Perché divinità e spiriti risiedono e irradiano energia palpabile dai sacri shinboku giapponesi? Cosa li distingue dagli alberi comuni?
Il popolo giapponese è ben noto per il suo apprezzamento estetico verso la natura e gli alberi, specialmente durante l’hanami primaverile e l’ammirazione dei caldi colori autunnali degli aceri e dei ginkgo, ma non solo: i giapponesi sono comunemente rinomati per i loro giardini zen formali e curati, così come per la creazione dei bonsai.
Eppure la maggior parte delle persone non pensa alle foreste quando pensa al paese del Sol Levante, sebbene attualmente oltre il 60% del territorio giapponese sia ricoperto da selve incontaminate.
Cosa sono gli shinboku e cosa li distingue dagli alberi comuni?
Gli shinboku si distinguono per via delle loro dimensioni imponenti, la loro età venerabile e la loro magnificenza; qualità che incutono meraviglia a chiunque si trovi in loro presenza. Alcuni shinboku si trovano da soli o in una foresta, mentre altri fanno parte di un santuario shintoista o di un tempio buddista. Alcuni di questi sono stati persino designati come monumenti nazionali.
Quando si afferma che i giapponesi adorano i loro alberi, in realtà, si fa riferimento all’antica e moderna pratica di venerazione dei kami: entità separate dall’albero stesso (e probabilmente separate anche dallo spirito dell’albero).
Chi è così potente: l’albero stesso, lo spirito dell’albero o il kami che si percepisce?
Questo tipo di incontro misterioso con esseri più che umani, percepito attraverso i sensi, è caratteristico dello shintoismo, una religione talvolta definita come religione intuitiva, la cui essenza può essere compresa solo sperimentalmente e, presumibilmente, non completamente comprensibile a noi occidentali.
Negli ultimi anni tuttavia, alcuni shinboku sono stati identificati come punti di potere sulla Terra: luoghi in cui le persone cercano energia che facilita il ringiovanimento, la purificazione e la guarigione. Questa è una reincarnazione moderna del fenomeno energetico degli alberi, piuttosto che un’antica pratica shintoista e viene vissuta in modo diverso rispetto alla venerazione dei kami ospitati dagli shinboku.
Dove si trovano gli shinboku?
Tanto tempo fa, culturalmente ed ecologicamente è stata fatta una distinzione tra due tipi di foreste:
- Foreste satoyama: foreste che le persone utilizzano per soddisfare i propri bisogni di base come procurarsi della legna da ardere o per altri usi pratici per guadagnarsi da vivere.
- Foreste okuyama: foreste sacre a cui le persone portano rispetto, sono i luoghi in cui risiedono gli spiriti degli antenati e le divinità.
Naturalmente, gli shinboku si trovano nelle foreste okuyama.
Ai margini di queste foreste venivano costruiti piccoli santuari, ma col tempo e con la graduale aggiunta di altri edifici religiosi nella stessa area di territorio considerata sacra, molti sono diventati oggi grandi complessi di santuari.
Mentre venivano costruiti dei santuari per onorare i kami delle foreste, molti riservarono aree di foreste sacre designate (kannabi o chinju no mori): foreste che continuano a essere considerate dei santuari stessi fino ad oggi, sia ecologicamente che spiritualmente.
Esiste poi un’altra tipologia di foresta, come la foresta nazionale Akasawa (luogo di nascita dello shinrinyoku) nella prefettura di Nagano, in cui non vi si trovano shinboku e santuari shintoisti, ma alberi destinati alla coltivazione e taglio rituale per gli edifici sacrali.
Oltre agli hinoki, più di tredici specie di alberi svolgono funzioni sacre nei rituali, nel simbolismo e nell’architettura shintoista e buddista giapponese.
Il ruolo degli alberi shinboku nella religione autoctona shintoista
Gli alberi sono parte integrante della cultura tradizionale e del paesaggio sacro del Giappone, collegando il mondo dei kami alla terra e alle persone. Si dice che quando i kami scendano sulla terra dal cielo, non potendo rimanere nel loro stato naturale, vengono facilitati dagli alberi sacri che agiscono come mezzo, dando all’essenza spirituale dei kami un luogo dove esistere nel regno umano.
L’importanza di questi kami che vivono negli alberi si stabilisce dal principio nell’antico Kojiki (Un Racconto di Antichi Eventi), dove si racconta della leggenda dei fratelli (o coppia) fondatori del Giappone, Izanagi e Izanami.
«I due diedero alla luce centinaia di migliaia di bambini-divinità, ma il loro secondogenito era il kami degli alberi».
Nello shintoismo gli alberi vengono sacralizzati in diversi modi:
- Alberi come antenne spirituali: in Giappone, tutti gli alberi sono visti come antenne per il mondo spirituale. In diversi contesti spirituali infatti, le preghiere vengono legate direttamente ai rami di un albero, diventando portatori (o trasmettitori) di messaggi dagli umani per il regno divino.
- Alberi come purificazione: in passato, se per qualche ragione l’acqua pura della temizuya mancava presso il santuario, le persone utilizzavano le foglie verdi degli alberi per pulirsi le mani oppure semplici oggetti ricavati dalla corteccia di cipresso o di cedro per purificarsi prima di rivolgersi alla divinità dell’hoden.
