Rivoluzione scientifica: contesto storico e culturale
Tra la seconda metà del Cinquecento e la prima metà del Settecento la cultura europea visse un’epoca di radicale cambiamento denominato rivoluzione scientifica. Gli estremi temporali di tale fenomeno vengono convenzionalmente fissati tra la data di pubblicazione del capolavoro di Niccolò Copernico, De revolutionibus orbium coelestium, e quella dell’opera di Isaac Newton, Philosophiae naturalis principia mathematica. Nei quasi 150 anni che intercorsero tra le due pubblicazioni il pensiero europeo conobbe trasformazioni così profonde da modificare totalmente l’insieme delle conoscenze su cui si era basato fino ad allora. La rivoluzione scientifica fu preparata e favorita dal particolare contesto storico-sociale che caratterizzò l’inizio dell’età moderna.
Nel corso del Cinquecento si assistette a un forte incremento demografico e a un parallelo sviluppo delle attività economiche. La formazione degli Stati nazionali, inoltre, comportò la creazione di complesse strutture organizzative che richiedevano nuovi e più efficaci strumenti di tipo militare, burocratico, economico. Le monarchie europee dovettero far fronte all’esigenza di armare eserciti sempre più potenti, ampliare e arricchire città estese e affollate, creare nuove vie di comunicazione, migliorare i mezzi di trasporto, costruire navi in grado di attraversare gli oceani in cerca di terre da colonizzare, bonificare territori agricoli e razionalizzarne lo sfruttamento. D’altra parte, i ricchi ceti mercantili emergenti cominciarono a sollecitare la creazione di nuovi strumenti e prodotti in grado di facilitare e migliorare l’esistenza quotidiana. Queste circostanze stimolarono sia la produzione tecnica sia la ricerca scientifica, contribuendo a saldare sempre più gli ambiti del sapere pratico e di quello teorico: i tecnici e gli artigiani, infatti, cercarono il supporto degli scienziati, in grado di fornire loro nozioni matematico-fisiche indispensabili a rispondere alle nuove e più complesse richieste; al tempo stesso gli scienziati sempre più spesso fecero ricorso a tecnici e artigiani per procurarsi innovativi strumenti di misurazione e di osservazione e acquisire abilità empiriche. In questo modo si posero le basi di quella feconda collaborazione tra scienza e tecnica che costituisce uno dei tratti tipici della civiltà occidentale moderna. Se questo fu il contesto storico-sociale della rivoluzione in ambito scientifico, le sue radici ideali e intellettuali affondano nella cultura rinascimentale. Nel Rinascimento furono riscoperte e tradotte opere scientifiche e filosofiche dell’antichità, come quelle dei pitagorici, degli atomisti e di Democrito, che favorirono il diffondersi di una visione materialistica e meccanicistica della realtà naturale, spogliata da elementi teologici e metafisici. Soprattutto, però, nel Rinascimento si inaugurò un atteggiamento critico nei confronti del principio di autorità: il sapere tramandato da secoli nei libri dei filosofi più autorevoli e nelle Sacre Scritture comincio a essere messo in discussione in nome dell’autonomia della ragione e della libertà della ricerca intellettuale. Fu questo il terreno culturale in cui germogliò la scienza moderna.
Gli aspetti fondamentali della nuova visione del mondo
I protagonisti della rivoluzione scientifica del Seicento ereditarono i valori rinascimentali sviluppandone le implicazioni razionali e metodologiche. Ciò che cambiò fu innanzitutto il modo di concepire la natura. Fin dall’antichità quest’ultima era stata considerata in termini antropomorfici, con l’attribuzione di qualità e finalità umane: la caduta di un corpo verso il basso, ad esempio, nella prospettiva aristotelica era spiegata come il desiderio proprio di quel corpo di raggiungere il suo luogo naturale. Con l’avvento della nuova mentalità la natura venne considerata nei suoi aspetti materiali e quantificabili, come un ordine oggettivo, regolato da una rigida causalità che poteva essere conosciuta attraverso le leggi della matematica. A tale prospettiva corrispose una diversa visione dell’impresa conoscitiva. La scienza adottò infatti un metodo matematico-sperimentale basato sull’osservazione diretta delle cose e sulla verifica empirica delle ipotesi. La misurazione dei dati dell’osservazione, condotta con strumenti tecnici innovativi, consentì di esaminare per la prima volta i fenomeni con precisione rigorosa, conferendo ai risultati della ricerca esattezza e oggettività.
La nuova scienza poté così elaborare leggi universali verificabili da parte della comunità degli studiosi. Ne derivò una nuova idea di verità, radicalmente contrapposta agli schemi dogmatici della teologia medievale e di cui possiamo fissare tre caratteri principali. In primo luogo, la verità doveva scaturire dalla ricerca e dalla discussione tra uomini di cultura, liberamente dediti allo studio della natura nelle sue tante espressioni. Nel Seicento gli scienziati adottarono l’abitudine di confrontarsi sugli obiettivi e sui risultati delle loro indagini, attraverso scambi epistolari, nell’ambito di gruppi informali o istituzionalizzati, come le accademie. In secondo luogo, la verità doveva essere sempre revocabile in dubbio, non appena altre evidenze conoscitive si fossero affermate come più convincenti; in altre parole, nella nuova prospettiva scientifica nessuna ipotesi aveva valore definitivo, ma ognuna poteva essere confutata sulla base di nuovi dati sperimentali. In terzo luogo, occorreva ammettere una pluralità di concezioni, ciascuna legittima, senza che nessuna di esse fosse imposta come l’unica.
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