Cos’è il Whitewashing: storia di un fenomeno ancora irrisolto

Whitewashing: storia di un fenomeno ancora irrisolto

Cos’è il whitewashing: storia di un fenomeno ancora irrisolto

Negli ultimi anni la fruizione sempre più massiccia dell’informazione ha permesso alla nostra mente di aprirsi e a riguardare il passato con occhio critico, cosicché non si possano commettere gli stessi errori. Il fenomeno del Whitewashing ne è un esempio: da anni la cinematografia prende ispirazione da libri, leggende, fiabe e tradizioni così da poter permettere ad un pubblico più ampio di conoscerle e apprezzarle. Però l’industria cinematografica si è spesso macchiata di un’importante colpa, ovvero di non rispettare appieno la caratterizzazione dei personaggi come descritto nelle opere originali, “sbiancando” il colore della loro pelle e quindi stravolgendo la loro etnia. Questo fenomeno può sembrare, ad un occhio meno esperto, irrilevante e forse pretenzioso. Per questo vi facciamo un banalissimo esempio:

È il 2004, voi avete all’incirca sette anni ed è appena uscito il primo episodio di Winx Club, un cartone animato italiano famosissimo. Entusiasti, ve ne appassionate e vi innamorate dei suoi personaggi, soprattutto della cosiddetta “fata della musica”, ovvero Musa. Quest’ultima vi piace talmente tanto che comprate il suo stesso vestitino, con tanto di ali, e ad acconciarvi i capelli proprio come lei. Voi l’apprezzate non solo per la sua personalità, ma soprattutto perché vi sentite inconsciamente rappresentati: infatti, le vostre origini sono asiatiche e avete dei meravigliosi occhi a mandorla… proprio come Musa! Dunque, voi crescete e arriva l’anno 2021: Netflix concepisce Fate – The Winx Saga, il live action delle stesse fate che vi hanno accompagnati per tutta l’infanzia. Siete curiosi di vedere quale attrice asiatica sceglieranno per interpretare la vostra amata Musa e rimanete scioccati: l’interprete del personaggio ha pelle d’avorio e grandi occhi. Esatto, l’attrice è caucasica e l’inclusività e multietnicità che veicolavano le Winx di diciassette anni prima sono state completamente cancellate attraverso l’uso del “Whitewashing”.

Quest’esempio spiega la motivazione delle accuse e delle polemiche rivolte recentemente a produttori e registi: perché, dopo anni di battaglie fatte per sensibilizzare e istruire il pubblico, praticare ancora il “Lavaggio bianco”?

Adesso indagheremo circa ulteriori curiosità in merito al fenomeno del Whitewashing

Cos’è il Whitewashing e le sue origini

Il “Whitewashing” è una pratica di casting cinematografica in cui attori caucasici – o, comunque, dalla pelle più diafana possibile – vengono scritturati in ruoli originariamente intesi per altre etnie.

Il dizionario americano Merriam-Webster definisce il Whitewash nei seguenti modi:

«To alter (something) in a way that favors, features, or caters to white people»
«Alterare (qualcosa) in un modo che favorisca, caratterizzi o si rivolga alle persone bianche»;

«To portray (the past) in a way that increases the prominence, relevance, or impact of white people and minimizes or misrepresents that of nonwhite people»
«Ritrarre (il passato) in modo da aumentare il rilievo, la rilevanza o l’impatto dei bianchi e minimizzare o travisare quello dei non bianchi»;

«To alter (an original story) by casting a white performer in a role based on a nonwhite person or fictional character»
«Alterare (una storia originale) inserendo un interprete bianco in un ruolo basato su una persona o un personaggio immaginario non bianco».

Il Whitewashing nasce ad Hollywood all’inizio del Novecento, quando la questione razziale era ancora inesistente e gli attori di colore assenti. Quando, ad esempio, un regista avrebbe avuto bisogno di un attore afroamericano per la propria pellicola, questo ricorreva a due soluzioni: scritturare un attore caucasico stravolgendo la trama del film oppure tingere di scuro la pelle dell’attore bianco per rimanere sulla stessa linea d’onda (quest’ultimo fenomeno viene nominato Blackface).

