Sei Shōnagon: brevi cenni sulla vita
Della vita di Sei Shōnagon non si sa molto. Nata presumibilmente nel 966, fu figlia di Kiyohara no Motosuke, noto poeta e compilatore della seconda antologia imperiale (raccolte di poesie commissionate dagli imperatori giapponesi, in tutto ne sono state compilate 21). Ciò fa immediatamente comprendere che visse in un ambiente culturale piuttosto vivace, da cui ereditò l’amore per i classici ed un certo gusto per l’eleganza. Fu una dama di compagnia al servizio dell’imperatrice consorte Teishi dal 993 al 1000 circa, negli stessi anni in cui un’altra personalità di spicco nella storia della prima letteratura giapponese, Murasaki Shikibu, serviva, sempre come dama di compagnia, la seconda imperatrice, Shōshi. Questo elemento sta alla base della presunta e antichissima rivalità tra le due donne. È importante sottolineare che le due figure più ricordate del periodo classico della letteratura giapponese siano donne, avendo prodotto capolavori che avrebbe dato seguito a tutta una produzione successiva. Tuttavia, per quanto i lettori a loro contemporanei leggessero e conoscessero bene le loro opere, la consapevolezza della grandezza di questi scritti arriverà solo dopo molto tempo. Ciò non toglie che per quanto riguarda il periodo della prima letteratura giapponese, in lingua giapponese, si può parlare di un fenomeno squisitamente al femminile.
Note del Guanciale (Makura no Sōshi)
Sei Shōnagon è ricordata per essere l’autrice del famoso “Makura no Sōshi”( 枕草子), in italiano “Note del Guanciale”. Il titolo è spiegato nell’ultima nota, la numero 317.
«La carta su cui sono state scritte l’aveva portata all’Imperatrice il principe Korechika. Sua Maestà aveva detto: “Cosa vi scriveremo? […] Allora io esclamai: “Andrebbe bene per un guanciale!”. Sua Maestà aveva approvato, donandomi quei fogli. Erano numerosissimi, e io, per riempirli tutti, ho finito per lo scrivere moltissime cose bizzarre, che possono persino sembrare insulse.»
Ella, quindi, suggerisce all’Imperatore Korechika di usare i fogli da lui offerti all’Imperatrice per scrivere note da usare come guanciale. La critica sostiene che ella riprenda, probabilmente, i versi di un funzionario cinese, Po Chu I, che usava i propri scritti come guanciale su cui dormire. Perché dovrebbe essere rilevante questa nota? La ripresa di topoi e motivi appartenenti al mondo cinese, così come la stessa conoscenza della lingua, erano espressione di grande cultura. Sebbene alle donne fosse interdetto ufficialmente lo studio dei classici cinesi, spesso riuscivano ad entrarvi a contatto, attraverso parenti: sia nel caso di Sei Shōnagon, che in quello di Murasaki Shikibu, la figura paterna ha giocato un ruolo importante.
Il Genere
Perché abbiamo parlato di note? Quest’opera appartiene ad un genere che ha trovato largo successo nella letteratura classica: lo “zuihitsu” (随筆), col significato meno letterale di “seguire il pennello” / “lasciarsi trasportare dal tratto del pennello”. Così come suggerisce l’espressione, si tratta di raccolte di piccoli saggi o note dal contenuto e lunghezza vari, tuttavia ben lungi dal considerarlo un flusso diaristico. Nonostante i pensieri di Sei Shōnagon si susseguano con un andamento che potremmo definire naturale, la raccolta consta di elementi codificati ben precisi: si parla di fatti realmente accaduti, storie che l’autrice ha sentito (“kakigaki”), elenchi di categorie di cose (“monowa”, la cui tradizione è molto florida in letteratura), cose che descrivono stati d’animo (“monozukushi”), dalla grande attualità.
È rientrato ben presto nel canone della letteratura giapponese perché restituisce non solo la dimensione emotiva delle persone che vorticavano attorno alla corte, ma rappresenta anche un chiaro quadro di cosa sia l’estetica giapponese. A tal proposito, Yukio Mishima, uno degli autori più rappresentativi del Novecento giapponese, scrive che le prime righe con cui si apre quest’opera potrebbero essere citate a memoria da ogni giapponese. Potremmo assimilarlo al nostro «Nel mezzo del cammin di nostra vita…» oppure «Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno…»; è a tutti gli effetti facente parte della categoria di opere che si approcciano come obbligatorie negli studi scolastici.