- Alberi come offerte: i rami dell’albero sakaki, chiamati tamagushi, vengono utilizzati sugli altari e nei rituali come offerta ai kami.
- Alberi come metafore dell’anima: si dice che lo spirito di ogni persona (e di ogni kami) sia composto da quattro parti: forma/natura legnosa (aramitami); linfa/resina (nigimitami); organi rigenerativi come fiori e frutti (sachimitami) e infine, la vitalità della crescita dell’albero che esprime il carattere (kushimitami).
- Alberi come santuari: alcuni alberi sono santuari in sé. Un sacerdote shintoista può riconoscere un albero molto antico, di grandi dimensioni o dalla forma insolita, e riconoscere l’essenza di un kami ospitata al suo interno, ma può anche eseguire un rituale affinché il kami vi risieda come in una casa, offrendo un luogo dove gli esseri umani possano onorare e chiedere la propria purificazione o soddisfazione dei propri desideri.
Gli shinboku sono riconoscibili e onorati attraverso elementi visivi e rituali:
- Torii: un portale che simboleggia l’ingresso a qualcosa di sacro, come un luogo, un santuario o un albero. Tradizionalmente è fatto di legno (ma oggi può essere anche di metallo o cemento) e dipinto di rosso (colore tipico dello shintoismo) per scacciare il male.
Nei pressi di un’area sacra possono incontrarsi più torii: uno per indicare l’ingresso al sentiero che conduce al santuario e un altro che conduce all’albero shinboku.
Il torii non è solamente un passaggio per gli esseri umani, ma è anche il sentiero percorso dal kami. Ricordando questo, i fedeli dovrebbero attraversare il portale in maniera decentrata (su di un lato) per permettere alla divinità di passare liberamente, lasciando rispettosamente uno spazio per il suo passaggio.
- Shimenawa: una corda spesso fatta di paglia di riso e decorata con lo shide (strisce di carta piegate a zigzag) legata attorno al tronco dell’albero. Gli shimenawa sono utilizzati anche intorno ad altri oggetti considerati sacri come statue, torii, grandi rocce – riconosciute come uno dei numerosi oggetti sacri in cui i kami potrebbero risiedere che prendono il nome di shintai o hoden – e persino agli ingressi dei santuari per indicare la presenza dei kami.
- Saisenbako: una scatola per le offerte in denaro messa a disposizione dal santuario, in cui i fedeli gettano le monete per offrirle ai kami del santuario e/o dell’albero shinboku adiacente. Vicino o sopra di essa, si lasciano offerte di riso o bottiglie di sakè.
- Temizuya: una fonte d’acqua e una bacinella per pulire mani e bocca prima di entrare in un’area sacra. Questi elementi di purificazione rituale sono comunemente posizionati nei pressi dei santuari, ma alcuni alberi possiedono i loro temizuya personale.
- Kannushi: sacerdoti shintoisti o membri della comunità che si prendono cura degli alberi venerati. Alcuni shinboku nei complessi di santuari più grandi sono molto ben curati, mentre altri, meno visitati, potrebbero apparire leggermente trascurati.
- Kodama: sono gli spiriti invisibili della foresta, parte integrante della cultura mitologica folkloristica giapponese. Si dice che questi spiriti o folletti degli alberi possiedano poteri soprannaturali che proteggono case e villaggi. Sebbene invisibili, possono manifestarsi spontaneamente come sfere di luce o piccole fate che appaiono e scompaiono.
Nessuno sa quale sia il vero aspetto di questi spiritelli; tuttavia, possiamo vederli rappresentati dal grande Miyazaki nel film d’animazione La Principessa Mononoke.
Cosa rende questi antichi alberi così culturalmente significativi e spiritualmente potenti?
La sensazione è che questi shinboku esistano perché questi alberi (rocce, ecc.) sono attivati o energicamente potenti grazie al fatto che gli esseri umani li hanno pregati, adorati e onorati per centinaia, talvolta migliaia, di anni. Esiste quindi uno scambio energetico tra la divinità o lo spirito e l’essere umano.
Questo fenomeno è familiare in molti oggetti sacri e rituali di diverse culture, come strumenti sciamanici, maschere o statue religiose imbevute di potere che sono state adorate nel tempo. Allo stesso modo, quando questi oggetti vengono ignorati perdono la loro carica energetica.
I kami che risiedono in questi alberi non hanno motivo di nascondersi o proteggersi dall’incredulità o dalla persecuzione e più gli esseri umani scambiano energia con loro, più forte diventa il loro potere.
Come mai si percepisce una differenza di energia tra l’albero, lo spirito dell’albero e il kami o ,forse, anche il kodama?
Probabilmente esistono davvero diverse energie della forza vitale che convivono all’interno dello stesso albero. Oppure, la differenza in queste energie potrebbe non avere importanza poiché la visione est-asiatica della natura e dell’uomo si basa su una relazione di unità e, nello shintoismo in particolare, esiste una relazione tripartita tra kami, esseri umani e natura, senza una chiara distinzione. Infatti, i giapponesi non avevano ancora una parola per natura fin quando non entrarono in contatto con l’occidente nel 1900 e la cultura scientifica europea si fece largo in Giappone.
Lo stesso vale probabilmente per gli indigeni nativi americani che non facevano una distinzione linguistica tra la natura selvaggia e la loro casa o la vita stessa.
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