Inoltre, le minoranze rappresentate da Hollywood tra gli anni Quaranta e Settanta venivano poste automaticamente ad un piano inferiore, basti pensare che la figura non caucasica fosse sempre secondaria o addirittura la spalla comica, l’oggetto vittima di scherno, il meno brillante dei personaggi o addirittura il servo. Soprattutto la “Blackface”, oramai rimossa dalla cinematografia, veniva usata come parodia e caricatura degli stessi afroamericani o asiatici (in quest’ultimo caso si parlerebbe di “Yellowface”). Il professore David A. Schlossman ammette che proprio questo fenomeno ha contribuito al pantheon degli stereotipi culturali negli Stati Uniti”.

All’inizio del XXI secolo, le minoranze erano ancora sottorappresentate nell’industria cinematografica e ancora oggi, tramite un implicito Whitewashing, fatichiamo a dare giustizia a storie e leggende di diverso background culturale.

il fenomeno ancora irrisolto del whitewashing
La Blackface (Fonte: Wikipedia)

Causa ed esempi del Whitewashing

L’attivista americano Guy Aoki ammette che gli afroamericani, gli asiatici, i nativi americani e i latini hanno sentito a lungo il peso del Whitewashing” e ancora oggi è un problema profondo poiché nel 2015 la BBC ha dichiarato: «la pratica di inserire attori bianchi in ruoli non bianchi è ancora prevalente a Hollywood, nonostante la condanna e le proteste diffuse».

Un rapporto del 2013 ha mostrato che il 94% dei produttori cinematografici erano bianchi e la stessa BBC ha analizzato due ragioni alla base di questa pratica: il razzismo istituzionale e la convinzione che gli attori bianchi famosi attirino più pubblico e massimizzino i profitti. David White della SAG-AFTRA si è opposto pubblicamente al Whitewashing: «Le leggi insistono sul fatto che l’etnia non faccia parte delle qualifiche per un lavoro», ma ha riconosciuto che c’è una «mancanza di diversità e autenticità nei ruoli disponibili».

Ciò che spesso conta per la produzione americana, quindi, è il nome dell’attore stesso: un esempio eclatante è Khan di Star Trek Into the Darkness, un personaggio originariamente indiano ma interpretato nientepopodimeno che da Benedict Cumberbatch, un professionista a tutto tondo, ma comunque non perfettamente adeguato per il ruolo originario.

La lista di film recenti caduti nel Whitewashing è lunga: ad esempio, nel 2010 il cast del film Prince of Persia – Le sabbie del tempo di Mike Newell è composto per la maggior parte da bianchi, ma secondo la trama originale l’etnia dei personaggi sarebbe persiana. Il regista Ridley Scott ha dichiarato che senza il cast di attori dal nome importante, il suo film epico-biblico Exodus – Dei e Re (2014) non sarebbe mai stato realizzato. Infatti, gli attori Christian Bale, Joel Edgerton, Sigourney Weaver e Aaron Paul interpretano personaggi biblici di origine ebraica o africana. Altri film invece stravolgono completamente l’opera originale prendendone solo il nome: i fan di manga giapponesi conosceranno sicuramente Death Note e come sia stato riscritto da testa a piedi; infatti, l’adattamento in lingua inglese trasferisce la storia a Seattle, rinomina il protagonista Light Turner (in origine Light Yagami) e il cast principale è di soli attori bianchi.

Ancora, il film Argo (2012), uno dei più importanti della carriera di Ben Affleck, il quale però ha scelto di mettere se stesso come Tony Mendez, ispanico nella vita reale. Anche Emma Stone è stata inghiottita dalle polemiche di Whitewashing nel 2015 per il suo ruolo in Sotto il cielo delle Hawaii, in cui interpreta il capitano Allison Ng d’origine cinese e hawaiana. O ancora, nel caso sopracitato di Fate – The Winx Saga, in cui anche l’etnia di Flora è stata modificata: tempo fa il creatore delle stesse Winx, Iginio Straffi, ammise di aver disegnato Flora secondo le fattezze e caratteristiche della cantante Jennifer Lopez, una donna latino-americana. Di nuovo, il live action del 2021 le ha sbiancato la pelle e pure cambiato il nome per tentare di schivare le eventuali critiche: il personaggio viene chiamato Terra e solo nella seconda stagione arriva “la vera Flora”, rispettando il cartone originale. Il problema è che, dando un’occhiata al portfolio dell’attrice che interpreta Terra (Eliot Salt), salta subito all’occhio che era stata originariamente scritturata proprio per Flora, cambiata poi in un secondo momento.

