Sul linguaggio dei gatti, i ricercatori non hanno posto la stessa enfasi che su quello dei cani, da tempo immemore considerati “migliori amici dell’uomo” in virtù del legame di fiducia e obbedienza stretta che creano con i propri padroni. Indubbiamente, i gatti sono meno esigenti dei cani e tendono ad affezionarsi un po’ di più al luogo di appartenenza che al padrone. Tuttavia, la “minor esigenza” non deve far pensare che un gatto non stabilisca una connessione emotiva con il padrone, che non abbia bisogni particolari, che “basta che stia per i fatti suoi ed è apposto”. Di seguito, alcuni atteggiamenti da conoscere e imparare a comprendere per ottimizzare la comunicazione con i propri amici felini.
1. Posizioni
Per capire il linguaggio dei gatti, occorre partire dal presupposto che ogni gatto ha una personalità distinta e diversi modi di veicolare ciò che prova. La posizione del corpo, più che trasmettere di per sé un messaggio, lo fa in combinazione con altri elementi, quali gli occhi o movimenti della coda, delle orecchie e della schiena. Un gatto accovacciato potrebbe essere tale per semplice comodità o per riposarsi, ma se le orecchie sono tese e dritte, presumibilmente è sospettoso, e ancora se le orecchie sono appiattite e la coda è sotto il corpo, allora è intimorito. Non bisogna inoltre dimenticare che i gatti sono abilissimi predatori: è vero che, a un certo punto della loro evoluzione, si sono trovati costretti ad adattarsi all’ambiente domestico “ridimensionando” le proprie abilità, ma l’istinto atavico e i riflessi del cacciatore sono rimasti, per cui un gatto può avere indistintamente i suoi momenti “a pancia in su” (posizione vulnerabile per il felino), per dimostrare fiducia e bisogno di coccole, e i suoi momenti con la coda alta e gonfia, le orecchie erette, la schiena inarcata e i denti scoperti, segno che il suo territorio è sotto attacco e che si sta preparando a una controffensiva.
2. Linguaggio dei gatti: coda, orecchie e schiena
Nel linguaggio dei gatti, nulla è dato al caso e ogni movimento è volto a dare un messaggio. La coda svolge un ruolo fondamentale nella comunicazione: se è tra le gambe, indica sottomissione o senso di colpa, se è “a uncino”, significa che il micio è felice di vedervi, se è gonfia, potrebbero essere guai, se tende a sbatterla a terra, sta comunicando fastidio e nervosismo. Le orecchie dritte con le punte in avanti indicano che il gatto è in allerta, dritte o appiattite verso i lati o ruotate verso la coda significano che è teso, se all’indietro, sono segnale di preoccupazione. La schiena inarcata rappresenta un atteggiamento difensivo, un modo, per il gatto, di apparire più grande dinanzi al suo “interlocutore”, mentre una schiena allungata indica di solito fiducia e serenità.
3. Versi: miagolii e fusa
I miagolii sono vocalizzi che il gatto impara a sviluppare totalmente solo tra le mura di un ambiente domestico, e sono funzionali alla comunicazione con gli umani. A seconda della loro durata, intensità e frequenza, possono assumere svariati significati e trasmettere un “pianto”, un richiamo d’amore, ma anche un semplice saluto. Nel linguaggio dei gatti, però, l’elemento che più di tutti gli altri infonde affetto e tranquillità sono le fusa: farle, rilascia endorfine sia nei felini stessi che nelle persone. Le endorfine possono abbassare gli ormoni dello stress, migliorare l’umore e favorire la guarigione da una malattia. In verità, i gatti fanno le fusa anche per calmare il nemico, dimostrare noia, o se provano dolore: occorre quindi capire se il suono è intermittente e indice di benessere o insolito per il gatto. Sono inoltre spesso accompagnate da un movimento effettuato con le zampe anteriori, il famoso “impastare”, che in realtà deriva dalla necessità del gattino appena nato di stimolare la mammella e far uscire il latte.
A discapito di tanti anni di ricerche, ancora oggi le persone tendono a sottovalutare enormemente non solo il linguaggio dei gatti, ma in generale la sfera comunicativa nella convivenza con gli animali, che si tende a concepire più come giocattoli che come esseri dotati di volontà propria, coscienza e autodeterminazione. Perfino nel momento in cui gli si riconoscono tali qualità, si prova comunque a “tradurne” gli atteggiamenti in “umanese” senza tener conto della loro unicità e delle differenze che intercorrono tra noi e loro. Si tende a valutare gli animali esclusivamente sulla base della funzione che svolgono per l’essere umano: sarà proprio per questo che le ricerche, nel corso degli anni, hanno posto la loro attenzione più sui cani, tendenzialmente più obbedienti, che sui gatti, tendenzialmente più indipendenti.
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Fonte immagine: Wikimedia Commons (Von.grzanka)