La parola sanscrito significa perfezionato. Già dalla sua etimologia è possibile ricavare indizi sulla storia e le curiosità che caratterizzano questa lingua, antichissima ma ancora oggetto di studio e interesse.
La prima definizione che solitamente si attribuisce alla lingua sanscrita è quella di “lingua più antica del mondo”. In effetti il sanscrito, appartenente alla famiglia linguistica indoeuropea, era parlato nel subcontinente indiano già dal X secolo a.C, periodo a cui risalgono le sue prime attestazioni. È considerata origine di moltissime lingue moderne parlate in India, nonché “lingua perfetta”.
Se dovessimo paragonare il sanscrito a un’altra lingua, la sola cui potremmo accostarlo sarebbe il latino. Il ruolo svolto soprattutto in relazione alle altre lingue è il medesimo. Il sanscrito classico non apparteneva all’uso quotidiano ma veniva impiegato quasi esclusivamente dalle caste elitarie e in ogni forma letteraria, anche religiosa.
Il mistero che aleggia intorno al sanscrito deriva in gran parte dalla stupefacente complessità del suo sistema linguistico: otto i casi, verbi con diverse diatesi, elevata capacità di costituire parole composte. Anche la sofisticatezza della sintassi e della grammatica di questa lingua ha contribuito a rendere il sanscrito particolarmente conservativo. Per secoli è stato considerato da linguisti e studiosi di diverse discipline punto di riferimento per comprendere la storia e l’evoluzione delle lingue indoeuropee. Soprattutto la fonetica ha ricercato l’origine di molti fenomeni linguistici fonetici nella lingua sanscrita, la quale, tra l’altro, presenta frequente radici greche.
L’interesse di linguisti e studiosi da tutto il mondo per il sanscrito
Una delle prime tesi che riconduceva alla lingua sanscrita allo stesso ceppo delle lingue germaniche e di quelle classiche, sempre con lo scopo di studiare la loro genealogia, fu quella presentata da William Jones della East India Company alla Royal Asiatic Society di Calcutta. Il suo lavoro spalancò le strade all’interesse verso il sanscrito da parte di linguisti di tutto il mondo, che svolsero intensi e lunghi lavori di comparazione del sistema di radici della lingua sanscrita con il sistema di radici delle lingue latino e greco. Ancor prima dell’intuizione di Jones, Filippo Sassetti aveva individuato e riportato in certe lettere personali somiglianze evidenti tra parole sanscrite e parole greche o latine. Anche sulla base di queste osservazioni preliminari, poi sviluppate da studi di linguistica mirati a riflettere tradizioni e trasformazioni della lingua e della storia d’Europa e d’Oriente, alcuni linguisti hanno ipotizzato che il sanscrito potesse essere lingua madre innanzitutto del latino e del greco, e di conseguenza anche di tutte le lingue da essi derivate. Al celebre linguista Wilhelm August von Schlegel spetta il merito di aver avviato lo studio del sanscrito in Germania. La prima grammatica di questa lingua, invece, è da ricondurre al lavoro del missionario Paolino da San Bartolomeo.
Lingua sanscrita: lingua morta, ma vivissima nella sensibilità contemporanea
Il sanscrito è da catalogare tra le lingue morte, non essendo parlata da nessun popolo vivente. Descritto anche come l’idioma perfetto, la sua grammatica è in grado di analizzare ogni meccanismo linguistico. Ma questa completezza non nuoce alla sua produttività: essa appare in effetti inesauribile, così come una significativa capacità di generare nuove parole e quindi di adattarsi al mutare della cultura, senza però mutare la propria struttura profonda. Panini, grammatico indiano del V secolo a.C, è reputato il più antico codificatore della lingua sanscrita. Anche grazie a lui sappiamo che esso non è da annoverare tra le lingue naturali, ma piuttosto tra le grammaticali, lingua di cultura e di potere in cui venivano stesi i testi classici religiosi, in particolare i Veda, antichissimi testi indiani vergati dalla casta sacerdotale dei brahmani specialmente in India settentrionale. Oggi si tende a distinguere il sanscrito classico da quello definito sanscrito vedico.
Prima vera lingua a essere parlata dagli uomini, come molte teorie sostengono, il sanscrito non ha mai cessato di esercitare fascino e mistero. Nel 1985 fu dichiarato perfettamente adatto al linguaggio informatico e tecnologico. Il suo lessico continua a permeare quello dello yoga, e quindi a risultare vivo e affascinante nella sensibilità contemporanea, intriso di tutte le suggestioni tipicamente indiane. Per fare qualche esempio, la parola sanscrita om dovrebbe rievocare il suono dell’intero universo, e il saluto indiano ormai notissimo namasté, traducibile in “la luce divina che c’è in me saluta la luce divina che c’è in te”, presenta radici sanscrite.
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