Sulpicia è stata una donna romana del I secolo a.c., proveniente da una famiglia nobile e l’unica poetessa della sua epoca di cui si siano conservati alcuni componimenti. Di Sulpicia sappiamo che era figlia di un famoso oratore, Servio Sulpicio Rufo, e nipote di Marco Valerio Messalla Corvino (il fratello della madre), attorno al quale si raccoglievano i maggiori intellettuali dell’epoca, tra cui poeti come Ovidio e Tibullo ed è a quest’ultimo a cui sono stati per lungo tempo (e talvolta ancora oggi) attribuiti i versi della poetessa.
Sulpicia scrisse poesie che riguardano un amore proibito: quello tra lei ed un certo Cerinto. La relazione tra i due giovani non è ben vista dallo zio di lei, Messalla, che molto probabilmente non approvava Cerinto poiché di rango sociale inferiore a Sulpicia (il suo letto è “ignoto”, usando le parole della poetessa).
Una delle poesie di Sulpicia recita:
È giunto amore finalmente. Nasconderlo
sarebbe vergogna più grave che svelarlo.
Commossa dai miei versi, Venere lo portò a me,
tra le mie braccia, compì la sua promessa. I miei peccati
li narri chi si dirà non ebbe i suoi.
Io quasi non vorrei neppure scriverli:
prima di lui, temo li legga un altro.
Ma giova aver peccato. Mi disturba
atteggiare il mio volto alla virtù.
Si dirà che son degna di lui, e lui di me.
(da Eva Cantarella, Dammi mille baci)
Altre delle poesie trattano dei timori della ragazza riguardo ad una possibile indifferenza di Cerinto nei suoi confronti (Non sei in pena per la tua ragazza, Cerinto, perché la febbre tormenta il corpo stanco?), esortazioni rivolte allo zio di non intralciare la storia d’amore dei due giovani (Suvvia Messalla, non preoccuparti per me) o ancora rimproveri della poetessa verso se stessa, per la propria mancanza di coraggio nel mostrare il proprio amore verso di lui (Ch’io non sia più, luce mia, il tuo folle amore come credo d’essere stata ultimamente se, stolta, nella mia gioventù ho commesso una colpa di cui confesso di pentirmi di più che di averti lasciato solo, la notte scorsa, sperando di nascondere il mio ardore).
L’immagine di Sulpicia che viene fuori dai suoi versi è quella di una ragazza innamorata che freme di passione, a volte timida, a volte intraprendente e relativamente indipendente per il periodo storico al quale appartiene.
Messalla, sebbene si fosse mostrato in un primo momento completamente opposto all’amore della nipote e di Cerinto, sembra in seguito aver concesso alla ragazza più libertà; tuttavia, non sappiamo come finisce la storia dei due innamorati poiché solo quaranta versi della poetessa furono conservati e per molto tempo furono considerati superficiali e fin troppo sentimentali per poter essere studiati con più attenzione. Non tutti però la pensavano così: Ezra Pound (esponente dell’Imagismo) riteneva che le poesie di Sulpicia fossero degne di essere oggetto di studio intenso nonostante la brevità.
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