Egli continua: «In questa scelta, in cui lo spirito di Sei Shōnagon isola, nel fluire dell’esistenza umana, un attimo, uno stato d’animo, e poi lo combina con immagini di raffinata sensibilità estetica, consiste l’incomparabile bellezza del mondo di questa donna incomparabile.» In questo breve commento, al di là dell’influenza che questo classico ha lasciato all’autore e uomo Mishima – per tutta la vita, fino alla sua morte, egli si occuperà della ricerca della bellezza – comprendiamo l’abilità della donna di uniformare le proprie emozioni, che sono le emozioni di tutti gli umani, in fondo, con l’ideale estetico di gusto ed eleganza tipicamente giapponesi.
«L’aurora a primavera: si rischiara il cielo sulle cime delle montagne, sempre più luminoso, e nuvole rosa si accavallano snelle e leggere. D’estate la notte: naturalmente al chiaro di luna; […] Il tramonto in autunno: malinconico quando i raggi del sole calano obliqui dalla vetta dietro cui tramonta […]. D’inverno, il primo mattino: bellissimo, inutile dirlo, quando cade la neve.» (nota 1)
Questo inizio, di cui ci parla Mishima, presenta la classica scansione stagionale che, oltre a restituire una forte impronta estetica, costituiva un artificio utilizzato per conferire autorevolezza allo scritto, seguendo perfettamente le direttive della letteratura precedente.
Tutto ciò si ricollega alla funzione e alla destinazione di Note del Guanciale. Nell’ultima parte (nota 317), ella aggiunge che le sue note non erano destinate alla lettura di un pubblico terzo perché, d’altronde, «nessuno le avrebbe lette», e che era stata spinta a scrivere da mera noia. Tuttavia, vista la conformazione dello scritto, possiamo immaginare si tratti di una vera e propria fictio narrativa. Indirizzata ad un’audience ristretta – quella della corte imperiale, la quale poteva vantare un’erudizione tale che, l’ideale estetico da ella espresso, risultasse quanto mai familiare – non si può escludere la componente intrattenitiva. Inoltre, in forza della cultura sfoggiata, evidenziamo uno scopo didattico, nel momento in cui assume su di sé l’onere di insegnare quali sono le vette più evocative, le caratteristiche piacevoli delle varie stagioni, o le cose più disdicevoli, ad esempio. A riprova di quanto detto, la maggior parte degli scritti si concentra sull’educazione delle giovani aristocratiche.
Il contenuto dell’opera di Sei Shōnagon
Emerge una prosa veloce, arguta, espressione della personalità forte dell’autrice, sicura della propria educazione, cosa che, come è lecito supporre per una scrittrice donna di fine X secolo, ha suscitato non poche critiche da parte dei suoi contemporanei, immersi in un contesto eminentemente buddhista, di matrice patriarcale. Dei tratti, questi, che molto si distinguono dalla delicatezza delle donne Heian, descritte da Murasaki Shikibu nel suo Genji Monogatari. Non manca, però, un certo gusto per l’armonia e la dolcezza.
Perché parliamo dell’attualità dei monozukushi? I monozukushi (物尽くし) sono delle sezioni che hanno come focus gli stati d’animo dell’autore e, nel caso di quest’opera, la particolare attitudine del sentire della scrittrice è espressione di un sentire collettivo, che un qualsiasi lettore, al di là del tempo e dello spazio, potrebbe comprendere. Ciò la rende, non solo apprezzabile in ogni circostanza, grazie all’aspetto ampiamente attuale dei suoi pensieri, ma la chiara universalità dei temi fa in modo che rientri, senza alcuna forzatura, tra i classici della letteratura mondiale, non solo giapponese.
Ne è un esempio la nota 29 “Cose che fanno palpitare il cuore”: « […] Lavarsi la testa, truccarsi, indossare vesti di seta profumate d’incenso; anche se nessuno ci vede, il nostro cuore gioisce per una tale situazione di agio e armonia» oppure la nota 28, in cui tra le “Cose odiose” sono annoverate «le zanzare che, quando cerchiamo di dormire, ci ronzano, con un sibilo flebile e bramoso, intorno al viso», tra le “Situazioni imbarazzanti“, nota 127, invece, troviamo nell’incipit «Uscire per vedere chi ci chiama e constatare che non cercano noi».
Al di là del lessico ricercato e di alcuni motivi tipici del tempo in cui scrive Sei Shōnagon, questi brevi stralci permettono facilmente di entrare in empatia con l’autrice. Il rivedersi nella scrittura di un altro essere umano, non è, forse, tra i motivi per cui la lettura è ancora così vitale?
Fonte foto in evidenza: Wikipedia
Fonte traduzione passi: Sei Shōnagon, Note del Guanciale, a cura di Lydia Origlia, SE Edizioni