È nostro obbligo, però, dare giustizia a due fondamentali eccezioni: Via col Vento (1939) e Indovina chi viene a cena? (1967). Proprio questi film sono stati gli unici a dare l’Oscar a due attori neri tra gli anni Quaranta e Sessanta, ovvero Hattie McDaniel (Miglior attrice non protagonista, 1939) e Sidney Poitier (Miglior attore, 1964). McDaniel interpreta la cameriera (o “schiava nutrice”) Mami in Via col Vento; ma è il ruolo di Poitier, scomparso l’anno scorso, a dare una ventata d’aria fresca alla cinematografia hollywoodiana: Indovina chi viene a cena? mostra la storia d’amore tra Joanna Drayton, ragazza statunitense e benestante, e John Wade Prentice, illustre medico afroamericano. Lei vorrebbe convolare a nozze immediatamente, ma John preferisce ricevere la benedizione dei suoceri. La madre di Joanna è felice dell’unione, a differenza del padre. Anche i genitori di John incontrano i suoceri del figlio e pure suo padre si mostra non concorde a quest’amore, ma John deciso gli fa capire che il suo sentimento va ben oltre il colore della pelle.

"Whitewashing": un fenomeno ancora irrisolto
Hattie McDaniel, attrice, comica e prima cantante gospel di colore a cantare alla radio statunitense;
proprio grazie a questi ruoli Hattie ha ottenuto ben due stelle sulla Hollywood Walk of Fame.
Eppure, quando morì nel 1952, non venne seppellita al cimitero di Hollywood come da lei richiesto
a causa della segregazione razziale del tempo. (Fonte: Wikipedia)

Morale della favola: riflessioni sul fenomeno

Si può sicuramente chiudere un occhio sulla passata ignoranza di Hollywood e la mancata consapevolezza di registi e produttori sull’argomento razziale, ma ai giorni nostri come si può ricadere nello stesso errore di “Whitewashing”, giustificarsi e credere di non rasentare il ridicolo? È comprensibile permettere al regista di farsi trasportare dalla propria fantasia nella creazione di un nuovo film; ma quando questo deve riprendere un’opera o addirittura una tradizione, ad esempio la storia di una famiglia cilena e dei propri doveri e preoccupazioni durante la dittatura militare, come si può pensare che un attore bianco e col nome da Oscar possa fare di meglio? Ci riferiamo al film del 1993 di Billie August, La Casa degli Spiriti, ovvero la trasposizione cinematografica dell’omonimo libro di Isabel Allende, che vede proprio “gli attori da Oscar” come protagonisti: Meryl Streep, Glenn Close, Winona Ryder e Jeremy Irons. La stessa Allende rivelò un anno dopo al Los Angeles Times di essere rimasta sorpresa della scelta di un cast «dall’aspetto così anglosassone. Sono tutti così biondi».

Il problema di fondo dietro la pratica del Whitewashing è una forte mancanza d’empatia: gioverebbe a tanti, dai più piccoli ma soprattutto ai più adulti, vedere inclusività e scrutare nelle culture, tradizioni, usi e costumi all’infuori dai propri. È vero che un film non possa risolvere appieno la questione razziale, poiché ci vorrebbe un’educazione di base nelle istituzioni interne, ma se possiamo fare un piccolo sforzo per migliorare, perché no? Anche perché nonostante la facile accessibilità all’informazione, non tutti sono disposti a fermarsi, leggere e studiare per capire a fondo il problema razziale; con i film, forse, possiamo espandere molta più consapevolezza di quanto si pensi.

Fonte immagini in evidenza adoperate per il collage: Wikipedia

A proposito di Giorgia Burti

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2 Comments on “Cos’è il Whitewashing: storia di un fenomeno ancora irrisolto”

  1. what a wonderful article!!! Thank you for this. Fate The Winx Saga is going to continue in graphic novels, nor in the graphic novels does it seem like they are going to solve it with the justification that “Musa” has to look like the actress. The actress did not even apologize and said that we, the fans, had to keep an “open mind.”

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  2. Dear Hannan, your review made my day! Thank you so much :)) Gosh, Fate’s cast and producers can’t really understand our thoughts and complaints, that’s a real pity…

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