cruda e senza filtri della vita sessuale e per l’uso di un linguaggio considerato volgare. Questi autori, pur con stili e intenti diversi, hanno contribuito a sdoganare la rappresentazione della sessualità nella letteratura, aprendo la strada a una maggiore libertà di espressione. È importante sottolineare come il concetto di “piacere” e la sua rappresentazione nella letteratura siano mutati nel corso dei secoli, riflettendo i cambiamenti sociali e culturali. Allo stesso modo, la dinamica tra il “beffatore” e il “beffato“, spesso presente nei racconti piccanti, offre uno spaccato interessante sulle relazioni di potere e sulle dinamiche sociali. In conclusione, i racconti piccanti non sono semplici storie di sesso, ma un prezioso termometro culturale che ci permette di comprendere l’evoluzione del gusto, della morale e della rappresentazione della sessualità nel corso della storia.

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A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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