La riforma dell’esercito romano: Caio Mario e la trasformazione della legione
La legione, unità fondamentale dell’esercito romano, era composta da cinque gruppi di soldati: gli hastati, armati di giavellotto; i principes, ovvero le truppe di rincalzo; i triarii, equipaggiati con armi per scontri ravvicinati; i velites, addetti alle azioni di disturbo e ai pattugliamenti; gli equites, ossia i cavalieri. Ciascun gruppo era arruolato sulla base del censo: soltanto chi disponeva di un reddito, per lo più derivante da proprietà terriere, aveva dunque la possibilità di accedere all’esercito.
Verso la fine del II secolo a.C., la Repubblica Romana stava attraversando un periodo di crisi. Le continue guerre avevano impoverito i piccoli proprietari terrieri, che costituivano la spina dorsale dell’esercito. Questo portò a una carenza di soldati e alla necessità di una riforma radicale. La riforma dell’esercito romano, che viene ricordata, fu portata avanti dalla figura di Caio Mario, segnando grandi cambiamenti per l’epoca.
L’esercito romano prima di Caio Mario: struttura e reclutamento
Prima della riforma di Caio Mario, l’esercito romano era basato sulla leva obbligatoria dei cittadini romani che possedevano un certo livello di ricchezza, determinato dal censo. Questo sistema, ereditato dall’età regia, creava una distinzione netta tra le diverse classi di soldati, ognuna con il suo equipaggiamento e ruolo specifico. I soldati dovevano provvedere al proprio armamento, il che significava che solo i più ricchi potevano permettersi l’equipaggiamento migliore.
Riforma dell’esercito romano di Caio Mario: un esercito di proletari
Caio Mario, militare e console nella Repubblica romana per ben cinque anni, intervenne proprio sulle modalità di reclutamento dei soldati. La sua riforma dell’esercito romano, una delle più significative della storia romana, aprì le file dell’esercito anche ai proletari, ossia a coloro che, pur non avendo un censo, ovvero un reddito fisso, decidevano volontariamente di svolgere la professione di soldato.
I capite censi: nuovi soldati per Roma
I proletari venivano chiamati capite censi, in quanto non venivano censiti in base alle ricchezze, che non possedevano, ma in base al loro caput, vale a dire la loro persona. In questo modo fu offerto alle classi rurali ormai decadute, ovvero ai piccoli proprietari che si erano impoveriti e avevano alienato la loro proprietà, un mezzo per riconquistare una certa stabilità economica e capacità politiche.
Conseguenze della riforma dell’esercito romano
L’esercito romano non era più una milizia temporanea di cittadini che, animati da un alto ideale, difendevano la loro patria dagli attacchi nemici, ma diveniva un gruppo di uomini che, trasformandosi in veri professionisti della guerra, trovavano finalmente un mezzo di sostentamento.
La nascita di un esercito professionista
Questa riforma ebbe conseguenze importantissime nella storia di Roma, soprattutto perché la creazione di una milizia professionistica e stabile condizionò anche il tipo di rapporto dei soldati con i loro generali.
Il legame tra soldati e generali
Le truppe dell’esercito romano si legavano molto strettamente al loro comandante, che prometteva, e in genere garantiva, grandi ricompense in caso di vittoria, come la distribuzione di terre. In questo modo si vennero a creare eserciti che rimanevano fedelissimi ai rispettivi generali e che potevano addirittura essere ereditati: Pompeo, per esempio, divenne il capo delle truppe italiche e spagnole che erano state comandate dal padre Pompeo Strabone; allo stesso modo, Ottaviano riuscì a vincere Antonio grazie all’aiuto dei veterani ereditati da Giulio Cesare. Questo sistema, con il tempo, contribuì alla crisi della Repubblica e all’ascesa del potere personale dei generali, aprendo la strada all’Impero.
L’organizzazione dell’esercito romano dopo la riforma
Il nuovo tipo di soldato creato da Mario con la sua riforma dell’esercito romano era, dunque, un proletario privo di fonti di reddito stabili, che trovava nella guerra una forma di sostentamento economico e perciò si legava in maniera estremamente salda al proprio generale, da cui dipendevano, in caso di vittoria, le conquiste di bottini di guerra.
Uniformazione dell’equipaggiamento
Dal punto di vista organizzativo e tecnico, la riforma di Mario comportò anche una uniformazione delle classi di soldati: l’equipaggiamento e l’armamento dell’esercito romano furono sostanzialmente equiparati, annullando anche quell’antica divisione tra hastati, principes, triarii e velites. Tutti i soldati divennero fanti armati pesantemente, dotati di gladio (spada corta), pilum (giavellotto) e scutum (scudo rettangolare).
La cavalleria, equites, assunse un ruolo più ausiliario, e spesso era composta da soldati provenienti da popolazioni alleate.
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