Come la storia ci ha insegnato, il Medioevo è stato caratterizzato dalla coesistenza di papi e imperatori e dei loro poteri, una coesistenza che a partire dall’XI secolo comincia a mostrare i primi scontri, che porteranno due secoli più tardi alla divisione dei comuni italiani in due categorie. Da una parte c’erano i guelfi, coloro che erano fedeli al papa, e ghibellini dall’altra, fedeli all’imperatore. Proprio per questo motivo venne formulata una teoria che prende il nome di teoria dei due soli, ripresa anche dall’illustre Dante Alighieri nel suo De Monarchia. Ma in che cosa consiste questa teoria? Vediamolo insieme.
De Monarchia di Dante e la teoria dei due soli
Le posizioni politiche prese da Dante Alighieri sono raccolte dallo stesso nel suo trattato politico De Monarchia, scritto completamente in latino, come si può evincere dal titolo, poiché rivolto solamente ad un pubblico di dotti. In questo trattato, pubblicato tra il 1310 e il 1315, Dante Alighieri spiega, attraverso i tre libri che compongono quest’opera, le sue concezioni politiche e quali erano i temi più caldi nella scena politica del suo tempo.
Nel primo libro esprime la necessità di una monarchia universale, nella quale l’imperatore è al di sopra di tutti i regnanti, col fine di donare la felicità terrena a tutti loro senza avidità, perché sarebbe il sovrano a possedere tutti i beni, in modo da essere una guida per tutti gli uomini.
Nel secondo, invece, spiega come Dio abbia concesso l’autorità imperiale al popolo romano.
Dante parla della teoria dei due soli nel terzo libro del De Monarchia, nel quale Dante pone la sua attenzione sui due poteri più importanti del suo periodo: quello del papa e dell’imperatore, che a quel tempo erano rispettivamente Clemente V e Enrico (o Arrigo, in volgare) VII di Lussemburgo. Infatti, in quegli anni, si sosteneva che il potere supremo fosse quello dell’imperatore e che quello del papa derivava da esso, o al contrario che il potere imperiale derivasse direttamente da quello papale. Dante, dal suo canto, controbatte entrambe le tesi e parla, appunto, della teoria dei due soli, secondo la quale sia il potere imperiale che quello del papato sono autonomi perché entrambi sono derivati direttamente da Dio; dunque, come due soli, ogni potere brilla di luce propria, ma pur sempre con due fini diversi. L’impero, infatti, ha come fine la felicità dell’uomo per la sua vita terrena; il papato, invece, ha come fine il raggiungimento della beatitudine eterna. Inoltre, la teoria dei due soli, andava a smentire completamente la teoria del sole e della luna creata da papa Innocenzo III, che invece riconosceva nel papa maggiore potere anche a livello terreno. Bisogna tenere a mente che, nonostante si trattasse di due poteri autonomi, erano pur sempre complementari, dunque le opere della chiesa prevedevano pure sempre l’azione indispensabile dell’imperatore.
La teoria dei due soli, pur essendo grandiosa, trovava però nella storia stessa dei limiti, che hanno fatto sì che essa non potesse rimanere nient’altro che una mera utopia dantesca, che avrebbe solamente riportato al passato e sarà questo il motivo che poi spingerà Dante a scrivere la Commedia con la speranza di giungere finalmente alla rigenerazione universale.
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