Proseguiamo con un’altra intervista che ho realizzato nel 2015 rivolta a un altro cittadino lucano di Tito (PZ) in merito al sisma dell’Ottanta che colpì Irpinia e Basilicata. Oggi diamo la parola a Luciano D’Auria.
Se ogni parola spesa sul terremoto del 23 novembre potesse trasformarsi in un mattone, forse la ricostruzione sarebbe già completata. Purtroppo è più facile parlare o scrivere che posare mattoni, diceva Vittorio Sabia (giornalista di Potenza).
Nella situazione di emergenza creatisi immediatamente dopo il sisma, i problemi più urgenti furono relativi ai soccorsi e alle prime iniziative per affrontare l’evento. In un primo momento, essi furono soprattutto di carattere organizzativo. Centinaia di migliaia di italiani accolsero l’appello del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che invitò la gente a mobilitarsi per soccorrere le popolazioni più colpite. Moltissimi si misero in viaggio per portare beni di prima necessità: tende, roulotte, ambulanze, materiale medico, ecc. ; a questi volontari si aggiunsero coloro che nelle proprie città organizzarono raccolte di aiuti, fondi e coperte. La loro opera fu così proficua che si posero le basi di un’istituzione che agisse in casi di emergenza. Infatti, come primo effetto delle polemiche scoppiate subito dopo il sisma per i mancati interventi preventivi, ci fu l’adozione – dopo dieci anni – del regolamento attuativo della legge del 1970 istitutiva di un sistema di Protezione Civile Nazionale. Ci si sensibilizzò, quindi, intorno alla necessità di una cultura diffusa in questo campo proprio in seguito all’esperienza dell’Irpinia. Si cominciò a integrare il lavoro dei volontari nel sistema istituzionale dei soccorsi, favorendo in tutto il paese la crescita di una cultura della responsabilità civica e della prevenzione.
Il sisma dell’Ottanta a Tito
Intervista a Luciano D’Auria (72 anni – pensionato); a. 2015
(Si sono lasciati il più possibile invariati i modi di esprimersi e il “linguaggio” parlato usato dagli intervistati.)
Cosa serba la sua memoria del drammatico 23 novembre 1980?
Ero a tavola con la mia famiglia quando sentimmo tremare all’improvviso. Il terremoto ci colse impreparati, non sapevamo come comportarci. Prendemmo immediatamente qualche vestito e uscimmo spaventati. La notte dormimmo in quattordici persone circa in un casolare di campagna, dove restammo per più di qualche giorno.
Ponendo la suddetta data come spartiacque tra il “prima” e il “dopo”, secondo lei cosa è cambiato a Tito?
Dopo il terremoto diventammo comm’ sc’bandati e fu così per più di qualche tempo. La maggior parte delle abitazioni fu distrutta e la gente soffrì molto per questo. Il Comune offrì contributi alla popolazione che aveva subito danni e io in prima persona ho usufruito di un po’ di soldi, con i quali mi sono potuto costruire una casa in campagna.
Ero un muratore, quindi a me non andò poi così male, nonostante tutto. Nel mio campo c’è stato molto lavoro in più dopo l’Ottanta, infatti a quel tempo ebbi vari lavori da eseguire. Prima del terremoto le case erano costruite solo con terra e pietre, non c’era cemento, in seguito invece i materiali utilizzati furono sabbia, blocchetti antisismici, ferri nei solai e travi di sostegno in cemento armato. Per il resto, a Tito nel post-terremoto c’è stata l’industrializzazione.
Attualmente, come le sembra la situazione a Tito a trentacinque anni dal terremoto, sia dal punto di vista dell’aspetto urbanistico della città, sia da quello di una ricostruzione sociale?
La situazione a Tito è migliore ora. Le strade sono meno strette e le strutture sono più sicure, anche se si sarebbe potuto fare di più e in maniera meno arronzata. Tito si è ingrandito e non ci viviamo più solo noi titesi. Oggi ci sono molti stranieri.
Nello specifico, rispetto al 1980, oggi quali sono le condizioni del centro storico della città, la zona più colpita dal sisma?
Il centro storico è diverso da prima. A me piace più ora perché vi hanno costruito seguendo i criteri di sicurezza. Prima, invece, c’erano strettoie scomode e case pericolanti.
La ricostruzione della Chiesa Madre sembra essere una grande delusione per la comunità titese. Perché e cosa si poteva fare di più?
La Chiesa Madre è stata ricostruita da una ditta forestiera. Secondo me non è un granché, era più bella prima esteticamente. È proprio diversa ora, quasi irriconoscibile.
Si ringrazia Luciano D’Auria per la gentile partecipazione!