Connubio perfetto di linguaggio, geometria aritmetica e immaginazione, sono le opere di Vincenzo Agnetti che regalano al mondo un’arte cruda, schietta e pungente di cui spazio, tempo e memoria ne sono i protagonisti indiscussi, facendone di lui il maggiore esponente dell’arte concettuale italiana. Nato a Milano nel 1926, Vincenzo Agnetti – scrittore – inizia la sua attività artistica alla fine degli anni ’50. Nel 1967, realizza la sua prima mostra a Palazzo dei Diamanti a Ferrara a cui seguiranno molte altre mostre, sia in Italia che all’estero: Telemuseo Eurodomus Milano (1970), Pinacoteca Nazionale di Bari (1973), Museum am Ostwall di Dortumund (1974), Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano (1981). Muore a causa di un’emorragia celebrale improvvisa il 2 settembre 1981. Tra le sue opere più celebri ricordiamo: La Macchina Drogata (1968), Assiomi su bachelite (1970/1980), Libro dimenticato a memoria (1970) e Spazio perduto e spazio costruito (1972).
Il linguaggio artistico di Vincenzo Agnetti
La modalità di linguaggio artistico di Vincenzo Agnetti porta l’arte su un livello di cooperazione fra spettatore e opera, la quale si investe di dualità, centro di connessione fra l’interiorità profonda dell’opera e la dimensione individuale della percezione dei nostri pensieri, della nostra immaginazione, del nostro semplicemente essere. Immagini e parole si fondono così in un unico pensiero. Chi legge si ritrova, non solo, soggiogato e inghiottito dalla profondità dell’opera che sta guardando, ma anche da riflessioni e da memorie salite a galla grazie a essa. È, infatti, con la sua raccolta – Assioma – formata da quadrangolari lastre di bachelite nera, trattate con colori ad acqua o nitro, che i diagrammi, sistemi numerici e coincise frasi si contrappongono fra di loro per creare un’atmosfera fatta di paradossi e contraddizioni: elementi distintivi di vita e storia. La vita e la storia, dunque, secondo Agnetti, sono una successione estemporanea di attimi e fatti dove si sovrappongono e si alternano i ricordi e le amnesie, i pensieri e i desideri, il presente e il passato.
Libro dimenticato a memoria
È con l’opera – Libro dimenticato a memoria (1970) – rappresentata da un volume (70 x 50 cm) di cui le pagine sono vuote, fustellate in modo da rendere i fogli all’interno una cornice contornante un vuoto buio e geometricamente spigoloso; Vincenzo Agnetti crea uno spazio in cui vi è l’estensione del pensiero umano: un luogo in cui dimenticanza e memoria danzano insieme.
Qui, la sintesi della sua ideologia sulla vita e sulla storia: «Ciò che dimentichiamo non è perso ma diventa parte di noi e delle nostre azioni».
Vincenzo Agnetti spinge in questo senso: chi osserva, a continuare dentro di sé le riflessioni iniziate già dalle sue opere rendendo l’arte alla portata di chiunque; un luogo in cui la visione dell’artista non necessariamente deve rimanere tale, ma può estendersi, deve estendersi, ad un’immaginazione ancora più ampia: l’interpretazione personale di chi guarda.
Fonte immagine in evidenza: Archivio personale