Sibilla Aleramo, pseudonimo di Marta Felicina Faccio, è annoverata tra le autrici più significative del Novecento italiano, ed è la prima scrittrice femminista italiana.
Artista scandalosa, dalla cui penna irriverente nasce il romanzo intitolato Una donna, nel quale celebra la propria rinascita e analizza la propria esistenza, sino ad arrivare alla decisione di abbandonare il figlio pur di affermarsi in quanto donna e scrittrice.
Il romanzo potrebbe intendersi come un esercizio di autoanalisi in cui il peggior giudice di se stessa è proprio Sibilla, la quale riflette sulle possibilità colte e perdute e sulla vita che sarebbe potuta essere e che invece aveva consapevolmente direzionato verso rotte differenti, pur di non rinunciare alla libertà del proprio Io. Protagonista indiscusso dell’opera è il Femminismo, realtà anticipata dall’Aleramo, in un paese come l’Italia soffocato dal patriarcato e dalle costrizioni irragionevoli poste alle donne nel 1906, anno di pubblicazione del testo che simboleggia la nascita di una ribellione viscerale. La stessa genera nell’opinione pubblica dell’epoca reazioni che restano in bilico tra l’indignazione e il becero scandalo e che procureranno non poche critiche alla scrittrice, la quale mette in discussione attraverso episodi tragici e dolorosi della propria esistenza, uno dei capisaldi del mondo femminile: la maternità.
La giovane Sibilla menziona lo stupro subìto da uno degli operai della fabbrica di cui il padre era direttore e viene costretta a sposare il suo stupratore, dal quale avrà pochi mesi dopo il figlio Walter, profondamente amato seppure frutto di una tremenda violenza. Sposata ad un uomo burbero, ignorante e rozzo, Sibilla Aleramo si sente in trappola e vede le redini della propria esistenza nelle mani luride di colui a cui doveva riconoscere forzatamente l’appellativo di marito, il quale percepiva i primi spiragli di diritti femminili come una personale minaccia. Dunque, con estremo coraggio, Sibilla decide di abbandonare il figlio ed il marito per ricostruire il proprio futuro e sottrarsi alla vita domestica improntata alla totale sottomissione e al controllo morboso a cui una “brava” moglie doveva docilmente sottoporsi senza troppe moine.
Un ruolo chiave nella vita (e nel romanzo) della scrittrice è rappresentato dal padre, un uomo apparentemente colto e progressista che si rivela un traditore: scoperta che sconvolge il mondo di Sibilla, la quale afferma: «io avevo bisogno di ammirare innanzi di amare»; la madre, donna che accetta di buon grado il proprio ruolo di moglie senza obiezione alcuna, pur di non turbare il precario equilibrio della famiglia e creare conseguentemente uno scandalo, la quale sopporta l’indifferenza del marito fino alla follia. Infine, consideriamo ancora una volta il marito stupratore, che rappresenta perfettamente il ruolo del marito padrone, che si impossessa della vita di Sibilla Aleramo quando quest’ultima non è altro che una ragazzina di 15 anni, che a sua volta si convince, complice l’esempio materno, di essere ormai di proprietà del suo aguzzino.
«Accettando l’unione con un essere che m’aveva oppressa e gettata a terra, piccola e senza difesa, avevo creduto di ubbidire alla natura, al mio destino di donna che m’imponesse di riconoscere la mia impotenza a camminar sola.»
La rinascita
La scelta coraggiosa e prematura per i tempi di abbandonare il figlio e il marito concede a Sibilla di liberarsi da una condizione di scacco nella quale è finita, come lei stessa afferma, perché assuefatta all’idea ampiamente diffusa della donna obbediente e remissiva, la cui esistenza non ha peso alcuno. Questa liberazione comporta una sofferenza necessaria: rinunciare alla maternità. Ciò al fine di fornire un insegnamento fondamentale al figlio Walter: la forza di affrancarsi da situazioni in cui sono del tutto assenti la dignità e il rispetto, per poter progredire come padroni di se stessi e del proprio futuro.
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